Il flash mob

“Senza teatro, musica e cultura diventiamo tutti più poveri”. La protesta silenziosa degli artisti fa rumore

Una manifestazione pacifica per celebrare, in tempo di Covid, la cultura "motore di bellezza e salvifica". Questo lo spirito dell'appuntamento di questa mattina lungo Corso Vittorio Emanuele a Campobasso con la manifestazione degli artisti molisani

Il silenzio della musica, del mondo dell’arte e della cultura in generale in risposta al silenzio della politica. Nel giorno della Festa della Liberazione, si è tenuto il flash mob degli artisti molisani in piazza Vittorio Emanuele a Campobasso per sostenere i lavoratori dello spettacolo, della cultura, della musica, tra i settori colpiti più duramente dall’emergenza coronavirus.

Con gli strumenti della professione, la stessa che non possono più svolgere da quasi un anno e mezzi sono rimasti in silenzio per sensibilizzare la popolazione e le amministrazioni regionali e di governo sulle condizioni dei lavoratori del settore.

Chitarre, arpe, violini, tastiere, tamburi, scarpette di danza classica per dire che la “cultura è libertà”. Che la “musica non può stare in silenzio perché seppure capace di esprimersi anche col silenzio, quello che pesa sulle nostre vite adesso – dice un musicista – e soprattutto sul futuro, non è la classica ‘pausa’ musicale capace di parlare, quella che spesso regala magia. E’ un silenzio assassino di idee, progetti, speranze, fiducia. Abbiamo bisogno di tornare sui palchi, abbiamo bisogno di tornare alla nostra professione”.

Ognuno di loro racconta come sta vivendo questi lunghi mesi (quasi un anno e mezzo ormai) di “vita sospesa”  e parlano dei progetti futuri e dei cambiamenti – o mancati cambiamenti – che la “nuova normalità” sta avendo sulla vita delle persone.  Preoccupati che la crisi del settore diventi irreversibile, i musicisti del Molise ricordano che la filiera della musica è grandissima e porta un indotto gigantesco. “Ad oggi – dicono – ci sono centinaia di lavoratori anche nella nostra regione che sono rimasti a casa e che non hanno più il necessario per vivere”.

L’artista è un professionista. Da qui l’urgenza vitale di curare sia il talento creativo che la gestione e organizzazione del suo lavoro. Abbandonato il mito bohémien, questi giovanissimi che stamane si sono ritrovati lungo Corso Vittorio Emanuele, hanno urlato in silenzio che l’arte è fatica, costruzione, disciplina, regole. E’ una professione con il diritto ad un adeguato compenso, è una professione con il diritto ad esprimersi come sta lentamente accadendo per altri. Con regole e restrizioni, ovvio, ma sarebbe tuttavia un nuovo inizio perché “non possiamo più stare a casa né essere contemplati in un progetto di ripresa”.

I nostri artisti accantonano il web in questo momento non vogliono parlare della vicinanza che tuttavia con la rete sono riusciti in qualche modo ad esprimere durante questi mesi perché “abbiamo bisogno del contatto reale, l’arte è contatto reale. Con le distanze e tutto quanto è necessario, ma a noi bastano occhi che guardano e orecchie che ascoltano”.

Mettiamoci in testa che “senza la musica, senza il teatro, l’arte, la cultura diventiamo tutti più poveri. Già.

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