Dopo la vicenda di papa francesco

Mandato d’arresto per il broker molisano Torzi: è accusato di false fatture e autoriciclaggio

Il Gip di Roma ha spiccato un mandato d'arresto internazionale per l'uomo d'affari che attualmente si trova a Londra. L'inchiesta nasce dalla vicenda della compravendita del palazzo di Sloane Avenue per conto del Vaticano ma si allarga anche a ulteriori operazioni finanziarie in Italia

Il Gip del Tribunale di Roma Corrado Cappiello ha disposto l’arresto del broker molisano Gianluigi Torzi che però attualmente si trova fuori dal territorio italiano, più precisamente a Londra. È stato quindi spiccato un mandato d’arresto internazionale nei suoi confronti con le accuse di fatture false e autoriciclaggio.

Si tratta dell’inchiesta della procura capitolina relativa alla compravendita per conto del Vaticano del palazzo di Sloane Avenue nella capitale britannica nel dicembre 2018, un affare curato proprio da Gianluigi Torzi e per il quale il finanziere originario di Guardialfiera era stato arrestato nel giugno 2020 dalla autorità giudiziaria del Vaticano.

Il Giudice per le indagini preliminari ha disposto anche la misura interdittiva del divieto di esercitare la professione di commercialista per Giacomo Capizzi, Alfredo Camalò e Matteo Del Sette, tutti accusati di emissioni di fatture false.

Torzi deve rispondere invece anche di autoriciclaggio ma il suo legale Marco Franco ha già fatto sapere che impugnerà il provvedimento di arresto davanti al tribunale del Riesame.

In sostanza la procura di Roma avrebbe ripreso le accuse già mosse a Torzi dalla giustizia di Papa Francesco ma che proprio il mese scorso erano state praticamente smontate da un giudice londinese. L’immobile al numero 60 di Sloane Avenue era stato acquistato come investimento dalla segreteria di Stato Vaticano.

palazzo Londra vaticano Torzi

Secondo il Vaticano la Santa Sede nel 2014 avrebbe investito 200 milioni nell’acquisto del palazzo tramite il fondo Athena, che fa capo al finanziere Raffaele Mincione. Quattro anni dopo però, ritenendolo un affare sbagliato, avrebbe deciso di liquidare Mincione e ricomprare il palazzo attraverso la Gutt, società di proprietà del Vaticano ma gestita da Gianluigi Torzi, l’unico a detenere mille azioni (su 31mila) con diritto di voto. Per rinunciare al controllo dell’immobile, l’uomo d’affari molisano avrebbe preteso il 3 per cento, ossia 15 milioni: da qui l’accusa di estorsione e ricatto al Papa. 

Ma proprio il mese scorso la magistratura britannica ha smontato questa versione affermando che Torzi non avrebbe ottenuto quei soldi tramite un ricatto ma con un regolare contratto.

Ora però si inserisce nell’intricata vicenda la magistratura italiana con questo nuovo colpo di scena. Le indagini portate avanti dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Roma avrebbero portato alla luce che una parte dei 15 milioni versata da due società inglesi all’imprenditore molisano, sia stata poi utilizzata per l’acquisto di azioni di società quotate in Borsa in Italia per un importo di oltre 4,5 milioni di euro. Somma che in pochi mesi avrebbe fruttato a Torzi un guadagno di oltre 750.000 euro in modo tale da ripianare il debito di 670.000 euro di altre due aziende riferite al broker.

Dalle indagini emergerebbe anche un giro di false fatturazioni, questo tuttavia non collegato all’operazione immobiliare londinese, che Torzi avrebbe realizzato con la collaborazione di Capizzi e altri commercialisti senza alcuna giustificazione commerciale e con lo solo scopo di frodare il Fisco.

Contattato da Primonumero, il legale Massimo Franco ha fatto sapere che il suo assistito è rimasto “sorpreso dalle accuse ma è sereno”. L’avvocato conferma l’intenzione di impugnare l’ordinanza al Riesame e far annullare l’arresto. Ha inoltre precisato che “Torzi non è agli arresti perché il Gip deve rivolgersi al Ministero per chiedere l’estradizione. Confidiamo che prima di questo iter faremo annullare l’arresto”.

Secondo Franco “il Vaticano ha mandato gli atti alla Procura di Roma e su questo c’è l’ordinanza. Un’accusa che però è stata già demolita da un giudice inglese che l’ha reputata inconsistente non solo per l’arresto ma finanche per il sequestro dei beni. Oltre a questo la Procura, sulla base di alcune conversazioni chat avrebbe individuato altre ipotesi di reato relative a false fatture. Stiamo facendo le nostre verifiche ma riteniamo di poter provare l’infondatezza delle accuse anche su questo punto”.

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