L'intervista

La psicologa dell’emergenza: “Ritroveremo una normalità, ma non sarà come prima. La pandemia frammenta”

Federica Buri, dottoressa in Psicologia Clinica e della Salute che ha fondato in Molise l'organizzazione degli Psicologi per l'Emergenza, affronta con noi il tema delle tante sfaccettature del disagio psicologico innescato dalla pandemia, delle sue ricadute sulle varie fasce di popolazione nonchè quello degli impatti futuri

La pandemia ha creato una sorta di psico-pandemia e in tanti si stanno interrogando sulla nuova emergenza all’orizzonte (in parte già in atto): quella del disagio psicologico innescato dall’emergenza sanitaria. Ne abbiamo parlato con Federica Buri, psicologa termolese poco più che trentenne ed esperta nella psicologia dell’emergenza. Laureata in Psicologia Clinica e della Salute, la dottoressa Buri si è – sin dai tempi della tesi – interessata al tema degli interventi di supporto nei contesti traumatici. Attualmente è specializzanda in Psicoterapia Psicoanalitica.

federica buri psicologa sipem emergenza

Dottoressa, lei ha fondato in Molise l’associazione degli psicologi per l’emergenza. Ci spiega in cosa consiste il vostro operato e quali sono le attività messe in campo in questo periodo di pandemia?

“La SipeEm SoS Federazione (Società Italiana di Psicologia dell’Emergenza Social Support) è una associazione senza scopo di lucro, che nasce nel 1999 a seguito del terremoto in Umbria. Iscritta nei registri di volontariato di Protezione Civile, opera su tutto il territorio nazionale in situazioni di micro e maxi emergenza come i disastri naturali (terremoti, alluvioni) ed eventi calamitosi. Quasi in tutte le regioni è presente una sezione regionale che interviene sul proprio territorio in occasione di eventi emergenziali di minore entità.

Sipem psicologi emergenza

Ho fondato la Sipem SoS Molise nel 2018, di cui sono anche l’attuale presidente. Questo’anno l’associazione è cresciuta con l’iscrizione di nuovi soci e il rinnovo del direttivo. Come Sipem SoS Molise siamo intervenuti sia durante il terremoto che ha colpito la regione nell’agosto del 2018, sia nel precedente lockdown attraverso uno sportello di supporto psicologico.

Gli interventi degli psicologi nelle emergenze sono tesi a contenere e cercare di prevenire una cronicizzazione dei sintomi emersi come naturale risposta adattiva al forte stress che, se protratti, possono diventare invalidanti.

In tempo di pace la Sipem Sos è impegnata in attività sia di formazione dell’aspetto psicologico delle emergenze, che di promozione e prevenzione del benessere psicologico, collaborando con Associazioni di Soccorritori, Forze dell’Ordine, Protezione Civile, Enti pubblici.

L’aggravarsi della situazione sanitaria attuale ha imposto una particolare attenzione alle problematiche psicologiche insorte. Per tale ragione abbiamo istituito nuovamente lo sportello di ascolto per la popolazione, tutt’ora attivo”.

supporto psicologico covid

Rispetto proprio al servizio di supporto psicologico telefonico, cosa sta emergendo? Quali sono i ‘sintomi’ più diffusi del disagio innescato dall’epidemia? E come si differenziano in base alle varie fasce d’età?

“Attraverso lo sportello di supporto psicologico possiamo, in qualche misura, avere una fotografia delle manifestazioni più ricorrenti in questo momento. Emerge una preponderanza di vissuti d’ansia, spesso con manifestazioni importanti come attacchi di panico o claustrofobie. Molto diffusi i disturbi del sonno, alterazioni del comportamento alimentare, incapacità di concentrazione, disforia e talvolta una inflessione depressiva dell’umore. Sono frequenti anche disturbi psicosomatici, in cui il corpo veicola ed esprime la sofferenza psicologica, attraverso sintomi quali cefalee, dermatiti, disturbi gastrointestinali.

Abbiamo constatato che a rivolgersi maggiormente al servizi di supporto sono le donne, di una fascia di età compresa tra i trenta fino agli ottant’anni, che in molti casi stanno affrontando la convalescenza da Covid-19 in isolamento. Molti degli invii al nostro sportello partono dall’Usca (Unità Speciali di Continuità Assistenziale), nel momento in cui i pazienti manifestano la necessità di avere un aiuto psicologico.

In linea generale, è emersa una certa omogeneità nella popolazione rispetto alla sintomatologia legata al malessere psicologico, sebbene le fasce più fragili della popolazione stiano subendo il disagio maggiore. Gli anziani stanno accusando molto la solitudine a causa dell’isolamento e della impossibilità di vedere i propri cari. Vivono un forte senso di abbandono. Il timore del contagio si accompagna alla paura del ricovero.

Gli adolescenti risentono significativamente sia la mancanza della frequenza scolastica in presenza, sia della possibilità di stare in gruppo. La preclusione a qualunque attività sportiva, ricreativa, di socializzazione, aggregazione, sta condizionando pesantemente lo sviluppo ontologico dei ragazzi. Si ravvisano stati di abulia e apatia, perdita di interessi, scarsa capacità di concentrazione che inficia a sua volta i processi di memoria e quindi di apprendimento, con un conseguente calo del rendimento scolastico. Per compensare la noia dovuta alla mancanza di stimoli e alla impossibilità di organizzare le proprie giornate con attività costruttive, trascorrono molte ore davanti al computer, su internet, andando a dormire sempre più tardi, con una disregolazione dei ritmi circadiani di sonno-veglia”.

Si può ben immaginare come la condizione di isolamento forzato abbia acuito le difficoltà di soggetti già particolarmente vulnerabili. È così?

“Sì, è così. L’isolamento forzato e la condivisione di spazi talvolta piccoli hanno influito negativamente sulla capacità di fare fronte in modo adattivo allo stress. Le persone con disabilità fisiche/psichiche, e i loro caregiver, sono sottoposti ad uno stress maggiore rispetto alla media, soprattutto nei casi in cui non sia possibile continuare le terapie o vi sia una discontinuità nella frequenza. La Dad (didattica a distanza) in molti casi non è applicabile a bambini con disabilità inficiando non solo la possibilità di apprendimento  ma anche l’inclusione scolastica. Inoltre la permanenza a casa per un periodo protratto di tempo può generare stati di malessere, insofferenza e nervosismo anche nei più piccoli.

È importante che queste famiglie non si sentano abbandonate a loro stesse, che possano contare su una rete sociale e di servizi, attraverso una continuità di contatti seppur da remoto, come fattori protettivi fondamentali.

Le persone colpite dal Covid-19 hanno sviluppato un atteggiamento difensivo di evitamento dei luoghi pubblici con tendenze fobiche rispetto al contagio e una maggiore percezione di senso di minaccia per la propria incolumità. I familiari delle vittime hanno altresì subìto un violento distacco, e in alcuni casi, senza poter celebrare i funerali. La cerimonia funebre permette anche l’inizio della elaborazione del lutto, ha in sé una implicita valenza come rito di passaggio, di commiato, di distacco. Compito degli psicologi è anche aiutare a superare un trauma così forte e inaspettato.

È necessario mostrare particolare attenzione verso le persone con pregresse fragilità psicologiche, o che la situazione stressante ha contribuito a slatentizzare, per indirizzare ad una presa in carico più strutturata e duratura nei Servizi territoriali. Lo stesso vale per persone che hanno dipendenza (alcol, droghe, gioco d’azzardo). Si è inoltre registrato, a livello nazionale, un aumento dell’uso (abuso) di alcol e nicotina”.

E poi c’è chi si trova quotidianamente a contatto col dolore e la morte, mi riferisco in particolare agli operatori sanitari. Cosa ci può dire a riguardo?

“La maggior parte degli studi epidemiologici recenti indica che le categorie più a rischio di sviluppare sintomi psicologici legati allo stress a lungo termine sono le persone sopravvissute al contagio, specie se ospedalizzate; le famiglie delle vittime e gli operatori socio sanitari, di cui gli infermieri risultano essere la categoria più vulnerabile. Nello specifico. per rispondere alla sua domanda, gli operatori sanitari sono sicuramente i più esposti al rischio di Burn Out.

In una fase iniziale della epidemia, gli alti livelli di adrenalina hanno consentito di fare fronte alle incalzanti ed incessanti richieste emergenziali, affrontando mille difficoltà e turni massacranti. Con il passare dei mesi però, l’emergenza – nonostante abbia avuto un andamento oscillatorio tra alti e bassi – non si è mai interrotta del tutto.

Nel lungo termine, l’impossibilità di avere un turn over adeguato, il disagio di lavorare con dispositivi di sicurezza ingombranti e limitati, il contatto diretto e costante con la morte, vissuti di rabbia, stanchezza cronica, elevati livelli di ansia, possono diventare fattori predisponenti al rischio di burn out. Le conseguenze di un crollo psichico ed emotivo, creano chiaramente delle condizioni inconciliabili con il lavoro a causa di una forte perdita di motivazione, scarsa resilienza e talvolta minore empatia, come modalità difensive estreme, a causa delle eccessive richieste che hanno usurato ogni risorsa mentale ed emotiva.

La Sipem SoS si è occupata a livello nazionale di offrire supporto psicologico anche alle professioni sanitarie, in considerazione della estrema delicatezza della loro condizione e del fatto che, pur essendo pronti e formati ad affrontare notevoli stress, non sono immuni dalla possibilità di ammalarsi o cedere. A livello regionale i sanitari dell’Usca, dei reparti covid del Cardarelli di Campobasso, così come i medici di base, sono allo stremo delle forze. Ricordo che il nostro servizio, se ne avessero necessità, è rivolto anche a loro!”

Insomma, sembra essere – quella del ‘disagio’ psicologico – una pandemia nella pandemia. Cosa stiamo rischiando? E come è possibile affrontarla?

“Questo anno è stato caratterizzato da un profondo senso di perdita. Una perdita pervasiva che ha minato alle basi la vita di ciascuno: perdita di stabilità economica, a volte del lavoro. Perdita delle abitudine, della libertà, della salute, della vicinanza affettiva delle persone care e talvolta, purtroppo, delle stesse. Non solo una perdita contingente, ma anche una perdita ideativa di aspettative sul futuro, che ha innescato un senso di frustrazione e impotenza difficile da contrastare. Stiamo rischiando che l’emergenza diventi normalità, consuetudine.

L’emergenza sanitaria, la precarietà lavorativa, le difficoltà familiari, sono fattori che influiscono in modo determinante sulla capacità di adattarsi a una protratta condizione di stress. La salute e il benessere in famiglia sono i primi fattori protettivi, soprattutto per i bambini, che consentono di creare strategie adattive valide e flessibili.

Il rischio che sintomi legati all’ansia possano cronicizzare nel tempo è reale, cosi come i vissuti depressivi. L’ansia ha come emozione di base la paura. Ma è una paura anticipatoria, amplificata, pervasiva e legata a pensieri sul futuro, sulla percezione di non potercela fare. È una reazione legittima a fronte di eventi che hanno minato un equilibrio preesistente. Se gli stati d’ansia arrivano a prendere il sopravvento, significa che qualcosa non è stato elaborato e continua a perdurare. Uno stato di allerta costante porta ad agire spesso attraverso comportamenti irrazionali e poco produttivi.

È importante non sottostimare i segnali di disagio che si vivono, non minimizzare la propria paura o tristezza, magari alimentando un senso di colpa come se si potesse stare male solo in situazioni estreme come un lutto o un ricovero. La sofferenza è qualcosa di molto soggettivo.

Ogni cambiamento comporta la necessità di adeguamento e di resilienza, caratteristiche che non tutti riescono ad attivare autonomamente. Parlare dei propri vissuti aiuta perché interrompe il circolo di pensieri ossessivi e ruminanti, ridimensiona le preoccupazioni ricorrenti. Le emozioni hanno un significativo impatto sulla qualità della vita e sul benessere psicologico. Comprendere di che tipo di emozioni si tratta, renderle narrabili, capire come stanno condizionando la quotidianità, attraverso quali comportamenti vengono agite. Quali strategie si stanno usando per placarle e se sono effettivamente funzionali.

L’abbassamento del disagio emotivo consente una maggiore capacità di pensiero simbolico, giova alla capacità di attenzione e dunque di lavoro, e mantiene l’umore stabile. Si cerca di pervenire ad un nuovo equilibrio che passa anche dal prendersi cura di sé, tenendo la mente attiva e non solo occupata. È utile porsi degli obiettivi anche a breve termine e scandire le proprie giornate organizzando spazi ed orari. Non trascinarsi nella apatia ma investire energie sulle proprie risorse ed interessi. E poi, esserci per gli altri, aiutare gli altri, creare risonanza e coltivare l’empatia.

Gli psicologi possono certamente aiutarti in modo competente, ricordando che siamo in una situazione emergenziale che crea un disagio oggettivo a cui dobbiamo cercare di rispondere al meglio. È importante concedersi il giusto tempo per metabolizzare i cambiamenti. Rispettare i propri tempi di adattamento significa anche permettersi di non stare sempre bene, e non precludersi di chiedere aiuto”.

Lei è più propensa a credere che ci troveremo di fronte a quello che voi psicologi chiamate disturbo post-traumatico da stress o che la capacità adattiva dell’uomo saprà trovare un nuovo assetto funzionale non appena si placherà l’emergenza? In definitiva, riusciremo a tornare ad una pseudo-normalità?

“Come abbiamo visto le riposte degli individui non sono tutte uguali, per cui non è possibile pensare ad un andamento generale, unico e definito. Sicuramente ci saranno delle tendenze dominanti in cui possono coesistere anche gli estremi. Una larga fascia della popolazione ha già risposto in modo efficace alla emergenza, facendo leva sulle risorse personali, sul senso di autoefficacia e autonomia. Le frange della popolazione più fragili e le più esposte hanno accusato maggiormente la stanchezza di resistere e, in taluni casi, non sono riuscite a rimodulare le strategie per la gestione dello stress.

Credo sia prematuro, e anche azzardato, parlare di “Disturbo Post Traumatico da Stress” senza avere condotto un’accurata indagine. A livello nazionale sono attualmente in corso interessanti studi epidemiologici sul tema. Il rischio c’è, ma per poterlo valutare sono necessario studi condotti con un monitoraggio longitudinale, su un ambio campione della popolazione, poiché non è un evento che si realizza immediatamente dal punto di vista clinico, ma ha bisogno di tempo per costruirsi.

Nella popolazione stiamo incontrando sintomi dovuti alla esposizione a eventi estremamente stressanti, alcuni dei quali coincidono con i sintomi riportati tra quelli tipici del Disturbo Post Traumatico da Stress. Ma va precisato che il Disturbo Post Traumatico da Stress, presente nel “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali”, è un disturbo psichiatrico caratterizzato da una sintomatologia complessa e invalidante, con tempistiche di insorgenza e durata da considerare. I sintomi possono presentarsi già a partire dall’esposizione a eventi traumatici, come anche diverso tempo dopo. Molto dipende dal modo in cui ciascun individuo reagisce e risponde all’evento.

La maggior parte delle persone riesce a superare eventi traumatici senza necessità di supporto aggiuntivo. Se però la sofferenza psicologica si prolunga per mesi, interferisce significativamente con la vita lavorativa, sociale e affettiva dell’individuo, senza diminuzione della intensità dei sintomi, è necessaria una valutazione clinica e diagnostica approfondita.

In definitiva, si può senz’altro dire che ritroveremo una normalità, le cui condizioni saranno nuove rispetto a quelle che hanno preceduto la pandemia. Si sono creati nuovi assetti. Ognuno di noi ha vissuto, a volte subìto, trasformazioni radicali, esperienze che non possono non aver lasciato un segno, sebbene non necessariamente negativo. Il cambiamento è già avvenuto, perché ci ha toccati dentro. Probabilmente non avremo per sempre bisogno dei dispositivi di sicurezza, e torneremo alle condizioni pre-epidemiche. Ma ciò non toglie che nessuno dimenticherà quello che abbiamo attraversato e nessuno, volente o nolente, può dire di non essere in qualche modo diverso”.

Il fatto che si sia in tanti a vivere le stesse difficoltà – come accade anche in caso di eventi catastrofici, come un terremoto – e che queste vengano condivise può essere un fattore ‘positivo’? Come dire, è possibile che emergerà una resilienza collettiva?

“Siamo di fronte ad una emergenza che ha caratteristiche peculiari e soprattutto di lunga durata, molto diversa dalle altre emergenze come un terremoto, un’alluvione, che al contrario sono più brevi in acuto e hanno esiti prevedibili. Sono inoltre condizioni che creano un senso di aggregazione, uniscono la comunità con spirito di collaborazione e condivisione. Questa emergenza, invece, è stata caratterizzata proprio del distanziamento dall’altro, che non è solo fisico ma soprattutto relazionale. La pandemia frammenta. Una frammentazione esterna e anche interna, una vita che si spezza continuamente e procede a fatica. Ma è altrettanto vero che la pandemia necessita di azioni collettive, unità di intenti e scelte condivise, sia in fase di prevenzione del contagio che durante le cure sanitarie.

I contesti sociali che subiscono un urto traumatico possono reagire in due modi: cessano di svilupparsi restando in una continua instabilità, a volte, arrivando al collasso. Oppure riescono a fare fronte comune al cambiamento che si impone. Essendo una pandemia un evento di portata mondiale, è plausibile ipotizzare che l’andamento del suo sviluppo non sarà uniforme, come pure i suoi esisti nelle diverse comunità.

Per tornare alla sua domanda, è quindi auspicabile fare leva sul senso di Resilienza Collettiva, che permetterebbe di assecondare il cambiamento, sviluppando nuovi modi di organizzarsi e sussistere”.

 

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