L'Ospite

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San Giuseppe il giusto di Nazaret, patrono della chiesa universale

di don Mario Colavita

 

Sono passati 150 anni da quando papa Pio IX volle mettere sotto la protezione di san Giuseppe la chiesa universale. Nel decreto che porta la data del 7 luglio 1871 troviamo scritto: “in questi ultimi tempi nei quali una mostruosa e abominevole guerra è stata dichiarata contro la Chiesa di Cristo, la devozione dei fedeli verso San Giuseppe è cresciuta e progredita con tale estensione che da tutte le direzioni, innumerevoli e ferventi richieste ci hanno raggiunto”. In verità il culto a san Giuseppe era ben vivo nella chiesa. Sappiamo dalla storia che la devozione a questo santo iniziò a far breccia nel cuore del popolo credente già all’inizio del X secolo.

Il cuore della devozione popolare ha sempre avuto un particole affetto verso lo sposo di Maria e padre legale di Gesù. Liturgia e arte se ne sono interessati, teologi e santi ne hanno diffuso il culto e la storia. Basti pensare a san Tommaso d’Aquino (1274), santa Gertrude (1310), santa Margherita da Cortona (1297), santa Brigida di Svezia (1373), san Vincenzo Ferrer (1419), san Bernardino da Siena (1444), santa Teresa D’Avila (1582), san Francesco di Sales (1622) sant’Alfonso de Liguori (1787), a san Giovanni Bosco (1888), solo per fare qualche nome.

Santa Tersa d’Avila, la riformatrice del carmelo, fu una promoter d’eccezione nella diffusione del culto a san Giuseppe, scriveva che san Giuseppe è il miglior maestro di preghiera: “Chi vuole un maestro che gli insegni a pregare, prenda questo santo come guida e non potrà sbagliare. Ad altri santi nostro Signore ha dato il potere di essere d’aiuto in determinate circostanze, ma questo glorioso santo, come ho sperimentato, aiuta in qualsiasi necessità. Non ricordo di avergli chiesto qualcosa senza averlo ottenuto”.

I papi da Pio IX a Francesco ne hanno ribadito la bellezza del culto e la necessità di un patrono universale.

Papa Francesco lo ha rilanciato in questi tempi come un modello leggendo tra le pieghe della sua vita l’uomo che ispira fiducia e confidenza nell’azione di Dio, difensore dei deboli e dei poveri, san Giuseppe è un padre amato, tenero, obbediente, accogliente, dal coraggio creativo, lavoratore, discreto.

L’uomo che si fida della Parola ne diventa custode. Papa Francesco non ha mai nascosto la sua devozione al santo. Lui stesso confidò il 16 gennaio 2015 nell’incontro a Manila con le famiglie: “Io amo molto san Giuseppe perché è un uomo forte e silenzioso. Sulla mia scrivania ho un’immagine di San Giuseppe mentre dorme e quando ho un problema o una difficoltà io scrivo un biglietto su un pezzo di carta e lo metto sotto la statua di San Giuseppe affinché lui possa sognarlo”.

San Giuseppe è ricordato con il titolo di uomo giusto. Giusto non si riferisce solo alla giustizia, il titolo è riferibile all’uomo che obbediente al volere di Dio si fida di Dio lasciandosi liberare da pregiudizi e paure.

Nella Scrittura il giusto è colui che si offre per gli altri.

Nella Palestina del I secolo la parola giusto evocava l’Antico Testamento, il servitore che paga per i non giusti. È così evocata la figura di Abramo che intercede presso Dio perché le città Sodoma  e Gomorra vengano risparmiate dalla distruzione per “riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano” (Gen 18,24).

Sappiamo dal libro della Genesi della contrattazione di Abramo per salvare la città di Sodoma, alla fine Dio: “Non la distruggerò per riguardo a quei dieci [giusti]” (Gen 18,32).

Il giusto è colui che salva, è più di un santo, un ponte tra Dio e gli uomini; questa idea di un uomo giusto che soffrirà e salverà sarà lo sfondo su cui si muove il libro del profeta Isaia parlando del servo sofferente (cf. Is 53).

Lo tzaddik (il giusto) è un uomo dotato di grandezza morale e audacia di spirito, un uomo che va predicando e che porta la buona parola ai suoi fratelli. Egli vuole insegnare al popolo che si deve servire Dio nella gioia e nel fervore.

Giuseppe è il giusto che non parla ma fa, al contrario degli scribi e farisei che “dicono ma non fanno” (Mt 23,3).

San Giuseppe è patrono dei lavoratori. Fu Pio XI a mettere sotto la protezione di san Giuseppe i lavoratori preda del comunismo nel 1937; papa Pio XII nel 1955 confermò la festa di san Giuseppe artigiano fissata per il 1 maggio.

San Giuseppe è patrono dei padri, nel tempo della crisi dei padri san Giuseppe aiuta a ricentrare la figura del padre nella vita educativa della famiglia.

Rileggendo i vangeli di Matteo e Luca emerge la figura di Giuseppe quale padre coraggioso, creativo, lavoratore ed accogliente.

La nostra società da più tempo soffre la mancanza della figura del  padre. Cosa resta del padre? si domandava Massimo Recalcati: “Nel tempo in cui la sua autorità e la sua forza normativa sembrano essersi irreversibilmente esaurite? Il padre è un ferrovecchio della cultura patriarcale che deve essere archiviato senza alcuna nostalgia?”.

Fanno senz’altro riflettere le parole che Telemaco, figlio di Ulisse dice nei confronti del padre: “Se quello che i mortali desiderano, potesse avverarsi, per prima cosa vorrei il ritorno del padre”.

Desiderare il ritorno del padre vuol dire ri-dare al padre il suo posto nella vita familiare e nella società.

La società secolarizzata del divorzio facile, delle separazioni multiple e delle convivenze non lascia al padre grandi spazi per esprimersi. Anzi, in genere, questo padre, già insicuro perché nessuno gli ha insegnato come si fa ad esserlo, viene caldamente pregato, dalla cultura sociale dominante, di tacere sui sentimenti, e sulle decisioni che contano per i figli.

Sull’assenza dei padri nella società rimane storica l’omelia tenuta a Termoli (CB) da Giovanni Paolo II nel 1983:  “Grande compito, questo, della paternità, al quale non pochi genitori, oggi, sono tentati di abdicare, optando per un rapporto “alla pari” con i figli, che finisce per privare questi ultimi di quel sostegno psicologico e di quell’appoggio morale, di cui abbisognano per superare felicemente la fase precaria della fanciullezza e della prima adolescenza. Qualcuno ha detto che oggi stiamo vivendo la crisi di una società senza padri”.

Il padre è oggi emotivamente assente, spesso addirittura respinto in una grigia terra di nessuno, da cui  non può più guardare, comunicare coi figli, né loro con lui. Quest’assenza, tuttavia, è inaccettabile.

Essere padri vuol dire servire la vita e la crescita, comunicare ai figli il senso e il valore della vita, l’importanza fondamentale dell’educazione umana, sociale, culturale e spirituale.

Se c’è una sfida  oggi non la possiamo non identificare nell’ambito educativo dove la figura del padre sembra essere quasi invisibile.

Per papa Francesco oggi i padri devono recuperare una chiara e felice identità paterna per il bene integrale della famiglia.

San Giuseppe diventa modello accessibile, fattibile, accogliente e incoraggiante per recuperare la bellezza di essere padri.

Di san Giuseppe sappiamo poco, i vangeli sono estremamente sobri nella descrizione. C’è una operetta apocrifa “la Storia di Giuseppe falegname” da poco pubblicata che ci aiuta a collocare bene la figura di Giuseppe nella cultura della Galilea del I secolo.

Dalla lettura della Storia emerge un Giuseppe dal tratto umano e semplice, un lavoratore indefesso, un padre e custode amorevole.

Sul letto di morte Giuseppe fa la sua professione di fede nel Figlio che gli assicura: “Su di te non regnerà né l’odore della morte né la sua corruzione, dal tuo corpo non uscirà mai un verme

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