Il caso del san timoteo

Infettati dopo il vaccino, il professor Stuppia fa chiarezza: “Può dipendere da anticorpi bassi o dalle varianti. I test sierologici sono fondamentali”

Il caso degli operatori sanitari del san Timoteo vaccinati col Pfizer a gennaio e ora positivi al Covid e con sintomi. La spiegazione del direttore del laboratorio di genetica molecolare Test Covid 19 dell’Università “Gabriele D’Annunzio” Liborio Stuppia.

Indagare e dosare gli anticorpi al Sars Cov 2 è fondamentale. Soprattutto sui vaccinati. “Non possiamo dare per scontato che tutti reagiscono alla vaccinazione allo stesso modo. Siamo geneticamente diversi, e soprattutto non si può escludere che chi ha fatto il vaccino possa essere infettato da un ceppo diverso da quello originario, da una variante per la quale il vaccino garantisce una minore copertura immunologica”. Il professore Liborio Stuppia, direttore del laboratorio di genetica molecolare Test Covid 19 dell’università Gabriele d’Annunzio di Chieti, fa chiarezza sul caso dei due operatori sanitari in servizio all’ospedale San Timoteo di Termoli che, pur avendo fatto la vaccinazione coll Pfier Biontech a gennaio, hanno contratto la covid-19. Sono in buone condizioni, hanno sintomi lievi. Tuttavia il caso sta facendo discutere. Comprensibilmente.

Professore, cosa potrebbe essere accaduto?

“Molte cose. Bisogna prima di tutto considerare il lasso di tempo intercorso tra la vaccinazione e l’infezione. Se il vaccino fosse stato somministrato un mese fa, ad esempio, gli anticorpi potrebbero non essersi sviluppati. Se invece, come mi sta riferendo, il vaccino risale a gennaio, potrebbero essersi infettati perché comunque non hanno sviluppato una dose di anticorpi sufficiente a evitare i sintomi. Non rispondiamo tutti allo stesso modo allo stesso vaccino, ecco perchè è importante indagare la risposta soggettiva”.

Lei lo fa ogni giorno in laboratorio attraverso i test sierologici. Cosa ci racconta un esame degli anticorpi?

“E’ un prelievo di sangue con pungidito, velocissimo, che in poco tempo è in grado di fare sapere al soggetto che viene analizzato se ha gli anticorpi, e in che dose. Le faccio questo esempio. La mia equipe che lavora tra il laboratorio covid e di genetica e il laboratorio di biochimica è formata da 40 persone compreso il sottoscritto. Tutti ci siamo sottoposti a test sierologico qualche giorno dopo la somministrazione della prima dose di Pfizer. 39 avevano anticorpi già molto sviluppati, uno solo li aveva ancora a un livello molto basso. E’ la stessa persona che dopo la seconda dose di Pfizer presentava anticorpi in numero inferiore a quello degli altri 39, che invece dopo la seconda dose li avevano al massimo. Se io dovessi valutare l’efficacia della singola dose sulla base della casistica direi che è straordinaria, anche se a questa casistica sfugge un caso, appunto. Ma questo accade proprio perché siamo tutti geneticamente diversi e partiamo da condizioni differenti”.

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Dunque si può contrarre il virus e perfino sviluppare la malattia dopo il vaccino?

“L’evidenza ci dice che è possibile, sì. Sappiamo che il vaccino ci protegge soprattutto dai sintomi oltre che dall’infezione nel momento in cui si sviluppano gli anticorpi, ma noi vediamo solo una parte della risposta immunitaria perché c’è un’altra parte che passa attraverso la memoria immunologica. E stiamo lavorando molto anche su questo”.

Oltre a una dose insufficiente di anticorpi favoriti dal vaccino ci sono altre ipotesi dietro i casi di infezione di persone già vaccinate?

“Le varianti. Al momento, con la casistica a disposizione, non si può escludere che ci si possa infettare, pur essendo stati vaccinati, da un ceppo non originale del virus, contro il quale la copertura del vaccino sappiamo essere più ampia”.

E questo vale anche per la variante inglese, quella che lei ha isolato fra i primi e che circola in Molise con percentuali sopra il 90%?

“A livello scientifico sappiamo che la variante inglese è coperta dal vaccino. Ma da sospette infezioni che ci vengono segnalate e che stiamo sequenziando nel nostro laboratorio non possiamo escludere varianti all’interno della variante inglese”.

Importante perciò è capire bene, per studiare il virus e lavorare sulla prevenzione.

“Assolutamente. Abbiamo due strumenti. Il sequenziamento che indaga le varianti e i test sierologici, che devono essere fatti in maniera sistematica. Nel nostro laboratorio di biochimica è possibile fare fino a 800 analisi ad alta affidabilità al giorno, una indagine fondamentale specialmente per gli operatori sanitari che devono essere sottoposti periodicamente al test”.

E in ogni caso la sua è una conferma che anche dopo il vaccino non si possono abbandonare mascherine e distanziamento.

“Il vaccino funziona, neutralizza o riduce le possibilità dell’infezione, ma non ha effetti identici per tutti, come ho già detto. Dunque saremmo folli a immaginare, a breve e medio termine, di abbandonare le misure di protezione. Dire che il rischio di infettarsi c’è anche per chi è vaccinato non significa fare allarmismo, anzi. Ma aumentare la nostra consapevolezza collettiva. Non pensiamo che a giugno o luglio, anche se saremo tutti vaccinati, potremo smettere di indossare la mascherina, lavarci le mani il più possibile, mantenere le distanze. Sarebbe una illusione che non fa i conti con la realtà”.

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