Esattamente 12 mesi fa la nostra vita è cambiata. Tra stupore, timori e diffidenza, tutti noi abbiamo pian piano iniziato a fare i conti con una realtà – quella della nostra quotidianità – che irrimediabilmente mutava. Nessuno di noi però avrebbe mai pensato che i tempi della ‘nuova vita’, quella vita monca e scandita da limitazioni prima impensabili, sarebbe stata realtà anche un anno dopo.
Il 9 marzo 2020 l’Italia entrava nel cosiddetto lockdown: la sera precedente tutti incollati a smartphone e televisori ad ascoltare l’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che enucleava cosa sarebbe successo da lì ai primi di aprile. Previsione temporale che poi – Dpcm dopo Dpcm – si è rivelata del tutto ottimistica.
Era l’inizio di quella che Antonello Barone definì sulle pagine di questo giornale la ‘terra ignota’. “Tutto quello che sapevamo ieri non c’è più, non vale più”.
Il 7 e l’8 marzo c’erano stati i primi divieti, apripista di quella che sarebbe stata la chiusura tout court, e chi rientrava dal Nord iniziò ad avere l’obbligo di comunicarlo alla autorità sanitarie e regionali, e valeva anche per il Molise.
Il Molise, che pochi giorni prima aveva avuto il suo ‘paziente 1’, una donna di Montenero che si era contagiata in Campania, stava in quel tempo facendo i conti proprio con un cluster importato dal Trentino Alto Adige. Un cluster che nessuno forse dimentica, perché tra i contagiati c’erano anche medici e infermieri dell’ospedale San Timoteo che proprio la sera del 5 marzo venne chiuso. Rimase interdetto per giorni e giorni, e anche questo nessuno poteva mai immaginarlo se non in un romanzo distopico.
In un primo momento un’onda di spirito di comunità forse mai sperimentata prima si impossessò di tutti noi. Emblematici in questo senso i flash-mob canori sui balconi e gli striscioni del ‘ce la faremo’.
Ma la distopia divenne sempre più prepotentemente realtà, e – ecco l’inimmaginabile – perdura fino ai nostri giorni, e ormai di quello spirito è rimasto è rimasto ben poco. Non sappiamo dove collocare precisamente l’inizio dell’incubo: di certo il 9 marzo la doccia fredda della prima vittima molisana del coronavirus contribuì molto a far mutare la percezione degli eventi.
Da allora i morti con Covid-19 nella nostra regione sono stati circa 400.
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