L'allarme

Il capo della Procura: “I clan provano ad infiltrarsi nella fragile economia molisana e non è a causa della crisi Covid”

Nicola D'Angelo parla di substrato culturale che purtroppo non nasce adesso. La criminalità organizzata interviene dove ci sono aziende in difficoltà e il disastro economico provocato dalla pandemia ha soltanto reso "perfetta la tempesta"

Crepe che in molti casi esistevano già. Spaccature che sono diventate la strada per infiltrarsi e divorare le attività economiche (in difficoltà già prima del covid) poi messe definitivamente in ginocchio dalla pandemia.

Ma la crisi economica non è legata soltanto all’emergenza coronavirus. Che, secondo le analisi condotte recentemente ha probabilmente soltanto accelerato un’agonia economica iniziata da almeno un decennio.

Ora assistiamo soltanto fattivamente alla chiusura forzata di attività di ristorazione, negozi, centri estetici, piccole imprese. Realtà esistenti soprattutto in regioni come la nostra, dove le grandi realtà  industriali si contano sulle dita di una mano e le piccole aziende sono il motore dell’economica locale. Motore che diventa quindi obiettivo di investimento per la criminalità organizzata.

Perché se è vero che le organizzazioni malavitose (perlopiù quelle campane e pugliesi) da tempo tengono i riflettori puntati sul Molise per tentare un radicamento e una stabilità territoriale, è altrettanto vero che, purtroppo, a causa della crisi economica sono aumentate le proposte di aiuto economico “anomale”: quelle avanzate ad aziende in crisi o ad imprenditori in difficoltà. Perché chi ha enormi disponibilità finanziarie sono sempre i clan.

Le associazioni criminali pronte ad entrare nell’economia legale sfruttando le difficoltà economiche delle imprese, investendo e riciclando denaro che proviene da attività illecite. D’altronde è sempre stato questo lo scopo della mafia: fare soldi sporchi e ripulirli nell’economia legale. E adesso è la forbice delle possibilità si è soltanto allargata.

Questo è il rischio quotidiano che incombe sul Molise. La Distrettuale antimafia ammonisce da tempo al riguardo. “Ci sono indagini. Stiamo lavorando” è l’altolà che periodicamente il capo della Procura, Nicola D’Angelo lancia in occasione di incontri convocati per raccontare l’ennesimo fatto di cronaca di cui l’opinione pubblica deve essere informata. E quel suo “Stiamo lavorando” è puntualmente un avvertimento alla popolazione affinché presti attenzione a certe richieste ma soprattutto si affidi alle Istituzioni rispetto ad ogni dubbio.

Appello che ha ripetuto anche in occasione della conferenza sull’inchiesta “Red Zone” con tanto di tentata estorsione (ai danni di un imprenditore) aggravata dal metodo mafioso.

“Questo signore – ha ripetuto D’Angelo riferendosi alla vittima – ha bussato alle porte della Squadra mobile e ha chiesto aiuto. Si è fidato. Ha scelto, schiena dritta, di collaborare. Ecco: la sua collaborazione, il suo coraggio e la sua fiducia nelle istituzioni ci hanno permesso di stroncare sul nascere un’azione che avrebbe potuto avere conseguenze di altro tipo”.

Dunque ribadisce che a fronte dei “diversi accertamenti che stiamo conducendo” è importante che la popolazione “Collabori con noi. Che si affidi a noi. Nessuno sarà mai lasciato solo”.

Quello dell’economia in crisi è il momento ideale attraverso cui la criminalità organizzata agisce. Una sorta di “tempesta perfetta” per far sembrare l’aiuto “anomalo” l’unica scelta possibile. E aprire quindi la strada ad insediamenti che punterebbero a monopolizzare il territorio.

E non è soltanto colpa del covid. Questo D’Angelo lo ripete senza alcuna ritrosia: “Per quello che sappiamo noi non c’era  bisogno del covid per avere questi problemi. Questi rischi già c’erano. Ora, non siamo in grado dire quanto la situazione sia peggiorata ma è oggettivamente più delicata perché sono molti di più gli imprenditori che non hanno più disponibilità economica. Tuttavia  il substrato culturale di certe dinamiche, purtroppo, ha radici che nascono negli anni precedenti e non certamente nella crisi causata dal covid”.

Il “welfare mafioso” in sostanza cerca il consenso territoriale che trova laddove le banche chiudono le porte e la liquidità delle aziende è agonizzante. Le organizzazioni criminali si infiltrano con facilità quando tutto è prossimo al crollo per questo “noi non abbassiamo la guardia – ha concluso D’Angelo – ma imprenditori, lavoratori e chiunque è in difficoltà deve sempre ricordare che, anche soltanto raccontare un episodio che può sembrare ‘strano’ alle autorità competenti, può aiutarci e quindi aiutare ad evitare conseguenze che rischiano di diventare inarrestabili”.

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