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Covid, volontario 118 supera la malattia ma per l’Asrem va ugualmente vaccinato. Utile? L’esperto: “Dipende dagli anticorpi”

Operatore del 118 tornato negativo dopo aver contratto l'infezione da Coronavirus è stato chiamato dall'Asrem per il vaccino. Secondo l'esperto Giuseppe Cimino potrebbe non essere più immune ma per stabilirlo con certezza servirebbe un test di misurazione degli anticorpi che non gli hanno mai fatto.

Vaccinare anche chi ha già avuto la malattia della Covid 19 è un tema largamente dibattuto soprattutto alla luce delle tante difficoltà di una campagna vaccinale di massa che stenta a decollare e dei tagli ai rifornimenti dei sieri anti Coronavirus distribuiti dalle case farmaceutiche.

Se sia utile oppure no rendere immune chi ha già naturalmente sviluppato anticorpi al virus Sars CoV-2 è quello che proverà a spiegare il dottor Giuseppe Cimino, immunologo in pensione ed ex primario del centro trasfusionale dell’ospedale Cardarelli di Campobasso.

Cimino Giuseppe

Dottore, partiamo da un caso che si è verificato in Molise: qualche giorno fa un operatore del servizio di emergenza-urgenza 118 è stato contattato dall’Asrem per la vaccinazione anti Covid. Lo stesso si era già ammalato durante la prima ondata pandemica negativizzandosi a maggio. Il vaccino in questo caso è necessario?

“Ritengo di sì soprattutto perché se il suo tampone molecolare è tornato negativo a maggio sono trascorsi molti mesi da allora e possiamo tranquillamente presumere che anche il dosaggio di anticorpi sia molto più basso di allora”.

Significa che, nonostante la malattia accertata non ha più protezione, insomma, che non è più immune?

“Per stabilire con esattezza il titolo anticorpale (la concentrazione di anticorpi) sarebbe utile un test. In assenza di questo, che sarebbe certamente la via preferibile, già i tempi di negativizzazione del soggetto possono essere un indicatore utile a stabilire se ha necessità o meno della vaccinazione”.

Sappiamo dall’operatore 118 che ha da poco ricevuto la prima dose del vaccino Pfizer che non gli è stato eseguito alcun test di dosaggio degli anticorpi. Tantomeno un più comune test diagnostico rapido (o sierologico) in commercio per screening veloci e in grado di determinare qualitativamente la presenza degli anticorpi nel sangue. La differenza tra i diversi test sierologici (quantitativi e qualitativi) è sostanziale perché mentre il primo definisce il valore quantitativo e il tasso di aumento della concentrazione di anticorpi IgG o IgM relativi al virus, il secondo indica unicamente la presenza degli anticorpi IgG e IgM connessi al virus.

Il dottor Cimino, però, ci svela una buona notizia: dalle informazioni di cui è venuto in possesso ha saputo che sono in arrivo kit sierologici in grado di definire il titolo anticorpale (se alto o basso) e dunque aiutare anche l’Asrem a capire se è il caso di vaccinare o meno chi ha superato la malattia con successo. Fino ad allora la stessa azienda sanitaria consiglia di rivolgersi al proprio medico di famiglia sebbene la valutazione definitiva la farà il personale medico addetto alle vaccinazioni dopo aver intervistato (anamnesi) il soggetto  che sta per ricevere il siero.

“Il test sarebbe ottimale – ammette ancora il dottore Cimino – ma questo non vuol dire che un soggetto con un titolo anticorpale ancora sufficiente a tenere alla larga il Coronavirus corra rischi seri in caso di vaccinazione. Lo escluderei. Al limite un problema potrebbe sorgere nel caso in cui si riammala a causa di uno dei virus mutati (le cosiddette varianti) di cui sappiamo ancora troppo poco. L’anticorpo – e su questo punto bisogna essere chiari – riconosce solo quel particolare virus quindi se c’è una variante l’anticorpo non lo riconosce più. Ecco perché bisogna iniziare a pensare a più vaccini un po’ come avviene ogni anno con quello influenzale che ‘addestra’ il sistema immunitario a riconoscere i ceppi più comuni”.

Ma non tutti, perché anche per la ‘banale’ influenza – che poi anto banale non è – le varianti sono numerose ogni stagione invernale.

Un ragionamento quello dell’immunologo campobassano più che mai attuale visto l’arrivo della variante inglese che ormai circola non solo nella zona rossa del basso Molise e che, sebbene non è ancora predominante rispetto al virus originale, potrebbe (ci sono stime e dati a conforto) prenderne il posto nelle prossime settimane.

La maggiore trasmissibilità, forse anche la maggiore letalità, lasciano purtroppo  presagire questo scenario infausto.

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