La lettera per la comunità

La luce nell’anno più buio: “Male peggiore della pandemia sarebbe tornare alla vita di prima”

Lo straordinario contributo di don Gianfranco De Luca, vescovo della Diocesi di Termoli-Larino, che ripercorre l'anno di morte e di angoscia della pandemia. Il 2020 però, per il monsignore, è stato sì un anno di ansia e oppressione, ma anche di luce e di riscoperta dell'autenticità

UN ANNO SOTTO LA LUCE DELLA PAROLA DI DIO

vescovo de luca

Nel concludere l’anno 2020 ho incontrato una Parola che mi ha aperto l’animo a qualcosa di inatteso, anche se profondamente vero e presente nella mia vita e nel cammino della nostra Chiesa diocesana: “Mi afferra l’angoscia e l’oppressione, ma la tua parola mi sostiene”.

È risultato immediatamente evidente come questo versetto interpreti e illumini l’anno trascorso: dentro una situazione di pandemia che ha prodotto angoscia e oppressione, con il conseguente spaesamento in me e tra noi, ho avuto modo di trovare, di volta in volta, nella Parola di Dio e nelle sue molteplici e puntuali espressioni, il sostegno per rimanere in piedi, per non lasciarsi cadere le braccia; la luce per vedere oltre le tenebre e le nebbie delle incertezze; la forza per essere presenti e propositivi; la spinta a intravedere e preparare il nuovo che ci attende.

Voglio ripercorrere con voi questo cammino, lasciandomi guidare da quello che via via vi ho comunicato attraverso la condivisione di quanto ho vissuto insieme a voi e per voi. Iniziando il cammino di Avvento del 2019, annunciavo il Pellegrinaggio delle Reliquie di San Timoteo a San Pietro. Coglievo in una Parola dell’Apostolo Paolo la chiave di volta per vivere dentro il tempo di Avvento e di Natale che la liturgia annualmente ci propone, arricchito dalla grazia del dono inatteso che avremmo vissuto immediatamente dopo il tempo natalizio. “Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce” (Rm 13,12): guidati da questa parola abbiamo iniziato il cammino di un anno che si sarebbe aperto con un evento, sicuramente unico e storico per la nostra Chiesa diocesana e nello stesso tempo impegnativo e stimolante.

Ci siamo sentiti invitati a far venir fuori quello spirito di forza, amore e prudenza (cf. 2Tm 3,16) che ognuno di noi ha ricevuto nel Battesimo e a custodirlo e farlo crescere grazie ad un rapporto costante e vivo con la Parola di Dio. Una esperienza ricca e profonda la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, vissuta nella Basilica di San Paolo, da una piccola rappresentanza della Diocesi. Un momento di grazia straordinaria, fondativa per la nostra identità di Chiesa Diocesana, quello vissuto nel pellegrinaggio diocesano di tanti fedeli e dei primi cittadini dei nostri comuni, nell’Aula Paolo VI, nell’incontro personale di molti con Papa Francesco, culminato nella solenne celebrazione della Domenica della Parola nella Basilica di San Pietro.

sindaci basso molise dal papa

Proprio nella comunione vissuta con Papa Francesco e nel cuore della cristianità, abbiamo fatto una esperienza di profonda identità e singolarità come Chiesa Locale. Ne siamo usciti luminosi e pieni di forza nella nostra missione, e in modo nuovo abbiamo scoperto il dono che rappresenta per la nostra Chiesa la consegna della custodia delle Reliquie di San Timoteo. Abbiamo sentito nostro compito specifico quanto l’apostolo Paolo consegna a Timoteo: “Annuncia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con magnanimità e dottrina” (2Tm 4,2): proprio con questa parola introducevo il piccolo sussidio preparato per tutti noi in occasione della Domenica della Parola.

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Si apriva davanti a noi un anno ricco di prospettive e di possibili iniziative… È accaduto tutt’altro! L’inizio e la diffusione della pandemia, hanno gradualmente e irrimediabilmente fatto crescere in noi e tra noi “l’angoscia e l’oppressione”. Ci siamo ritrovati “ingabbiati” e abbiamo sperimentato tutta la nostra vulnerabilità e impotenza. Il vangelo della trasfigurazione, che leggiamo ogni seconda domenica di quaresima, attraverso le parole che Gesù rivolge agli apostoli, rimasti come storditi dall’esperienza vissuta: “Alzatevi e non temete” (cf. Mt 17,7), suggeriva, e nello stesso tempo donava, a me e a tutti noi, la possibilità e la modalità di vivere dentro quello che stava accadendo: non resa, scoraggiamento, chiusura, ma possibilità di vivere una unità solidale e premurosa con gli altri e un invito a tornare al centro della nostra esistenza. Dio non vuole il male, lo fa suo, assumendolo su di sé, e non ci lascia soli, ci è vicino nella sofferenza. Anche il digiuno eucaristico a cui sono state costrette le nostre comunità, poteva offrire l’occasione a sentire in profondità la mancanza di Cristo vivo in mezzo a noi e a far crescere la fame della Parola e dell’Eucaristia.

Il silenzio che in quel tempo avvolgeva le nostre cittadine e rendeva spettrali le strade che normalmente percorrevamo, è diventato luogo da abitare e possibilità di “ascoltare” la parola di verità che vive in ognuno e sostiene ogni cosa.

E poi: la realtà della morte. Spesso rimossa e accantonata in una cultura della perenne giovinezza, si è riproposta in tutta la sua crudezza e tragicità. Proprio quando le cronache quotidiane ce la riproponevano senza anestetici e con immagini desolanti, nelle letture della liturgia della quinta domenica di quaresima, ci veniva riproposto il brano del profeta Ezechiele: “Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio… l’ho detto e lo farò” (Ez 37,12-14) e nel Vangelo veniva letto il racconto della rianimazione di Lazzaro (cf. Gv 11,1-53).

L’angoscia e l’oppressione certamente afferravano le nostre anime, ma la Parola ci sosteneva. Gesù apre alla possibilità contenuta nel nostro limite, nella morte stessa: quanto per noi sarebbe solo uno scacco definitivo, in Lui, che è la Risurrezione e la Vita e che piange la morte dell’amico, diventa il luogo della comunione con Lui e tra noi.

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Evento emblematico e profetico è risultato quello della Preghiera di Papa Francesco in Piazza San Pietro, trasmesso in mondovisione. Il mondo intero era in quella piazza, angosciato ed oppresso. E nel silenzio profondo di quel luogo e nella pioggia fitta e leggera di quella sera, ha percepito la vicinanza e il sostegno di Dio che nel suo Figlio Crocifisso si è fatto Pane e Benedizione per tutta l’umanità.

papa piazza san pietro pandemia

Certamente le celebrazioni del Triduo Pasquale sono state singolari e segnate da una totale potatura. Il Crocifisso di San Marcello che campeggiava in Piazza San Pietro durante la Via Crucis del Venerdì Santo, ci ha ripresentato la misura e lo spessore dell’Amore infinito di un Dio, che facendo sua la nostra morte, ci rende partecipi di una Vita che nessuno ci può togliere. Proprio come leggiamo nel Cantico dei Cantici: “le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i grandi fiumi travolgerlo” (Ct 8,7).

Così anche il mese di maggio, tanto ricco di feste e di iniziative per la vita delle nostre comunità, è stato illuminato dalla Parola: “Fate quello che egli vi dirà” (Gv 2, 5) che Maria rivolse ai servi delle nozze di Cana. Nel “fare” la Parola di Dio, non restiamo esposti alla brusca interruzione di una festa, anzi abbiamo la possibilità di farne una esperienza vera e profonda.

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Così anche le feste dei Patroni hanno dischiuso tutti noi alla possibilità di riscoprirne le origini e di riaccoglierne il fondamento: la fede vissuta e professata dai nostri padri. Essa è risposta obbediente e concreta alla Parola di Dio. Anche nella ripresa, condizionata dalle norme di sicurezza, delle Celebrazioni Eucaristiche, la Parola “Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici” (cf. Gv 15,15) ci invitava a una partecipazione rinnovata nella consapevolezza della relazione di amicizia alla quale Gesù ci chiama e ci introduce, come singoli e come comunità.

Abbiamo vissuto il tempo dell’estate con qualche condizionamento in meno ma con il desiderio profondo di vivere fino in fondo la Grazia del tempo presente. A questo ci stimolava il pensiero di Papa Francesco: male peggiore della pandemia che stiamo vivendo sarebbe il pensare di tornare a fare le cose di prima.

Ci siamo sentiti interpellati da questa provocazione e abbiamo avuto tempo e modo di confrontarci e di condividere quanto stavamo vivendo e quanto ci veniva in evidenza nel tempo trascorso segnato dalla distanza e dalla impossibilità di azione. Una chiamata chiara e precisa a vivere e promuovere la cultura della cura, che nasce dalla nostra comune appartenenza a Cristo e in Lui a tutta l’umanità e a tutto il creato. Anche qui una pagina del Vangelo, quella della vite e i tralci (cf. Gv 15,1-11), ha fondato e illuminato il nostro cammino, così come ho avuto modo di scrivere nella lettera pastorale.

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L’inizio dell’anno pastorale coincideva con la ripresa dell’espansione della infezione del Covid-19 che ci ha riportati nella situazione di angoscia e oppressione, appesantita dalle conseguenze socioeconomiche che non solo non vedevano una inversione di tendenza, ma si aggravavano ulteriormente. La Parola, celebrata e vissuta nel tempo attraverso le tappe dell’anno liturgico, con l’Avvento ci dischiudeva la possibilità di entrare nella consolazione di Dio, pur attraversando la desolazione del presente: “Consolate, consolate, il mio popolo” (Is 40,1). Una consolazione che nasce dalla celebrazione del mistero dell’Incarnazione, grazie al quale la mia carne, la carne di ognuno di noi, è carne di Dio.

 

Nel ripercorrere sinteticamente il cammino dell’anno trascorso, devo proprio confessare e testimoniare con forza: “Mi afferra l’angoscia e l’oppressione, ma la tua parola mi sostiene”. E ancora una volta, in questi giorni, leggendo il libro della Sapienza, ho avuto chiaro il senso e la possibilità che l’esperienza vissuta in questo anno contiene e mi offre: “La sapienza (ossia la Parola di Dio) entrando nelle anime, forma amici di Dio e profeti” (Sap 7,27). In questa Domenica della Parola prendiamoci insieme l’impegno a vivere anche quest’anno così: a “fare” la Parola, a viverla come singoli e come comunità, perché divenga sempre più vita della nostra vita.

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