Campobasso

Giovani e apparentemente sani, ma di colpo il cuore si ferma. L’esperto spiega: “La morte improvvisa esiste”

In provincia di Campobasso nell’ultimo periodo si sono verificati alcuni decessi per arresto cardiaco anche in soggetti con meno di 50 anni. Fatto che ha alimentato qualche preoccupazione tra la popolazione. Il cardiologo Quintino Parisi: “La morte cardiaca improvvisa colpisce ogni anno 50mila persone, ecco da cosa dipende”

Negli ultimi giorni in provincia di Campobasso sono morte diverse persone per morte improvvisa cardiaca, secondaria ad un arresto cardiaco. In molti casi si tratta di decessi a prima vista incomprensibili, perché hanno colpito soggetti giovani e senza alcuna patologia riscontrata precedentemente.

In molti hanno manifestato preoccupazione per queste morti apparentemente inspiegabili. Perché, appunto, l’età è bassa (parliamo anche di tre casi under 50, da ultimo quello che riguarda il prof di inglese di 42 anni) e perché alcune persone che hanno perso la vita conducevano una vita sana, senza eccessi in grado di favorire l’insorgenza di cardiopatie fatali. Ma allora, cosa succede? E perché?

Ce lo siamo chiesti e lo abbiamo domandato ad un esperto: il dottor Quintino Parisi, dell’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica e Cardiologia Clinica dell’Ospedale Cardarelli di Campobasso. Il suo lavoro è in prima linea per il trattamento delle emergenze, tra cui ovviamente, quelle cardiache.

La morte improvvisa cardiaca è l’esito di un arresto cardiaco non trattato o refrattario alle terapie. È una morte naturale dovuta a cause cardiache, caratterizzata dalla perdita istantanea di conoscenza entro un’ora dalla insorgenza di sintomi acuti. Talvolta può non essere preceduta da alcun sintomo o addirittura presentarsi come primo esordio della cardiopatia. Una eventuale cardiopatia preesistente, dunque, può o meno essere stata precedentemente diagnosticata, ma il momento e il modo del decesso sono comunque inaspettati – spiega il dottore Parisi -. L’arresto cardiaco può colpire chiunque, quasi sempre senza preavviso, indipendentemente dall’età e dalla condizione fisica. Se il ritmo cardiaco non viene ristabilito velocemente, la morte sopraggiunge in pochi minuti e danni cerebrali irreversibili possono manifestarsi dopo appena 5–6 minuti”.

In Italia la morte improvvisa cardiaca ha un’incidenza annua di 1 su 1000 abitanti, quindi circa 50-60mila casi all’anno e la stragrande maggioranza di queste morti (più del 90%) riconosce come causa una aritmia cardiaca.

La morte cardiaca improvvisa spesso colpisce un cuore che potrebbe tornare in attività ed un organismo che può essere ancora vitale – continua Parisi – a patto che si intervenga rapidamente ed in modo appropriato! Purtroppo l’80% dei casi si manifesta in ambiente extra ospedaliero, cosa che limita significativamente la rapidità e la efficacia dell’intervento”.

Le cause della morte cardiaca improvvisa possono essere molteplici, ma tutte hanno una origine cardiovascolare: “C’è la cardiopatia ischemica a causa della quale, ad esempio, un paziente può andare incontro ad una aritmia fatale nella fase precoce di un infarto miocardico; ci sono poi le cosiddette cardiopatie aritmogene primitive: il cuore di alcune persone, cioè, può improvvisamente andare incontro ad aritmie potenzialmente mortali, in modo del tutto inaspettato e non prevedibile. Nei pazienti giovani, soprattutto negli sportivi, la principale causa di morte improvvisa è la cardiopatia ipertrofica, una patologia caratterizzata da un anomalo ispessimento delle pareti del cuore che determina una sorta di instabilità elettrica che favorisce l’insorgenza di aritmie spesso letali.

Poi ci sono altre cardiopatie aritmogene per le quali non si riescono a documentare anomalie organiche agli esami strumentali cardiaci solitamente eseguiti, ma le alterazioni esistono a livello ultrastrutturale, in sostanza riguardano la cellula cardiaca. In questo caso l’elettrocardiogramma e l’ecocardiogramma possono risultare assolutamente normali o mostrare delle anomalie aspecifiche o comunque non significative, ma il cuore di questi soggetti è predisposto a sviluppare una instabilità elettrica che facilita l’insorgenza di aritmie anche fatali”.

Ma cosa sono le aritmie? “Per aritmia si intende qualsiasi alterazione del normale ritmo cardiaco. Nello specifico, le aritmie potenzialmente fatali sono quelle ventricolari (cioè che insorgono nei ventricoli cardiaci). Sono caratterizzate da una contrazione cardiaca anomala, accelerata (tachicardia) e inefficace. Tanto più è veloce la tachicardia, tanto meno sangue viene espulso dal cuore ad ogni battito. Se questa tachicardia non si arresta spontaneamente o non viene interrotta con dei farmaci o con uno shock elettrico, il cervello e tutto il corpo non ricevono sangue ed ossigeno a sufficienza, per cui il soggetto può lamentare debolezza, affanno, vertigini, cecità temporanea, svenimento. Se continua più a lungo si può verificare un arresto cardiaco e la morte improvvisa”.

E’ quello che è accaduto a giovani atleti, morti in seguito ad arresto cardiaco: “La morte cardiaca improvvisa è certamente un evento che si può verificare anche negli sportivi, sia dilettanti e amatoriali che agonisti. C’è da sottolineare che la legislazione sportiva italiana è una delle più stringenti e migliori al mondo sotto l’aspetto dei controlli e delle indagini clinico-strumentali cui un atleta si deve sottoporre per poter svolgere la sua attività. Questo, tuttavia, dimostra che talora anche le indagini più accurate possono non rilevare anomalie che finiscono poi per rivelarsi fatali. Si tratta di anomalie cardiache purtroppo silenti, almeno fin quando non danno segno della propria presenza”.

Sia che le patologie cardiache siano state già diagnosticate e correttamente curate nel singolo paziente, sia che siano misconosciute, il dottore Parisi ovviamente non risparmia i suoi consigli sulla necessità di condurre quanto più possibile uno stile di vita sano, che significa anche stare il più lontano possibile da fonti di stress.

Perché sì, anche lo stress può favorire l’insorgenza o peggiorare l’evoluzione clinica delle cardiopatie: “Bisogna abituarsi a classificare lo stress in positivo o negativo. E mi spiego: se io amo quello che faccio, se mi piace il mio lavoro, anche se lavoro tanto e mi stanco, non subisco ripercussioni sotto l’aspetto psicosomatico, quindi lo stress è di tipo positivo. Se invece faccio qualcosa che non mi piace, o il mio lavoro non mi gratifica, e quindi la tiro avanti a fatica, senza entusiasmo, subisco dunque uno stress cosiddetto negativo che certamente può avere un effetto favorente sull’insorgenza di un infarto miocardico o di aritmie cardiache”.

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