Il commento

Crisi di Governo/Quando DC e PCI inventarono la solidarietà nazionale con un gioco di parole

Siamo dinanzi a una crisi di Governo imperscrutabile e senza precedenti in termini politici, sociali, economici e soprattutto umani per i centomila morti che stiamo per toccare.

Una situazione che  ha dei riscontri, per certi versi, paragonabili a quella del 1978. Il 9 maggio di quell’annus orribilis l’Italia era annichilita dal rapimento e poi dall’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse e il successivo 15 giugno il presidente della Repubblica Giovanni Leone fu costretto a dare le dimissioni per accuse che poi si rilevarono infondate.

Un momento tragico al quale però la classe politica seppe rispondere facendo nascere un Governo di solidarietà nazionale che non aveva precedenti: un monocolore DC guidato da Giulio Andreotti con l’appoggio esterno del Partito Comunista.

Per Enrico Berlinguer fu facile far digerire alla base l’entrata in maggioranza con i democristiani. Per Andreotti invece si trattava di far digerire il connubio anche agli americani. Ricorse perciò a un capolavoro linguistico che assentiva negando: nacque così il Governo della “non sfiducia”.

Pochi giorni dopo, l’8 luglio, si svolse a Brema uno storico Consiglio europeo che gettava le basi del Sistema Monetario Europeo (SME) e in prospettiva l’Euro. Per l’Italia si trattava di affrontare degli esami di ammissione e di fissare parametri e margini di fluttuazione monetaria piuttosto impegnativi.

Quando  in Consiglio arrivò il turno di esprimere la nostra posizione in materia, Andreotti chiese al cancelliere tedesco Helmut Schmidt di poter procrastinare la risposta. Tutti pensarono che fosse dovuto alla necessità di ascoltare un uomo di grandi capacità, il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi che guidava lo staff tecnico della nostra delegazione. In effetti – come poi appurammo noi cronisti – il ritardo dipese dalla lunga consultazione telefonica che Andreotti volle avere con Berlinguer prima di pronunciarsi.

Detto senza nostalgie e al di là dei giudizi storici, erano altri tempi, altro stile, altra cultura politica. Non a caso tre giorni fa Ferdinando Casini, che quell’epoca rappresenta, ha rimproverato a Conte “errori da matita blu”, rammentando che “anche Craxi e De Mita dicevano mai più insieme, ma poi sapevano ricucire”.

Il fatto è che, a partire da Berlusconi fino a Grillo, Salvini e Renzi, la politica non si è più identificata con le idee ma con gli uomini, è stata demonizzata e le istituzioni ridotte a scatolette di tonno. Così per la retorica parlamentare (e giornalistica) un indumento povero e proletario come la Casacca è diventato simbolo di trasformismo e la Poltrona uno scilipotico emblema di mercimonio (quando vi si accomodano gli avversari).

Ma chissà, forse ci resta solo di sperare che, grazie allo stramaledetto Covid (e alla saggezza di Sergio Mattarella), possa ora iniziare un cammino di contrizione e ravvedimento.

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