Non è stato facile. Prima una lieve febbricola, poi terribili dolori muscolari e infine l’esplosione della febbre vera che brucia e ti bagna i pensieri. Quindi il ricovero per broncopolmonite in Medicina d’Urgenza. E da oggi clinicamente guarito.
Ma ciò che voglio mettere in evidenza è la dimensione psicodinamica della malattia in sé, la condizione che ti espone a te stesso nella tua solitudine di un contesto del tutto inedito che non ammette alcuna deroga, alcuna condizione di socialità partecipativa. Quindi è un binomio. Una dualità tra te e la malattia. E basta. E, in questo ambito, si inseriscono pensieri intrusivi, ansie, attese, riflessioni su un domani che ti auguri di abbracciare e di un ieri che ti penti di aver usato male.
Poi la catarsi, la gioia. E quindi la viva gratitudine. A Nicola Rocchia per la sua smisurata generosità, per la sua grande disponibilità di spendersi senza riserve in un lavoro che non è solo clinica ma anche ricerca, e della quale si dirà a suo tempo nei tanti risultati prodotti.
A Riccardo D’ Uva, fine clinico con piglio da ricercatore attento. Ad Antonio Sorella e la sua spicciola praticità che non ammette inutile enfasi. A tutti, nessuno escluso. Inoltre a Paola Tartaglione, che pur pagando con la perdita della madre la sua lotta al virus, non è mai venuta meno. Sempre presente, attiva, viva e vera in una trincea dove tutti, ma proprio tutti hanno, prima o poi, lasciato il campo. Lei è ancora lì. Credo che lo sarà sempre perché in ogni grande responsabile c’è una donna che lo sostiene, lo rafforza, lo rende edotto, lo ascolta e Nicola lo sa e dovrebbe solo essergliene grato. E onorato fino all’orgoglio. E lo è. Ma noi uomini siamo fatti un po’ così.
Un’ultima cosa: io non ho una dimensione teologica delle cose, ma sono certo che la morte di mia madre per Covid sia stato un suo modo di farmi rinascere e farmi tornare alla vita, anche la mamma di Gianni lo ha fatto. Quale madre non lo farebbe?