Termoli

Un medico guarito dal Covid racconta la malattia e la catarsi. “Non è stato facile, ma oggi sento la gratitudine”

Il dottor Nicola Intrevado, in servizio all’ospedale di Termoli, condivide in una lettera toccante le sue riflessioni sulla malattia che isola e non ammette alcuna socialità, la tensione del ricovero all’ospedale di Termoli ma poi la catarsi. Il grazie ai colleghi, per la generosità e la competenza, e il lutto per la madre uccisa dal virus come occasione di rinascita.

Non è stato facile.  Prima una lieve febbricola,  poi terribili dolori muscolari e infine  l’esplosione  della febbre vera  che brucia e  ti  bagna i  pensieri. Quindi il ricovero per  broncopolmonite  in Medicina d’Urgenza. E da oggi clinicamente guarito.

Ma ciò che voglio mettere in evidenza è la  dimensione psicodinamica della malattia  in  sé, la condizione che  ti  espone a  te  stesso nella  tua  solitudine  di  un  contesto  del tutto  inedito  che non  ammette alcuna  deroga,  alcuna  condizione  di socialità partecipativa. Quindi  è un binomio. Una dualità tra te e la  malattia. E basta. E, in questo ambito, si  inseriscono  pensieri intrusivi, ansie, attese, riflessioni  su un domani  che ti auguri di  abbracciare  e  di  un ieri  che  ti  penti di  aver  usato male.

Poi la catarsi, la gioia. E quindi la viva  gratitudine. A Nicola Rocchia per la  sua  smisurata  generosità,  per  la sua  grande  disponibilità  di spendersi  senza riserve in  un  lavoro  che non è solo  clinica ma  anche  ricerca,  e  della  quale si  dirà a  suo  tempo nei  tanti  risultati  prodotti.

A Riccardo D’ Uva, fine  clinico  con  piglio da  ricercatore  attento. Ad  Antonio  Sorella  e la  sua  spicciola  praticità che  non ammette  inutile enfasi. A  tutti,  nessuno  escluso. Inoltre a  Paola  Tartaglione,  che  pur  pagando con la  perdita  della  madre  la  sua  lotta al  virus,  non è mai  venuta  meno. Sempre presente, attiva,  viva  e vera  in  una  trincea dove  tutti, ma  proprio  tutti  hanno, prima  o  poi,  lasciato  il  campo. Lei è ancora lì. Credo che lo sarà sempre  perché in ogni  grande responsabile  c’è  una  donna  che  lo  sostiene,  lo rafforza,  lo  rende  edotto,  lo  ascolta e  Nicola lo  sa  e  dovrebbe solo essergliene  grato. E onorato  fino all’orgoglio. E lo è. Ma noi  uomini siamo  fatti  un  po’ così.

Un’ultima cosa:  io non  ho  una dimensione  teologica delle  cose,  ma  sono certo che la  morte di  mia  madre  per Covid sia stato  un  suo  modo  di  farmi rinascere e  farmi  tornare  alla vita, anche  la mamma di  Gianni  lo ha  fatto. Quale madre non lo farebbe?