Larino

La piazza, la “Pupa”, il banditore, la famiglia Lancieri: l’estate del 1942 nelle “cronache” del figlio 11enne di un confinato politico

Tra le note autobiografiche del magistrato Marco Ramat, pubblicate nel 1987, vi è il racconto di un’estate trascorsa da ragazzino a Larino con la famiglia per stare vicino al padre Raffaello, confinato politico. Un’inedita fotografia della vita nella cittadina frentana durante la guerra. La scoperta di una realtà inimmaginata, dove abbondano degrado, miseria, diffidenza, comportamenti e personaggi strani. Poche le note diverse e liete, tra cui l’amicizia con la famiglia dell’autotrasportatore Lancieri.

Nate come compiti per le vacanze, le “cronache” scritte dall’undicenne fiorentino Marco Ramat durante il soggiorno a Larino nell’estate del 1942, si sono rivelate a distanza di tempo un prezioso diario sulla vita di quella comunità del Basso Molise in uno dei momenti cruciali della storia italiana.

A Larino Marco, 11 anni, arriva all’inizio di luglio del secondo anno di guerra per ricongiungersi al padre, il prof. Raffaello Ramat, docente di Letteratura italiana, tradotto pochi giorni prima tra due carabinieri e in manette, come un comune delinquente, per scontare un anno di confino politico per la sua avversione al fascismo.

L’obiettivo è rimanere tutta l’estate con lui insieme al resto della famiglia, composta dalla madre, insegnante come il marito, i fratelli Sandra, di qualche anno più grande, Paolo di cinque anni e Silvio di tre. Gli ultimi due in seguito diverranno, come il loro papà, autorevoli docenti universitari, rispettivamente di Linguistica e Letteratura italiana.

Quegli appunti, riordinati e integrati dallo stesso autore nel 1951, oggi fanno parte di un testo autobiografico pubblicato dagli Editori Riuniti due anni dopo la sua repentina morte, avvenuta nel 1985 all’età di 54 anni, con il titolo “Primo codice”, ovvero “l’incontro e lo scontro di un adolescente col mondo degli adulti”.

In esso della cittadina frentana sono raccontati alcuni significativi aspetti di vita quotidiana, abitudini sconosciute, strani personaggi, curiosità, visti, però, con l’occhio di un ragazzino all’epoca già molto perspicace e avido di scoprire un ambiente apparsogli sin dal primo impatto distante anni luce dalla realtà in cui era nato e cresciuto fino a quel momento, quasi un altro mondo.

De Fanis Larino cronache confinato politico

Marco Ramat

Quando scompare, Marco Ramat ha già alle spalle un’intensa attività di magistrato, iniziata come pretore e giunta a consigliere della Corte di Cassazione. Nel mezzo, la responsabilità di segretario di Magistratura Democratica, di membro del Consiglio superiore della magistratura, consulente giuridico della Commissione parlamenta antimafia. Un personaggio di rilievo, dunque, apprezzato per acume e scienza giuridica. Il suo racconto parte da una prima passeggiata col padre alla scoperta del paese.

LA CONCA DI RAME IN EQUILIBRIO SULLA TESTA DELLE DONNE

 Arrivammo in piazza, che è proprio al centro del paese, e le verdure ammassate sui banchi per il mercato mi fecero piacere agli occhi. Ma non ci fermammo, proseguimmo verso la chiesa… Io mi stancai presto di ammirare e guardai intorno a me: vidi una donna che ritornava con un recipiente di rame, che non so ancora come si chiami, in testa, senza reggerlo con le mani, dalla fonte, ma questa non la vidi sennò sarei rimasto stupefatto.

Però rimasi stupito ugualmente: come faceva a non farla cascare? E come andava spedita, saliva e scendeva marciapiedi come nulla: non la guardai più perché fui attratto dal bisticcio fra due donne, mi sarei divertito a sentirlo, ma non capivo una parola di quello che dicevano”.

LA CASA DELLA SIGNORA ASTOLFO

De Fanis Larino cronache confinato politico

Raffaello Ramat 

Non è stato facile per il prof. Ramat trovare casa in paese, sia per obiettive difficoltà, ma anche per i pregiudizi e la diffidenza che accompagnavano i confinati. Alla fine riesce a trovare un paio di stanze ricavate da “una vecchia cappella sulla via di circonvallazione della cittadina”. Due camere uno dentro l’altra, senza finestre, che prendevano aria e luce solo dalla porta d’ingresso, la cui proprietaria era la signora Astolfo, buona borghesia, proprietaria di diverse case e poderi, vedova, anziana con tre figli, di cui due maestre.

“…non ti meravigliare – dice al figlio – qui tutte le case sono cosi. Ora ti farò vedere. Non ci fu bisogno di aspettare, essendo tutte le porte spalancate, così potei vedere tutto ciò che il babbo aveva detto, case con due o tre stanze tutte prendenti luce dalla porta, il letto accanto alla tavola da mangiare e al camino e mosche da non si dire.

Sulla soglia stava un bambino di due anni nudo; ma ho fatto esperienza che questi non sono rari, anzi. Dappertutto un vocio del quale non capivo una sillaba e ogni tanto un grido stridulo di qualche ragazzo che correva scalzo, con un pezzo di pane bianchissimo in bocca, il che faceva un contrasto davvero incredibile”.

Andando in giro per la circonvallazione Marco nota anche “fra nugoli di mosche, perché legati a certi anelli nel muro, dei maiali e ogni dieci passi c’erano dei cavalli”.

LA PIAZZA, IL MERCATO E… 

“I primi giorni mi faceva una grande impressione il paese, la cui vita è tutta concentrata in una piazza e su una via; in piazza c’è il mercato tutte le mattine, arrivano ciuchi, i muli e i cavalli con due ceste o casse dalle parti, contenenti roba di una sola qualità, o cetrioli (dei quali qui c’è un consumo enorme), o zucche di una forma strana, tutta allungata e quasi bianche, o pomodori mezzi ovali ecc.

Dopo un po’ non si vede che il brigadiere, tutto affaccendato a tenere a bada “i gent” che vocia e si abbaruffa per avere i primi posti, e a mettere sulla merce i cartellini dove c’era scritto “Città di Larino” in lettere grandi e sotto il nome della roba, “L. x al Kg” anche se si tratta di bietole. E così comincia la vendita”.

La gente del posto nota subito i “forestieri”, presto tutti sanno che il padre è confinato politico. Alcuni ragazzi li chiamano “gl’inglesi”, forse – immagina Marco – perché quelli erano nemici del Duce oppure perché il babbo va in giro in pantaloni corti, appunto come gl’inglesi. Qualche altra volta vengono gettati contro loro da gente nascosta, torsoli di cavoli e altra verdura, segnali questi chiaramente non di simpatia.

…IL BANDITORE

Quando il venditore vede scarseggiare le persone chiama un omino che dovrebbe fare il banditore del comune, ma accetta tutti i lavori, e gli dice mettendogli in mano 5 lire: “Senti – fa un nome – va’ a cerca ‘i gent’”. E l’omino parte rigirandosi in mano le cinque lire e gira per tutto il paese, ogni venti metri si ferma, porta alla bocca una trombetta e con questa dà un suono così flebile, flebile come il suo vocino che dice: Chi vuole comprare…

Quest’omino bisognerebbe proprio vederlo così com’è perché merita proprio. Alto un soldo di cacio, la testa grossa in cima alla quale porta un berretto di cencio con tanto di visiera: il naso largo come la bocca, gli zigomi prominenti e il viso è in buona parte coperto di barba grigia tutta spunzoni.

Indossa una camicia che doveva essere bianca, ora di un colore indefinibile e sempre con le maniche rimboccate sul gomito; questa è ricoperta da un panciotto che è retto insieme da legacci […]. Un pezzetto più sotto (i calzoni, ndr) vi sono le scarpe, ma credo che non si possano chiamare con tale nome perché vanno via a pezzi e le deve reggere perciò con gli spaghi: alla destra il calcagno gli esce del tutto fuori: questo tipo di calzature lo obbliga a camminare strisciando i piedi.

[…] Sua compagna indivisibile è la trombetta, una trombetta di ottone fatta a corno, proprio indivisibile perché la mattina a volte lo vedo che porta a bere i cavalli e la trombetta gli pende fedele al fianco come un fodero nel quale ripone tutta la vita”.

ALLA FONTANA

Altra sorpresa per il giovanissimo Marco la fila alla fontana per rifornirsi d’acqua: “La coda sapevo che bisognava farla per il pane, per la verdura, per il latte, per la carne, ma certamente non potevo neanche immaginare che bisognava farla anche per l’acqua, e questa è una delle più lunghe e tumultuose.

Perché bisogna sapere che in tutto il paese c’è un’unica fonte: e il bello è che, tranne pochi furbi, la gente ci va tutta a ondate. Così se ci andiamo la mattina presto o nel tardo pomeriggio non c’è quasi nessuno, mentre invece verso le undici o mezzogiorno e alla sera tardi fino alle dieci c’è un vocio, un leticare, un tirarsi spinte e mandarsi epiteti delle persone che sono alle cannelle, mentre le più rassegnate ad aspettare mezz’ora o anche un’ora fanno corona intorno alla fonte stando sedute sui recipienti rovesciati”.

 

LA “PUPA”

Un altro strano personaggio che anima la vita del paese e che colpisce l’attenzione del ragazzo è “una donna mezza, anzi tutta matta; con gli occhi spiritati. Veste un vestito a fiori rosa, sempre il solito, e ha un paio di calzettoni marroni da uomo che regge con un elastico. Tutti i ragazzi, ma non solo loro, le danno la baia gridandole dietro: “Pu-pa, Pu-pa”.

Quella lì risponde con le parole più svariate che si possano immaginare; e, quando può tira anche i sassi, ma più lei se la piglia, più i gridi crescono in numero e tono”. L’avere una sera la sorella Sandra accettata da lei l’offerta di bietola, se la videro presentare tutti i giorni con la stessa merce. Al rifiuto la “Pupa” se ne andava sempre arrabbiata.

L’OFFICINA DI FAZIO

Il primo dei Ramat a fare conoscenza con l’officina da fabbro di Fazio è Silvio, il fratello minore di Marco. Poi presto anch’egli simpatizza con l’artigiano e spesso va a passare il tempo lì, anche perché vicino casa. Fazio oltre a fare il fabbro, fa anche il maniscalco, un mestiere che attrae particolarmente Marco, tanto da raccontarlo minuziosamente: “Allora guardo di fuori dove Fazio sta per cominciare a lavorare; i ferri da rimettere sono di dietro: peggio, perché il cavallo scalcerà di certo. Il padrone deve cominciare a lisciarlo per tutto il corpo emettendo certi versi strani: seguita ad accarezzarlo avvicinandosi sempre di più alla zampa senza ferro, poi rapido lo afferra”.

Marco descrive poi i vari passaggi della nuova ferratura, dalla preparazione dello zoccolo rovinato dal vecchio ferro, alla scelta del nuovo, quindi il passaggio sul fuoco e sull’incudine per adattarlo alle misure del piede, fino ad applicarlo: “Un fumo puzzolente viene fuori per un po’; poi quando il ferro si è raffreddato, Fazio l’attacca con dei chiodi strani e con un martello a due capi […] Il lavoro è così finito, ma io vorrei stare ancora a vedere”.

De Fanis Larino cronache confinato politico

La stazione ferroviaria di Larino negli anni ’30

IL GIOCO A SOLDI CON LE CARTE PER STRADA

Un altro aspetto della realtà colta da Marco a Larino è vedere giocare ragazzi e anziani “sui muriccioli, per terra, in qualunque luogo con un mazzo di carte davanti. I ragazzi cominciano a puntare due soldi: ma via via che aumentano gli anni aumentano le somme che puntano. Quelle che possono le rubano in casa, e i genitori, della stessa pasta, non dicono niente, così seguitano a rubare.

Con questi soldi oltre che giocare vanno da un tabaccaio e comprano le sigarette. E bisognerebbe vedere i ragazzi di otto anni, seduti in circolo, mezzi affumicati, tirar carte e bestemmie come turchi”. Alla fine – racconta Marco – finisce a sassate. I grandi, invece, si ubriacano. Immagini di degrado che si stenta oggi a immaginare.

 

MORTALITA’ INFANTILE

Non si ferma solo a questi episodi il “diario” di Marco Ramat. Altro vi è contenuto, come la dolorosa vicenda della bimba vicina di casa di due anni morta di febbre intestinale, “frequentissima durante l’estate in paese per la cattiva alimentazione e la scarsa igiene. Quasi ogni giorno, ci disse il medico, morivano dei bambini”. E ancora: l’incendio scoppiato a ridosso dell’abitato a causa dell’erba secca, pericoloso perché può propagarsi e nessuno che prova a intervenire, neppure i carabinieri allertati dal padre.

In un ragazzo cresciuto in una grande città evoluta tutto questo provoca una cattiva considerazione delle persone: “Se si prescindeva – infatti – dalle poche persone conosciute, con le quali era possibile parlare di cose normali in un italiano approssimativo, la popolazione anonima mi faceva l’impressione di appartenere a un’altra razza, o addirittura a una razza non umana”.

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Famiglia prolifica di Larino premiata dal fascismo

LA FAMIGLIA LANCIERI

Non sono però questi i sentimenti provati dal giovanissimo Ramat nei riguardi della famiglia Lancieri, l’unica a Larino con cui i suoi hanno fatto amicizia e della quale nel “diario” parla con affetto e riconoscenza. Il capo famiglia, titolare della concessione di autolinea urbana da e per la stazione è: “sempre in giro con l’autobus, qualche volta mentre lui guidava, la moglie gli faceva da fattorino, un donnone più largo che lungo coi capelli grigi.

Era gente cordialissima, ci mandavano sempre le uova fresche e altri prodotti dei loro fondi. Aumentando la confidenza, i due figli maggiori, Giuseppina e Nicola, studenti l’una di ginnasio, l’altro di scuola media, cominciarono a prendere lezioni dal babbo e dalla mamma di italiano, latino e francese.

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Nicola Lancieri e la sua attività

[…] Il giorno della partenza fummo tutti invitati a pranzo dai Lancieri. Memorabile mangiata, che faceva spicco, pur chiudendo un’estate durante la quale assai poco i rigori del tesseramento erano stati avvertiti, perché in paese i più erano contadini senza figurarlo: quindi erano a tesseramento, ma non ritiravano le razioni, che venivano vendute a bottega. C’era, così, un po’ di abbondanza di pasta, olio, zucchero e marmellata”.

La singolare “vacanza” dei Ramat a Larino iniziata il 9 luglio, si conclude 26 settembre. Il soggiorno del padre dura solo qualche settimana in più, abbreviato da un provvedimento di amnistia generale. Il carcere prima e il confino dopo e a qualche mese di distanza un secondo arresto da parte degli scherani della “Banda Carità”, non ne hanno minimamente fiaccato lo spirito di lotta contro il fascismo. Tutt’altro.

Dopo l’8 settembre, infatti, il professore entra nelle file della Resistenza, combattendo con la Brigata d’assalto Garibaldi Sinigaglia fino alla liberazione di Firenze.

 

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