L'Ospite

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Dio e la mangiatoia

di don Mario Colavita

 

 “Ah potesse il tuo cuore diventare una mangiatoia, Dio nascerebbe bambino di nuovo sulla terra”. Sono le parole di un mistico del ’600 Angelo Silesio (1624-1677), faceva tesoro di una ricca tradizione spirituale che dalla fine del ‘300 arrivava al suo tempo.

Come fare a diventare una mangiatoia? Essa è il luogo dove mangiano gli animali, nella mangiatoia  c’è di tutto anche quello che non dovrebbe starci.

I ruminanti sanno distinguere bene la mangiatoia da un altro posto lì vi trovano fieno e biada per alimentarsi.

Cos’è per noi la mangiatoia? Nel vangelo di Luca si parla della mangiatoia per ben tre volte, per tre volte l’evangelista dice di questo luogo.

Non c’è dubbio che Luca vuole confermare la nascita di Dio nella povertà e semplicità di una famiglia palestinese del I secolo.

I vangeli e tutta una lunga tradizione apocrifa e archeologica confermano che il luogo della nascita di Dio bambino è consolidata in una grotta che nel corso degli anni e dei secoli è sempre stata venerata dai cristiani.

Il filosofo Giustino morto nel 165 d.C. nel dialogo con il giudeo Trifone scrive: “A Betlemme, comunque, nacque il bambino. Poiché Giuseppe non sapeva dove alloggiare in quel villaggio, riparò in una grotta nelle vicinanze. E mentre erano là, Maria diede alla luce il Cristo e lo depose in una mangiatoia. Lì giunsero e lo trovarono i magi venuti dall’Arabia”.

Nell’anno 248 il grande teologo di Cesarea, Origene, testimonia infatti che: “Viene mostrata ai pellegrini la grotta in cui è nato e, dentro la grotta, la mangiatoia in cui fu posto in fasce. Questo lo sanno anche i nemici della fede”.

Betlemme diventa così la casa del Dio umile che nasce per noi. La mangiatoia diventa simbolo di questa grandezza piccola.

S.Girolamo che ha passato la sua vita a studiare la Bibbia (traducendola in latino) in una grotta adiacente a quella dove è nato Gesù non si capacitava dell’umiltà in cui è nato il figlio di Dio e rimpiangeva la mangiatoia fatta di fango.

In un’omelia sul Natale del IV secolo scrive: “Potessi vedere ancora quella mangiatoia dove fu deposto il Signore. Ora noi, come se questo fosse ad onore di Cristo, abbiamo tolto quella di fango e ne abbiamo messa una d’argento; ma, per me, era molto più preziosa quella che è stata tolta”.

Si, il bambino che nasce ci insegna qualcosa che abbiamo perso; nonostante la pandemia non ancora ci siamo convinti che vivere bene oggi, nel mondo globalizzato, vuol dire vivere nella solidarietà e nella fraternità.

Il Natale “strano” ci invita ad una riflessione interiore che il vero virus dell’uomo quello che svuota il respiro è l’egoismo, il narcisismo, l’indifferenza che ci fa guardare nello specchio delle nostre cose e delle nostre vite.

L’indifferenza non ci fa vedere bene, l’indifferenza benda i nostri occhi su chi ha sempre di meno e vive in maniera precaria.

Non so se questo Natale 2020 ci darà stimolo per uscire dalle nostre comodità per cominciare a pensare un futuro diverso dove non dovrebbero mai esserci 3,5 milioni di morti per fame e un’infinità di piccole guerre che seminano per il mondo morti, desolazioni e povertà.

Quando è strano il nostro mondo non pensiamo più all’altro che non ha mai avuto e sta avendo ancora meno, adesso la nostra attenzione è tutta concentrata su di noi, e il futuro sarà ancora centrato su di noi.

Papa Francesco ci sta aprendo gli occhi e illuminando le coscienze circa la situazione degli uomini e delle donne di questo tempo. Nel suo recente libro ritornare a sperare scrive: “nei primi quattro mesi di quest’anno sono morte 3,7 milioni di persone a causa della fame. E quante altre ne sono morte a causa della guerra? La spesa per gli armamenti distrugge l’umanità. È un “coronavirus” molto grave, ma siccome le sue vittime sono invisibili non ne parliamo […]. Guarda come ci ritroviamo adesso: ci mettiamo la mascherina per proteggere noi stessi e gli altri da un virus che non possiamo vedere. Ma che facciamo per affrontare gli altri virus che non riusciamo a vedere? Come fare a difenderci dalle pandemie della fame, della violenza e del cambiamento?”.

Non ci sono parole per rispondere, forse l’unica parola è quella che può crescere dentro di noi guardando il bambino di Betlemme e pensare alla mangiatoia, quel luogo di fango e paglia che ha accolto Dio, ah come vorrei essere mangiatoia oggi così veramente il Dio bambino nascerà dentro di me.

Vorrei concludere con le parole del mistico Silesio: “Nulla di più soave che veder come Dio un bambino; Nulla di più santo che sentirlo nascere in sé”, auguri di santo Natale!

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