Termoli

Dalle bare e dagli amici morti alla rinascita: il presepe “terapeutico” di Gianni Serafini, miracolato dal covid

Ispirato ai gironi danteschi, è un presepe molto particolare che racconta l’inferno della malattia che lui stesso, primario di Otorino a Termoli, ha vissuto per lunghe settimane in Rianimazione, fino alla liberazione e a una Natività che è speranza per il futuro. E nei giorni in cui parte la campagna vaccinale Gianni Serafini riflette: “Farò il vaccino appena sarà il mio turno, è l’unica arma che abbiamo. Non posso credere che ci siano così tante persone che non vogliono vaccinarsi e credono alle cose più strampalata e senza fondamenta scientifiche”.

La passione per i presepi ce l’ha da sempre, tradizione familiare che si porta dentro da quando è nato. Ma quest’anno è stato diverso per Gianni Serafini, primario di Otorinolaringoiatria di Termoli e Campobasso. Un anno tremendo, nel quale si è ammalato di Covid in forma gravissima e è guarito. Così – inevitabilmente – anche il suo presepe è diverso da tutti gli altri.

Dentro ha messo la sofferenza, i ricordi più tragici, una serie di metafore inequivocabili che rendono questa rappresentazione unica ma, in un certo senso adattabile all’intera umanità che ha fatto – e sta facendo i conti – con la ferocia della pandemia da Sars Cov 2.

“E’ un presepe terapeutico per me, che sono stato risparmiato dalla malattia e che oggi sono disorientato, spaventato perfino, davanti alle follia di certe parole e certe affermazioni che negano la verità scientifica come negano l’efficacia del vaccino, l’unica arma che ci può salvare”.

Quel presepe Gianni Serafini lo ha costruito nel salotto di casa, quasi un esercizio di catarsi, una medicina per l’anima. La struttura di legno si articola secondo piani verticali che ricalcano i gironi dell’inferno dantesco. Perché il Covid è un inferno, e lui in quell’inferno ci è stato ed è tornato indietro al punto da poterlo raccontare. La sua rappresentazione della natività parte dalle vittime, con la chiesa di Bergamo e la distesa di bare senza nessuno ad accompagnare i morti. E non sono un “fatto lontano”, una cosa che non ci appartiene perché insieme a quelle bare impresse in maniera indelebile nella nostra memoria c’è anche la fotografia di Salvatore Cannarsa, “il mio amico che ha perso la guerra contro il covid”, il primo ucciso dal virus in Molise nel marzo scorso.

Presepe Gianni serafini

Ci sono i morti, appunto, nessuno attorno a loro tranne il sacerdote. Da lì parte la rampa che porta al secondo livello, dove si trova il reparto di Rianimazione, quello nel quale il dottor Serafini è rimasto tre settimane e che descrive come un “purgatorio”, perché proprio come il purgatorio dantesco è una terra di mezza, sospesa tra la vita e la morte. In quello spazio ha inserito la fotografia – divenuta virale in Molise – del giorno in cui è uscito dal reparto di Terapia Intensiva, circondato dai medici e dagli infermieri blindati dietro le loro tenute a prova di contagio.

E ancora: c’è il girone del distanziamento con i personaggi in mascherina,  dove si incontrano le persone che non si sono ammalate e che non si vogliono ammalare, e salendo ancora sopra arriva la liberazione, raffigurata da una immagine di amici che stanno insieme, ormai datata parecchio tempo fa. “E poi, in ultimo – racconta lui – ecco il livello della Natività che è la speranza di un futuro bello come l’immagine di Termoli, la proiezione di un mondo migliore con il mare e il cielo pulito che simboleggia la rinascita”.

Presepe Gianni serafini

Un presepe particolare che è anche una cura. “È una idea che mi era venuta in mente a novembre, ma l’ho disegnato e realizzato in un paio di giorni. E averlo fatto mi ha fatto bene”.

In qualche modo la rinascita potrebbe essere rappresentata anche dal vaccino?

“Oggi sappiamo che il vaccino è l’unica cosa che ci può proteggere perché abbiamo visto che nessuno tra i farmaci in uso è davvero in grado di guarirci. Il vaccino, insieme con gli anticorpi monoclonali, è la nostra speranza di vincere la pandemia”.

Lei farà il vaccino contro il Covid?

“Ho dato il mio nominativo alla Asrem, certo che lo farò anche se io sono in coda avendo già avuto la malattia. Non possiedo più gli anticorpi come a ottobre scorso ma restano le cellule memoria, che però nel caso del Covid non sappiamo quanto tempo potranno durare. E’ un enigma, come tante cose di questa malattia di cui sappiamo davvero poco. Ancora troppo poco”.

Gianni Serafini

Come giudica, lei che non è solo un medico ma anche un sopravvissuto al Covid, la diffidenza di chi non vuole vaccinarsi?

“Tutti dovrebbero voler fare il vaccino, e sono sconcertato quando parlo con gente che è disposta a credere alle cose più strane, alle opinioni più originali pur di non credere alla scienza. Questa è una follia, che spinge l’umanità verso il buio, l’arretratezza invece di proiettarla verso il positivismo e la scienza. Sento dire e leggo eresie scioccanti, per esempio che il vaccino modifica il dna, cose di questo genere che sono assolutamente infondate e delle quali chi le mette in circolazione dovrebbe vergognarsi. Questo è un vaccino Rna, che nel nucleo non entra proprio, figuriamoci modificare il genoma o altre corbellerie simili. Il vaccino è la nostra speranza ed è una speranza concreta, finalmente a portata di mano”.

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