Termoli

Tamponi e Tracciamento, la squadra dei miracoli

Oltre 250 tamponi al giorno, migliaia di telefonate da gestire per ricostruire i contatti, ritmi disumani dal lunedì al sabato ormai da mesi. Viaggio nell’ufficio del dottor Pierpaolo Oriente per scoprire come funzionano le richieste di tamponi e la burocrazia epidemiologica. Una “catena di montaggio” azionata dall’abnegazione e dalla disponibilità di una manciata di medici e infermieri che non perdono mai la pazienza (e nemmeno il sorriso)

Sono le 11 del mattino e il telefonino del dottor Pierpaolo Oriente è già scarico. “Un attimo che lo attacco alla corrente”. Sulla scrivania, al primo piano di quello che prima era l’ospedale di Termoli, noto a tutti come “il vecchio San Timoteo” di via del Molinello, un ingombro di carte, penne, timbri, cartelline. I moduli delle richieste di tampone, che vengono compilati qua dentro con pazienza certosina, efficienza germanica e senza cedere allo scoramento né all’insofferenza, si accumulano. Il perché è presto spiegato: sono oltre 1700 i positivi in Molise, e l’Ufficio Igiene e sanità del Dipartimento di prevenzione è responsabile del territorio che va da Ripabottoni a Montenero di Bisaccia: 35 Comuni. Qua dentro fioccano, dal mattino presto al pomeriggio tardi, le richieste per il territorio bassomolisano che partono dalla Asrem, dai medici di base, dai pediatri, dai responsabili di strutture dove è stata rilevata una positività. “Per ogni positivo accertato o sospetto – spiega una delle instancabili infermiere che fa parte della squadra di lavoro – ci sono decine e decine di contatti a rischio che devono essere sottoposti a tampone molecolare. A volte – ammette – il lavoro di tracciamento può durare molte ore”.

Ufficio igiene tamponi richieste oriente dottore infermieri covid

L’esempio del cluster all’interno della casa circondariale di Larino è emblematico. Un positivo scovato per caso, quindi, “essendo un ambiente chiuso e ad alto rischio”, subito oltre 200 detenuti da testare il più rapidamente possibile. E ora oltre 150 operatori per completare l’indagine. Ovvio che si debbano decidere le priorità, e conseguenza altrettanto ovvia è che il lavoro “di giornata” subisca qualche ritardo. Che qualcuno sbotti al telefono: “Ma insomma, quando posso venire a fare questo benedetto tampone?”. Entra un’altra infermiera, mentre qualcuno apre la finestra per fare circolare più aria possibile. La mascherina è pesante da tenere su tante ore di fila, ma loro non fanno una piega. Nemmeno davanti agli sfoghi perdono la pazienza. “La gente, a casa, non sa. Non può immaginare”.

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La mole di cose da fare è infinita in questo ufficio dove l’attività è intensa, con punte febbrili. Oltre ai tamponi, che prevedono un protocollo complesso e una burocrazia infernale, si fa anche il cosiddetto Contact Tracing, cioè la ricerca e la gestione dei contatti di un caso confermato covid. Si raccolgono nominativi, date di nascita, numeri di telefono, storie personali, disperazione e speranze. L’obiettivo è identificare e gestire i contatti dei casi positivi, per autorizzare l’isolamento e interrompere la catena di trasmissione.

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Carte, moduli stampati da compilare e firmare. Talmente tanti che il lettino da paziente contro la parete, eletto a scaffale di fortuna, trabocca. E-mail, che il responsabile Pierpaolo Oriente – esempio vivente di multitasking all’ennesima potenza – scrive ininterrottamente sul pc mentre coordina il lavoro dei suoi e mentre risponde al telefono che non smette di squillare o di inoltrargli messaggi di whatsapp sul cellulare. Chiamano dalle scuole. Chiamano dalle case di riposo. Chiamano dall’ospedale. Chiamano i sindaci. Chiamano i medici. Chiamano i cittadini preoccupati. Chiamano i genitori di figli che sono stati in classe con bambini a loro volta positivi. Chiamano i positivi con la febbre. Chiamano gli asintomatici che temono possa salire la febbre.

Chiamano per fare il tampone, per sapere il risultato, per sapere se devono fare il tampone, per sapere quando potranno avere il risultato. Chiamano per sapere se possono interrompere la quarantena. Chiamano per chiedere quando possono fare il tampone di conferma.

Lui non abbandona il ritmo di lavoro e nemmeno la calma, nemmeno quando – appunto – il telefonino si spegne perché ha esaurito la batteria. Sono soltanto le 11 di un martedì qualsiasi nel Molise sotto pandemia. “Signora, mi ripeta i dati che ora facciamo la richiesta”. “Signore, può venire qui domani mattina alle 9 per il test” “Preside, lei e i docenti venite dopo le ore 18 che rientrano gli infermieri da Casacalenda”.

Tamponi termoli covid vecchio ospedale

La squadra di infermieri – sono soltanto 6 in tutto – dopo la mattina trascorsa sotto a fare tamponi andrà in trasferta nel comune dove è positivo un medico di base ed è stato organizzato un drive-in. Ci sono 60 campioni da prelevare nella bocca e nel naso di altrettanti pazienti ipotetici contatti stretti, più altri 20 nella casa di accoglienza dove si registra un altro caso di positività. E poi c’è l’attività di tracciamento: 1500 persone – i pazienti del dottore – da intervistare al telefono, per capire quando è stato l’ultimo giorno che hanno avuto contatti col dottore, o che tipo di rapporto hanno con contatti a rischio. 1500 persone da chiamare e da richiamare, perché non sempre dall’altra parte rispondono al telefono, oppure da rintracciare come investigatori perché i numeri sono sbagliati.

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Al rientro da Casacalenda, in una giornata di ordinaria straordinarietà, altri tamponi da fare a Termoli. “Dottore, c’è un ragazzo che ha sintomi e aspetta da dieci giorni”. “Lo faccia venire oggi pomeriggio dopo le 18”. “Dottore, c’è quella classe della scuola superiore di Termoli, docenti e genitori”. “Li faccia venire sempre oggi, ce la facciamo”.

Con le scuole è un disastro. Bisogna testare i conviventi e i contatti del bambino contagiato e potenziale super-diffusore, nonché i conviventi e i contatti di tutta la classe, nonché gli insegnanti che lavorano su più classi. E a quel punto bisogna ripartire da zero. E’  un lavoro immane, affidato a una squadra di test e tracciamento coordinata da Mimmo Brunetti, “al quale bisognerebbe erigere un monumento”, isernino che non torna a casa sua da tre mesi perché il lavoro è aumentato in maniera esponenziale mentre loro sono soltanto sei.

Hanno gli occhi stanchi già dal mattino, ma dietro i segni dello scarso riposo si legge lo scintillio di una battaglia che combattono quotidianamente dietro le quinte, pronti finanche a trasformarsi in sfogatoio per centinaia di cittadini alla ricerca di una indicazione o di un orecchio che ascolti i timori per il contagio che si allarga, dilaga, trasforma la curva epidemiologica in un picco in ascesa libera.

Il loro lavoro inizia presto, alle 7 e 30 del mattino sono già in camice, guanti e mascherina, pronti ad affrontare una giornata che non si concluderà prima delle 22 o delle 23. Cominciano a Termoli, nel punto prelievi del vecchio San Timoteo, e girano il Molise per i drive-in o i tamponi itineranti laddove ce n’è bisogno. A volte non si fa in tempo nemmeno a pranzare, tanto numerosa è la richiesta. A volte, come oggi, rientreranno da Casacalenda, continueranno i tamponi a Termoli, poi trascorreranno ore in ufficio per etichettate con la stampante tutti i tamponi e schedarli uno a uno, quindi consegnarli all’autista che li dovrà venire a prendere dal Cardarelli (dove c’è l’unico laboratorio con l’unico macchinario per processarli) e riportarli a Campobasso.

E’ così ogni giorno, dal lunedì al sabato compreso. E la domenica spesso si fanno gli straordinari senza percepire un euro di straordinario, “perché ci sono le urgenze, ci chiamano. E cosa dobbiamo rispondere, di no?”.

Non si può non si deve. Lo sentono nella pelle, anche se questi turni sono disumani, anche se sono esposti a un rischio di contagio elevatissimo, anche se hanno bambini, compagni e compagne, familiari che li aspettano a casa.

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Pierpaolo Oriente, Mimmo Brunetti, Federica e Francesca Di Dona, Adele Mancini, Marco Ricci, Antonella Carlucci, Vera Greco, Silvia Colasurdo: sono la squadra, sono la resistenza che fa a meno di avere una vita privata per aiutare le vite degli altri. L’Ufficio Igiene e Sanità Pubblica di Termoli è una catena di montaggio nella quale al posto degli ingranaggi ci sono le loro mani, le loro voci, la loro disponibilità. Fanno in media 250 tamponi al giorno, in percentuale più di tutta la regione. Di più sarebbe impossibile, a meno di rinforzi che per il momento non si vedono. 250 tamponi al giorno a fronte di un numero di richieste mediamente doppio, che per evidenti motivi non si può smaltire nell’arco di una giornata lavorativa.

“E non ci scordiamo l’ordinaria attività: dobbiamo fare anche quella” spiega una dottoressa mentre infila il cappotto, afferra una cartellina e infila l’uscio. “Ci sono le vaccinazioni, le necroscopiche. Oggi va Montefalcone e San Felice del Molise, sono un bel po’ di chilometri”.

E poi ci sono i sierologici. Quelli che i laboratori del territorio fanno a chiunque voglia sapere se è entrato in contatto col virus. I test del sangue, che fruttano denaro ai privati e si traducono con un carico di lavoro supplementare per il pubblico. I nominativi di tutti i cittadini che risultano positivi al sierologico finiscono qua. Pure quelli. “Siamo obbligati, per legge, a fare il tampone molecolare per confermare la positività al virus e stabilire l’isolamento” spiega Pierpaolo Oriente. Non c’è nessuna inflessione critica nel timbro di voce, nessun giudizio. Qui si fanno miracoli di efficienza: il tempo dedicato alle lamentele è tempo perso, e loro quello non possono proprio permetterselo.

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