Non ho frequentato in vita Antonio De Gregorio, scomparso sabato tra la sorpresa di tutti, ma credo di essergli stato amico, benintesi alla stessa maniera di coloro che si conoscono da molti anni, si stimano, si salutano tutte le volte quando s’incontrano, scambiando qualche parola.
In più tra di noi vi era la medesima appartenenza alla gente di mare e questo, senza bisogno di sottolinearlo, trasmetteva a entrambi un senso di intimo orgoglio, oltre che di maggiore e solidale vicinanza, verso quella parte della comunità che al lavoro sul mare aveva legato la propria esistenza.
“Tremmétte, vale a dire Basso De Gregorio, e u “Cuecciüte”, Giovannino Sciarretta, entrambi “padroni” di paranze, erano i soprannomi dei nostri nonni tra la marineria, alla stessa maniera ci chiamavamo tutte le volte che c’incontravamo. L’ultima, pochi mesi fa gli chiesi: «Tremmé’, l’hi fatte nóvantanne?». Manca poco, fu la sua risposta. E io: «Vä’ ‘nnante ca te vènghe apprisse».
Qualche volta, sempre incontrandolo, è capitato che gli ricordassi i suoi esordi artistici. Non nel campo della fotografia, ma, della recitazione. Correva l’anno 1947 o 48, Antonio non aveva ancora vent’anni ed era stato scelto da Luigi Mia, fotografo e appassionato di teatro, un personaggio non sufficientemente ricordato a Termoli, a interpretare il ruolo di Gesù Cristo nello spettacolo “Morte e passione di Cristo” allestito dalla filodrammatica cittadina, di cui appunto Mia era fondatore e direttore artistico.
Antonio era obiettivamente un bel ragazzo, fisico e volto da attore, sveglio e intelligente, indossava una calzamaglia fino al collo bianca su cui era stato spalmato qua e là del colore rosso, a simulazione delle ferite inferte dalle guardie che lo accompagnavano al Calvario, comandate dal lattoniere Liberato Russo, alias “Lebbräte u stagnäre”, mentre Guido D’Aloisio, “Guiducce a guardie”, interpretava Giuda (superba interpretazione la sua, applauditissima), e Pasciullo (di cui non ricordo ora il nome) nelle vesti del diavolo tentatore. Una fiumana di gente riempiva il cinema Moderno.
Tutto questo non l’avevo appreso da altri, ma visto di persona dietro le quinte, dove mio padre, che nella rappresentazione faceva la comparsa, mi lasciava fino alla fine dello spettacolo. Antonio usava parlare con me, come con molti, sempre in dialetto: «Cuecciü,’» – replicava a quel lontano ricordo – «‘ssa cóse a Tèrmele t’arecurde süle tü».
Qui sotto alcuni scatti di opere e paesaggi fatti da Antonio De Gregorio per la De Agostini
Più tardi, dopo che le vicende della vita l’avevano portato a cogliere fuori di Termoli il successo professionale che meritava, aveva aperto in piazza Duomo, nel cuore del centro storico, uno studio fotografico attivo fino a ieri. Non pochi qui sapevano che era un artista affermato, eppure mai le istituzioni locali hanno valorizzato la sua arte con qualche mostra o altra iniziativa.
Vent’anni fa, sottolineai tutto questo con un sonetto in vernacolo inserito nella raccolta “Retratte”. Lo ripropongo qui, salutando per l’ultima volta in questo modo l’artista, l’amico, il termolese verace.
NEMO PROPHETA IN PATRIA
Ch’i latine tenèvene arraggiòne
Mò püre ammizze a nü ghé demustrate.
S’u termelèse fóre ghé apprezzäte,
a nu pajèse su’ manche ne ccòne.
A ‘Ndònie Dé Grégòrie è “capetäte”
de farece valè’ ch’é n’artestòne;
ma quanta ggènte sä, püre u “Gattòne”,
ch’a Tèrmele u fótógrafe c’è näte?
Nu’ canescime i nguacchie de Fanfäne
sòltante pe capricce de lecchine
e ninde l’arte de ‘stu pajesäne.
Se ‘mbéce di retratte, quille ‘Ndònie,
facève u sunatòre de viuline,
avusse viste quanta ceremònie!
TRADUZIONE:
NESSUNO È PROFETA IN PATRIA
Che i latini avessero ragione
ora anche a noi è chiaro.
Se un termolese altrove è apprezzato
nel paese suo non lo è affatto.
Ad Antonio De Gregorio è toccato
di farsi riconoscere come un grande artista,
ma quanta gente sa, perfino il “Gattone”,
che a Termoli il fotografo c’è nato?
Noi conosciamo le croste di Fanfani
solo per un capriccio dei suoi leccapiedi
e nient’affatto l’arte di questo paesano.
Se invece del fotografo, quell’Antonio
faceva l’adulatore
avresti visto quanti riconoscimenti.
Foto in home per gentile concessione del fotografo Costanzo D’Angelo
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