Campobasso

La crisi dell’editoria, la digitalizzazione, il deficit di lettori: le edicole sfidano il “rischio estinzione”

Baluardi di informazione e intellettualità, hanno segnato il racconto della storia italiana, rappresentando uno strumento di diffusione culturale sul territorio anche a livello locale. Oggi, però, le attività dei giornalai si trovano a combattere ripercussioni e strascichi di una crisi assai profonda: secondo stime recenti, infatti, nell’arco di una decade sul territorio nazionale sono passate da 40mila a 15mila appena. Una flessione preoccupante. Ma è davvero la fine di un’epoca?

edicola campobasso mascherina

Odore d’inchiostro e polvere. Dita annerite dalla stampa ancora calda. Mani che sfogliano la storia. Fatti, eventi e miracoli dentro pagine di cellulosa numerata. Luci del mattino tra la nebbia. Il prestigio della lettura, il privilegio della conoscenza.

Cronache, nero, pettegolezzi patinati; i sogni dei bimbi chiusi dentro una bustina di figurine. Edicole: templi del tempo, baluardi di cultura a presidiare il territorio, i crocevia delle città. 

Eppure tutto ciò non basta, se persino la bellezza e la gloria di una missione così nobile rischiano di venir stuprate dallo sbadiglio onnivoro del progresso… Che non sempre é sinonimo di “migliore”. Perché a custodire il fuoco dello spirito è quasi sempre la tradizione, questa madre saggia che pazientemente cuce le proprie trame nel grembo dell’identità.

Ma intanto i numeri dicono altro. E tracciano i contorni di uno stato di salute non certo esaltante. La diversificazione dei servizi, la soglia del 18,77% trattenuta sul prezzo di copertina annegano troppo spesso nelle sabbie mobili dell’impotenza: una decade fa si contavano circa 40mila edicole sul territorio nazionale; oggi, invece, 15mila appena. Un picco emblematico. Secondo stime recenti, ne muoiono in media due al giorno: un male quasi epidemico, un’agonia pericolosamente affacciata sul baratro, sul dorso tagliente dell’irreversibilità. Sul punto di non ritorno.

Eccoci, dunque, ad affrontare l’ennesima tempesta; a far la conta dei “danni”. E dei pochi, eroici, superstiti.

Arrancano, chiudono, vendono o affannosamente marciano sui confini di equilibri vacillanti, i venditori di giornali. “Colpa” del deficit di lettori, della crisi della carta stampata; colpa, soprattutto, di una miope corrente di pensiero che vede e vuole il “vecchio” quale sinonimo di superato. Una balla colossale, una stigmatizzazione appesa al cappio della superficialità interpretativa. Perché è proprio in quei chioschi, dietro quelle vetrine luccicanti, tra quotidiani e fumetti, che tutto il “nuovo che avanza” potrebbe e dovrebbe invece coesistere, integrandosi, con moduli e sapienze del tradizionale.

Le ragioni del declino, semmai, sarebbero da ricercare anche altrove. Nelle carenze di sistema, negli ingranaggi di logiche distributive che non tutelano abbastanza i punti vendita, ad esempio.

A fare il punto della situazione è Giovanni Del Balso, quattordici anni sulla scena. Lì, nel pieno centro di Campobasso, a due passi da uno dei luoghi più rappresentativi della città: il Teatro Savoia.

“Se si volesse lanciare un segnale di ripresa all’intero settore, questo non potrebbe che arrivare dall’alto, dagli stessi editori, spesso decisi invece a puntare su politiche diverse, quali ad esempio gli abbonamenti online. Le edicole – continua Giovanni – sono ormai nel pieno di una crisi che rischia di essere irreversibile: si legge sempre meno e a ‘salvarci’, di questi tempi, sono soprattutto la gadgettistica e gli articoli per bambini, prodotti molto pubblicizzati a livello televisivo. Sto riscontrando, inoltre, anche buoni numeri sulle vendite dei vinili: una tipologia di articolo ritornata in qualche modo nelle pratiche di consumo odierne. Anche in questo caso, parliamo comunque di uscite che possono contare su una forte pubblicità in televisione”.

Una condizione di fragilità non certo migliorata in seguito allo scoppio della pandemia: “Il lockdown – continua Giovanni – ha avuto conseguenze pesanti su tutto il comparto del commercio al dettaglio, edicole comprese; a far registrare impennate sensibili è stato invece il settore degli acquisti online. Sinceramente, non so se riusciranno a inventare una ‘ricetta’ per salvarci”.

Uno scenario, questo, che dovrebbe in qualche modo ferirci tutti come se si trattasse della rinuncia a un patrimonio comune, a una nostra parte d’eredità. A qualcosa che ci appartiene.

E invece troppo spesso un silenzio indifferente sembra posarsi su ogni cosa; persino sullo spauracchio del decadimento.

Perché mentre la nave del progresso procede sgangheratamente verso l’ignoto, la sua stiva continua a imbarcare le acque torbide della contraddizione. E a portare lontano – forse troppo – i sicuri approdi, i luminosi fari, i porti da cui tutti noi siamo salpati: terre, confini e sensi che di questo passo diverranno un giorno riferimenti irriconoscibili, perduti, dimenticati, scomparsi lungo orizzonti sin troppo mutevoli.

E scompaiono pian piano dai marciapiedi anche i venditori di giornali. Senza chiasso; anzi, con un garbo che quasi commuove. L’estinzione a un passo, ma lì fuori – sulla bruta strada – non ci sono sconti, nè “specie protette”: esiste solo l’impassibile ratio dei conti che non tornano, dei sacrifici mutilati; la solitudine di chi soffre l’angosciosa abitudine a un dolore invisibile.

Volti, sorrisi e storie che tutti noi abbiamo incontrato: nel nostro quartiere, tra le nostre passeggiate. Ricordi, immagini, impressioni che rischiamo ora di perdere dietro sipari d’indifferenza, dietro l’epitaffio metallico di una saracinesca abbassata per sempre.

Servono dunque investimenti funzionali, congrui, sensati e regole univoche; linee di sviluppo per reggere l’urto e tracciare rotte di salvezza.

Ma serve anche “tornare”. Agli archetipi della memoria, ai luoghi del cuore, alla tenerezza sovrana di casa. Alla parola che resta – forte e immutabile – come l’impronta di un dio nella pietra.

Serve tornare. A un’origine e ad una forma “non digitalizzabili”, alla testimonianza granitica, al monumento che celebra.

Serve tornare. Alla storia, al rito che diviene istituzione. A una sensibilità che prima di restituirci ogni altra cosa – edicole comprese – ci restituirà soprattutto noi stessi.

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