In Box

In box

In memoria di Antonio

di Maria Luciani

Ho conosciuto Antonio tanti anni fa, nello studio del fratello Eolo. Fui colpita dal suo atteggiamento, parlava solo in termolese, vestiva tra il trasandandato e l’elegante. Chiese al fratello chi io fossi, con aria sufficiente e distaccata, prima di voltare lo sguardo indifferente. Rimasti un po’ sorpresa, non ero termolese e il suo atteggiamento mi colpi. Non sapevo nemmeno che fosse un fotografo.

Antonio era così, ti soppesava con uno sguardo e si voltava come se le persone non fossero degne del suo interesse; aveva bisogno di tempo, aveva bisogno di guardarti con il suo sguardo indagatore, prima di darti il suo affetto e la sua amicizia. Non era amato da tutti Antonio, soprattutto da quelli che, come dice la favola, non riuscivano ad arrivare all’uva. Era troppo superiore, per capacità, per cultura, per esperienza, per la ricerca costante della bellezza che ritrovava nelle opere d’arte, ma anche in un chicco d’uva, nel corpo di una donna o nelle statue della Cattedrale, in un fiore appassito. Tutto poteva essere degno di bellezza se esaltata dalla luce della sua Reflex.

Ad Antonio si addicono tutti gli ossimori possibili: crude, diretto, tiranno, severo, ma paziente, generoso, disponibile, affascinante. Qualità e difetti di una persona fuori del comune, al di sopra dei tanti che lo hanno frequentato. Ho saputo dopo, davanti ad un caffè, che aveva lavorato per le testate più importanti, aveva girato il mondo, dall’Asia all’Africa. Conservo con affetto alcuni negativi di un servizio che aveva girato nel museo di Kabul.

Quando vidi per la prima volta le sue foto cominciai a chiamarlo Maestro, titolo che meritava ampiamente. La sua disponibilità all’insegnamento la ha dimostrata nel tempo: quando gli proposi per gli alunni dell’Istituto industriale un corso di fotografia, accettò con piacere. Con pazienza e dedizione è riuscito a far emergere, da ragazzi non particolarmente avezzi all’arte, lo spirito creativo e la ricerca del bello. Si nuovo lo coinvolsi nel corso di fotografia che organizzavo per l’Unitre. Credo che questo lo abbia aiutato a vivere gli ultimi dieci anni della sua vita con un interesse totale per quello che aveva amato di più, la fotografia. Nel suo studio, meglio dire antro delle meraviglie, tra foto, appunti, libri, in un disordine totale ma con un ordine mentale ineccepibile, ha seguito decine di allievi, scartando gli scatti prevedibile e scontati, correggendo le vie di fuga, i colori, i punti di vista, una tecnica non disgiunta dalla ricerca delle ‘emozioni’.

Dal 2010 Antonio ogni anno ha realizzato per  l’Unitre una mostra con le opere dei suoi allievi. La sua perfezione lo portava ad interessarsi di tutto per realizzare la mostra: attaccava chiodi, sistemava ogni foto con la giusta luce e decideva i titoli delle mostre, originali come lo era lui. Così dopo la prima esposizione alla Torretta Belvedere, si sono succedute nel tempo Nulla re, Luci e tenebre, Spezzoni, Guazzabuglio, Gli zigoti.

Grazie Antonio e grazie per la cultura che hai trasmesso a Termoli. Ieri ho assistito al tuo funerale: le parole commosse del Vescovo Tommaso, la voce strozzata dalle lacrime di Don Marcello, qualche lacrima sommessa dei partecipanti, ti hanno fatto capire quanto sei stato amato, rispettato, considerato da chi ti conosceva a fondo. Quella bara, quattro assi inchiodati, sono stati il tuo testamento alla semplicità della bellezza.

Addio Antonio. Maria

In foto Antonio De Gregorio nel settembre 2019, durante la mostra ‘Gli Zigoti’ al Palazzo Vescovile

commenta