di don Mario Colavita
Il vangelo di Matteo è il vangelo che parla di più del perdono. Un perdono diverso da quello che abbiamo in mente noi è il perdono del Padre verso il figlio amato, è il per-dono che dona la vita e allontana la morte.
Sin dall’inizio del vangelo, Matteo ci insegna chi è il Padre e lega questa figura celeste anche all’atto del rimettere peccati.
È bene noto il passo del vangelo in cui Gesù ci esorta a non sprecare parole nei confronti di Dio. La preghiera a Dio è condensata nella parole del Padre nostro. Alla fine di questo insegnamento Gesù dice: “Se voi perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi, ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 6,14-15). L’insegnamento è chiaro: la richiesta di perdono a Dio è credibile se accompagnata dalla disponibilità e dalla concreta pratica del perdono fraterno.
Per un credente questa raccomandazione di Gesù non può essere saltata o ignorata, essa è centrale per la comprensione di Dio e la vita buona nella comunità.
Pietro chiede a Gesù quante volte è da concedere il perdono è fissato sulla quantità. A Dio non interessa la quantità del perdono cioè quante volte perdoniamo ma interessa la qualità e la qualità è ben descritta nella parola del servo cattivo e stupido.
È cattivo perché vuole il male del suo debitore, è stupido perché non ha capito e non ha accolto la lezione del con-dono del debito da parte del re di diecimila talenti (una cifra sproporzionata pari a circa 300mila chili d’oro).
Qual’è l’atteggiamento di Dio Padre: nella conclusione della parabola Gesù afferma: “così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello” (Mt 18, 35). Il perdonare di cuore è la qualità del perdono per la vita del fratello.
Da qui la risposta alla domanda: chi è il più grande? Chi userà misericordia come il Padre verso il fratello che sbaglia e ha la forza di perdonarlo.
In un certo senso la conclusione della parabola ci ricorda il giudizio di Dio che sarà senza misericordia con chi non avrà saputo usare misericordia.
In questo ci aiutano le parole della saggezza ebraica. Nel libro del Siracide un indirizzo di sapienza e di buon senso per comprendere e dare perdono: “Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati?” (Siracide 28,3-4).
La liturgia ebraica pone al centro della festa dell’espiazione (Yom Kippur) la richiesta di perdono a Dio e al fratello. Nel Talmud si legge: “Il Giorno del Pentimento assolve dalle colpe di fronte a Dio, ma non di fronte alla persona offesa fin quando non si ottiene il perdono esplicito dalla stessa”.
Oggi non è facile parlare di perdono e tanto meno praticarlo. Troppo odio sta cominciando a girare nelle nostre case e nelle famiglie, troppo pubblicità alla stupidità del rancore e dell’intolleranza. Una società se non sa apprezzare e far crescere amore e perdono è destinata alla fine.
Il perdono è passo alla conversione a Dio.
Un grazioso racconto ebraico dice che Dio, prima di creare questo mondo meraviglioso, come un bravo architetto fece dei disegni. Vedendo che la libertà dell’uomo, così grandiosa, poteva creare degli squilibri, creò prima un’altra cosa: la teshuvah, la conversione, la possibilità del ritorno al piano di Dio.
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