L'Ospite

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Il tiro birbone dell’antico serpente: la festa di S.Girolamo, patrono dei biblisti

di don Mario Colavita

 

Per capire la vita e la storia di una persona bisogna leggere le opere e le lettere.
Meglio ancora se questa persona è un santo, dal suo epistolario e dalle sue opere possiamo capire meglio la vita e viceversa.
Girolamo è un gigante nella storia della Chiesa soprattutto per quanto riguarda la sacra Scrittura. È lui che in più di 20 anni hanno ha saputo tradurre la bibbia dall’ebraico e dal greco nel latino che parlava il popolo.
La traduzione di Girolamo viene chiamata Vulgata, questa traduzione latina è stata letta e studiata fino al concilio Vaticano II (1962-65), ancora oggi gli studi scientifici sulla bibbia (esegesi) si rifanno alla traduzione di Girolamo.
L’avvio della traduzione avvenne a Roma nel 382d.C. ai tempi di papa Damaso, di cui Girolamo fu segretario, sino al 406 circa a Betlemme. In questi lunghi anni Girolamo divenne un esperto delle scritture, non solo imparò l’ebraico, facendosi aiutare da un rabbino, ma fece commenti ai libri biblici.
È celebre una sua espressione che dice: “ignorare le scritture ignorare Cristo”.
Il suo epistolario conta circa 159 lettere; esse spaziano sulla vita personale e spirituale fino ad alcuni elementi di storia.
Sappiamo da san Girolamo che la grotta di Betlemme prima di Costantino era stata trasformata dall’imperatore Adriano in un tempio dedicato a Venere ed Adone. Scrive nella lettera 58: “Betlemme ora nostra che è la cittadina più augusta del mondo era stata messa in ombra da un boschetto sacro a Thamuz, cioè ad Adone, e nella grotta dove aveva dato i suoi vagiti Cristo appena nato, si piangeva sull’amante di Venere”.
Girolamo era nato a Stridone, fra la Pannonia e la Dalmazia, probabilmente tra il 340 e il 350. Poco sappiamo della sua famiglia e dei primi anni. La famiglia benestante gli garantisce un’ottima educazione e gli trasmette la fede cristiana fin dalla tenera età.
Per le sue doti viene mandato a Roma per una formazione superiore assieme all’amico Bonoso e hanno come precettore un maestro più celebrato dell’epoca: Elio Donato.
Girolamo aveva nel sangue l’amore ai classici, nelle sue vene scorreva il rosso della passione per Cicerone, Plauto, Demostene, per la storia dall’antica Roma, preferiva i classici ai libri della Bibbia.
Racconta nella lettera 22 che non si distaccava dalla sua biblioteca ricca di letture dei classici latini: “povero me! Digiunavo, e poi andavo a leggere Cicerone”.
Lo stile dei libri biblici povero e asciutto gli dava nausea. Scrive: “era la mia cecità ad impedirmi di vedere la luce, ed io m’illudevo che la colpa non fosse dei miei occhi, ma del sole!”. La tentazione del serpente birbone era sempre in agguato.
Durante la quaresima del 384 d.C. ha un sogno: dinanzi al giudice in un tribunale gli viene chiesto: “chi sei tu? Risponde un cristiano! Bugiardo, gli urla il giudice, tu non sei cristiano, sei ciceroniano! Dov’è il tuo tesoro, là è il tuo cuore”. Da qui il giuramento di Girolamo: “Signore, se d’ora innanzi avrò ancora fra le mani un’opera profana, o la leggerò, vorrà dire che t’ho rinnegato”. A conferma della sua conversione scriverà: “Da quel giorno mi sono messo a leggere la Scrittura con ardore che mai avevo messo eguale nelle letture pagane”.
Il pellegrinaggio di Girolamo ha dell’incredibile da Stridone a Roma, da Roma a Treviri nelle Gallie, da Treviri ad Antiochia e da Antiochia prima a Costantinopoli e poi a Betlemme dove rimarrà fino alla morte avvenuta il 30 settembre del 420, ben 1600 anni fa.
Al prete Nepoziano, stando a Betlemme vicino al luogo dove è nato Gesù gli raccomandava: “Leggi molto frequentemente la divina Scrittura. Direi di più: mai le tue mani dovrebbero deporre il Testo sacro. Studia la materia che devi insegnare. Tieniti stretto alla parola della fede”.

 

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