Dall'altra parte del mare

L’immigrazione vista con gli occhi di Hanen, a Termoli da 20 anni: “Tunisia al collasso, ecco perché le famiglie scappano”

Prende il via la collaborazione tra il gruppo di comunicazione della Caritas di Termoli e la redazione di primonumero per l'approfondimento di tematiche sociali di stretta attualità. Si comincia con l'intervista a Hanen Gzaiel Ben Mariem, la presidente dell’Associazione di Promozione Sociale Salam, molto attiva a Termoli. "Voglio creare un gemellaggio con la mia Chebba"

“Ogni estate, da molti anni a questa parte ormai, passo due o tre mesi in Tunisia. Quest’anno no: ho deciso, con tutta la mia famiglia, di rimanere in Italia”. A parlare è Hanen Gzaiel Ben Mariem, presidente dell’Associazione di Promozione Sociale Salam, molto attiva a Termoli.

“Lo facciamo per protesta – prosegue la donna -, il governo tunisino infatti ha deciso, in concomitanza con l’aggravarsi della crisi sanitaria da Covid- 19 (al 7 agosto 2020 i contagiati in Tunisia erano 1.656, i casi attivi 354, i morti 51, i guariti 1.251) di aumentare in modo esorbitante le tasse per noi tunisini residenti in Italia legate al rilascio del passaporto e di tutta la documentazione consolare. Vogliono inoltre imporci, qualora rientrassimo in Tunisia, di fare la quarantena obbligatoria in uno degli alberghi solitamente frequentati dai turisti a nostre spese. E sono in molti casi alberghi molto costosi. Siamo circa 40.000 tunisini e tunisine residenti all’estero a portare avanti insieme questa protesta”.

Hanen è di origini tunisine e vive in Italia dal 1999. È cittadina italiana e da tanti anni ormai si adopera per fornire supporto di ogni tipo ai suoi connazionali presenti a Termoli e in Molise e per tessere legami tra la sua terra di origine e l’Italia. Intervistiamo Hanen in un pomeriggio uggioso di inizio agosto nei locali della Cittadella della Carità, nel cuore del Paese Vecchio di Termoli, nell’edificio sede della Caritas Diocesana e divenuto negli anni simbolo dell’accoglienza e del supporto alle tante persone, straniere e italiane, in difficoltà, in fuga da crisi economiche e sociali, da persecuzioni, guerre, violenze.

Tra le innumerevoli attività che svolge con la sua associazione, Hanen collabora anche con il progetto Siproimi del Comune di Termoli gestito dall’Istituto Gesù e Maria in qualità di mediatrice linguistica e interculturale. Supporta le operatrici e gli operatori sociali del progetto “Rifugio Sicuro” nella comunicazione con le persone che provengono dai paesi di lingua araba e nella comprensione dei loro contesti di provenienza.

È proprio per questo che chiediamo ad Hanen di aiutarci a capire meglio cosa sta succedendo in Tunisia in questi mesi, perché le persone hanno ricominciato a viaggiare, spesso mettendo a rischio la propria vita nel Mar Mediterraneo. Secondo i dati del Forum des Droits Economiques e Sociaux (FTDES) sono infatti 5243 i migranti tunisini sbarcati sulle coste italiane nel corso del 2020, di cui 3679 nel solo mese di luglio.

“Dopo la rivoluzione del 2011, che ha dato avvio alle proteste delle primavere arabe in molti Paesi dell’area mediterranea – ci racconta Hanen – la situazione economica e sociale in Tunisia non è certo migliorata. Le proteste del 2011 nascevano perché il popolo chiedeva democrazia contro un dittatore, Ben Alì, che aveva accentrato tutto il potere e le ricchezze nelle mani proprie e della propria famiglia. C’erano grandi disuguaglianze economiche tra le aree costiere e quelle interne, abbandonate a loro stesse; non c’era libertà di parola”.

Le proteste che diventano processo rivoluzionario iniziarono infatti proprio dalle aree più interne del paese, quelle caratterizzate da un’economia prevalentemente agricola, per poi estendersi a tutto il resto della Tunisia. Ben Alì, a seguito della rivoluzione dei Gelsomini, è stato destituito, ma i problemi sociali ed economici sono ancora tutti sul tappeto.

chabba tunisia

“Certo oggi il popolo tunisino ha più libertà di parola – prosegue Hanen – ma restano grandi disuguaglianze economiche tra le aree costiere e quelle interne; pensate che in alcune zone non esistono neppure le strade. La sanità pubblica è al collasso e per curarsi bisogna rivolgersi a quella privata, ma chiaramente in molti non possono permetterselo. Il sistema di welfare per come lo conoscete voi in Europa è praticamente inesistente”.

La crisi da Covid- 19 ha amplificato la già precaria situazione sociale ed economica, e l’instabilità politica: “il governo ha messo in campo misure insufficienti per fronteggiare le conseguenze sociali della crisi sanitaria; piccoli sussidi che somigliano ad elemosina, se paragonati alle dimensioni della crisi in atto”. Uno dei settori trainanti dell’economia, il turismo, sta evidentemente subendo un collasso: “anche per questo il governo ha pensato (male) di utilizzare le strutture ricettive adibendole a luoghi per le quarantene obbligatorie di noi tunisini residenti all’estero. Siamo in tanti, di tunisine e tunisini che vivono fuori dal proprio Paese di origine: alcuni di noi vivono in Europa (in Italia, Francia, Belgio soprattutto), ma molti emigrano anche verso il Qatar e l’Arabia Saudita, ad esempio”.

Il fenomeno migratorio dalla Tunisia si va modificando negli ultimi tempi: “ciò che mi colpisce particolarmente – prosegue Hanen – è che sono sempre più spesso anche famiglie intere a mettersi in viaggio. Questo è indicativo del tasso di disperazione che si è raggiunto nel Paese. Pensate che ultimamente si sono messi in viaggio nel Mediterraneo, in condizioni precarie e pericolose, un padre e una madre con tre figlie disabili ed il loro gattino. Un altro uomo è partito per l’Europa, sfidando la morte, con il figlio tetraplegico sulla barca: è stato rimandato indietro e rischia di finire in carcere in Tunisia”.

Sono storie di cui si parla raramente nei media italiani, troppo spesso concentrati nel descrivere i migranti come clandestini, uomini e donne illegali e, ultimamente, untori. In Tunisia il tasso di disoccupazione è molto alto: l’Istituto Nazionale di Statistiche rileva un tasso di disoccupazione totale del 18,1%, di cui il 28,6% è composto da laureati disoccupati.

Vi ricorda qualcosa? Quanti sono anche i nostri giovani in Italia, spesso proprio laureati, costretti ad emigrare all’estero? A guardare bene le condizioni che colpiscono le persone comuni, si ritrovano molte più affinità che divergenze tra le due sponde del Mediterraneo. “Mi chiedo perché, ad esempio, l’Italia, che con Enel investe molto in Tunisia sui giacimenti di gas, non assuma giovani ingegneri tunisini: il personale di quell’azienda è invece quasi esclusivamente italiano”.

Ma il tema della cooperazione tra Europa e Paesi arabi del Mediterraneo è molto più ampio, e va ben oltre gli investimenti possibili delle multinazionali nei Paesi ricchi di giacimenti. “La questione fondamentale è che se si vuole davvero gestire il fenomeno migratorio bisogna costruire politiche di cooperazione allo sviluppo realmente efficaci: intanto il governo tunisino deve lavorare per creare più posti di lavoro per i giovani tunisini, e l’Europa deve supportarlo in questo arduo compito. Bisogna sostenere le risorse positive della società civile tunisina, le associazioni e i gruppi che costituiscono il tessuto vivo, nonostante tutto, di una società attraversata da grandi processi di cambiamento. Non basta dare aiuti a pioggia ai governi, che spesso rimangono chiusi nelle stanze del potere. Così come inadatte sono le politiche dei rimpatri, dei respingimenti, dei blocchi navali: le persone non si fermeranno. Bisognerebbe definire politiche migratorie adatte ai tempi contemporanei, dove le persone si muovono in un mondo globalizzato: ascoltare le richieste che provengono ad esempio dai giovani tunisini, capire i loro bisogni e i loro desideri, accompagnarli in percorsi di formazione e lavoro che possano poi spendere nel proprio Paese, facilitare le migrazioni legali attraverso canali regolari di ingresso”.

È, questo, uno dei grandi sogni di Hanen, che sta provando a costruire con gli altri soci della sua Associazione e all’interno di una costante collaborazione con la console tunisina in Italia e con le istituzioni locali: “nel 2018 ho fondato l’APS Salam (pace) con l’intento di creare spazi ed occasioni di incontro, confronto, condivisione tra la comunità tunisina che vive a Termoli e le persone del luogo. Abbiamo importanti progetti in campo e grandi sogni: ci piacerebbe poter intercettare dei fondi europei proprio per permettere a giovani tunisini di venire a formarsi qui in Italia e poi spendere le conoscenze acquisite nel proprio Paese di origine. Vorremmo inoltre poter avere un luogo, uno spazio fisico in cui poter far conoscere la nostra cultura, il nostro cibo, le nostre tradizioni: l’idea è quella di un centro culturale, uno spazio e un luogo di incontro tra italiani e tunisini”.

Ce ne sarebbe davvero bisogno, a Termoli, di spazi simili, luoghi in cui poter dimostrare fattivamente che la convivenza è possibile e concretamente praticabile, che lo scambio è arricchimento reciproco. Perché solo investendo sulle politiche culturali e sulle azioni di dialogo e cooperazione si può invertire il pericoloso sentimento di razzismo e discriminazione verso tante persone migranti, così drammaticamente diffuso in Italia.

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“Un progetto, tra gli altri, che ci tengo molto a portare a termine – prosegue, entusiasta, Hanen – è quello del gemellaggio tra Termoli e Chebba (in foto), la mia città natale. Tutte le pratiche necessarie sono partite nell’aprile 2019 e a breve il procedimento dovrebbe arrivare a conclusione. Termoli e Chebba sono due città per certi aspetti molto simili tra loro: entrambe cittadine di mare. Ricordo come se fosse adesso quando sono arrivata in Italia, il 2 ottobre 1999 a Fiumicino. Ero sposata da un anno con mio marito, che nel frattempo aveva trovato lavoro come pescatore qui a Termoli. La sera stessa di quel lontano 2 ottobre, arrivati a Termoli da Roma, mio marito mi invita a fare una passeggiata per il corso: io immaginavo l’Europa e l’Italia come se fossero New York. Mi ero costruita questa immagine di grandi grattacieli e centri sfavillanti. Non sapevo cosa fosse il corso, pensavo si trattasse di una grande discoteca, un luogo di divertimento. Conclusa quella prima passeggiata ho chiesto a mio marito: tutto qui? È questo il modo in cui vi divertite qui in Europa? Non mi sembrava di essermi poi allontanata molto dalla mia Chebba”.

Tante volte ancora Hanen attraverserà il nostro piccolo corso cittadino negli anni a venire. Ha imparato a conoscere il nostro paese, e a sentirsi a casa: “di Termoli amo il mare, il porto turistico, mi piace stare in Piazza Monumento. All’inizio ho avuto qualche piccola difficoltà con la lingua, ma l’ho subito superata anche perché l’italiano è per certi versi simile al francese, che noi studiamo e parliamo correntemente in Tunisia. Negli anni mi sono impegnata molto per essere riconosciuta come donna impegnata nella società, ci tenevo e ci tengo a far parte della comunità in cui vivo: certo la famiglia è al primo posto (Hanen ha 4 figli, tra gli 8 e i 20 anni) ma è importante che noi donne tunisine ci dedichiamo anche alla vita sociale e non solo alla famiglia.

Ho provato sempre ad essere da stimolo per altre donne tunisine che vivono qui a Termoli per invogliarle ad uscire, a prendere parte alle faccende cittadine, a partecipare alla vita pubblica italiana e tunisina. Oggi, anche grazie ai social network, è più facile restare collegati con i propri concittadini emigrati in Europa o residenti in Tunisia e stare aggiornati sulle vicende che accadono. Dare informazioni corrette rispetto alle difficoltà economiche e sociali anche qui in Europa è molto importante anche per chi decide di partire, spesso mettendo a rischio la propria vita: alcuni tunisini, ad esempio, si lasciano sedurre dalle immagini di facebook dei propri compaesani, alcuni dei quali raccontano una realtà finta, che non esiste. Molti altri invece sono ben informati, conoscono le difficoltà a cui vanno incontro mettendosi in viaggio e quelle che avranno dinanzi a loro una volta arrivati, ma nonostante questo non demordono, non rinunciano. Perciò respingere le persone, rimandarle a casa loro non è la soluzione”.

Conoscere e riconoscersi, costruire dialoghi e incontri, ponti e non muri: questa la vera sfida per le nostre società sempre più connesse. Questo l’impegno quotidiano di Hanen, della sua associazione e di tante e tanti di noi impegnati a costruire comunità più coese, solidali, accoglienti.

 

*Gruppo Comunicazione Caritas

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