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Immuni, anche da pregiudizi e false news. Tra tecnologia, salute e privacy: perché è importante scaricare l’App in vista della seconda ondata

Alberico Del Torto e Giusy Di Lalla, rispettivamente medico e avvocato, chiariscono i punti controversi della App Immuni, finora snobbata dalla gran parte degli italiani sebbene possa rivelarsi uno strumento prezioso nella lotta al virus e nel meccanismo di isolamento dei contagi. L’invito, esaminati i diversi aspetti con dati e studi alla mano, è quello di scaricare l’applicazione e gestirla, soprattutto in considerazione della nuova impennata di contagi da Sars-Cov 2. Un invito rivolto specialmente agli Amministratori del Molise.

Alberico Del Torto, originario di Guglionesi, 32 anni, è cardiologo del Centro Cardiologico Monzino di Milano.

Alberico Del Torto

Il lockdown è alle nostre spalle, ma il fantasma di una futura seconda ondata è davanti a noi. Il lavoro per fronteggiare l’epidemia da Coronavirus non è finito, vero?

“È proprio così. Come dichiarato già in aprile dal direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, l’allentamento delle misure restrittive messe in campo per combattere l’epidemia da Coronavirus SARS-CoV2 non può prescindere dalla strategia delle 3T: test, track and treat, ovvero testare, tracciare e trattare. È intuibile come, finito il lockdown, l’individuazione precoce dei soggetti infetti, il loro isolamento e la rapida individuazione dei contatti avuti durante il periodo di potenziale trasmissibilità della malattia sia il più efficace strumento di salute pubblica nel ridurre o almeno contenere i contagi; forse meno intuitivo è che l’esecuzione di tamponi a tappeto nella popolazione non sia invece uno strumento molto efficace. In un interessante articolo recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet Infectious Diseases, il dott. Adam J. Kucharski e i colleghi della London School of Hygiene & Tropical Medicine dimostrano come l’esecuzione di tamponi a tappeto sia in grado di ridurre la trasmissione dell’infezione solo di un 2%; invece l’auto-isolamento dei soggetti infetti in casa ridurrebbe la trasmissione del 29%; ma soprattutto, sottolineano gli autori, la combinazione di auto-isolamento in casa (assieme a tutta la famiglia) e tracciamento manuale dei contatti ridurrebbe la trasmissione del 64%!

Il tracciamento manuale dei contatti richiede uno sforzo significativo di rapida mobilizzazione di risorse e di personale appositamente formato, che nel bel mezzo di una epidemia può invece essere carente; per di più tale sforzo è richiesto alla realtà della medicina e più in generale dei servizi del territorio, che in Italia sono purtroppo notoriamente in sofferenza cronica. Alcuni Paesi europei hanno assunto e formato rapidamente personale dedicato all’individuazione dei contatti dei soggetti infetti; purtroppo un tale sforzo non si è visto in Italia, e le lungaggini necessarie perché ad esempio un contatto autodichiaratosi all’ASL ottenga un tampone nasofaringeo sono state a lungo al centro dell’occhio del ciclone mediatico. Un recente studio pubblicato sulla rivista Lancet Public Health dalla dott.ssa Mirjam E. Kretzschmar dell’Università di Utrecht, dimostra come solo un tracciamento dei contatti rapido, concluso entro 1 o al massimo 2 giorni dall’individuazione di un soggetto infetto, sia in grado di rallentare la propagazione dell’epidemia, ovvero di ridurre il cosiddetto numero di riproduzione netto (Rt)”.

In questo quadro complesso di risorse mai sufficienti e di vera e propria corsa contro il tempo come ci si può organizzare?

“Quasi tutti i Paesi del globo ricorrono all’aiuto della tecnologia, che permette oggi di facilitare il lavoro di tracciamento grazie anche alla diffusione ormai capillare nelle nostre tasche degli smartphone. In Italia già ad aprile il premier Giuseppe Conte annunciava lo sviluppo di un’app, chiamata Immuni e sviluppata dalla società privata Bending Spoons, che è stata poi rilasciata su Google Play Store e su App Store a giugno. L’app Immuni, similmente alle app di gran parte degli altri Paesi europei, si basa sulla tecnologia Bluetooth, la stessa che utilizziamo per collegare il nostro smartphone alle cuffie senza fili o all’automobile, e non utilizza il GPS. Come tale, Immuni non può registrare i nostri spostamenti. Il suo funzionamento si basa invece sullo scambio di messaggi cifrati contenenti un codice di identificazione univoco (ID) tra smartphone vicini. L’architettura di Immuni è di tipo decentralizzata: normalmente le informazioni scambiate restano sugli smartphone, e non vengono inviate ad un server computer centrale. Quando invece ad un utente viene diagnosticato il Covid19, ella o egli possono decidere se segnalare il proprio stato di infetta/o all’app Immuni. In tal caso, l’app segnalerà il proprio ID come infetto al computer centrale. Da questo regolarmente tutti gli smartphone su cui è installato Immuni scaricano la lista degli ID segnalati come infetti. Gli smartphone che troveranno una corrispondenza tra gli ID segnalati e quelli raccolti passando vicino ad altri smartphone che utilizzano l’applicazione, lo notificheranno all’utente, che potrà poi a sua volta notificarlo al proprio medico di medicina generale. Va sottolineato inoltre come il computer centrale e i dati in esso immagazzinati siano gestiti da una società pubblica, la Sogei, facente capo al Ministero dell’Economia”.

Immuni e le altre app simili sono realmente efficaci?

“Secondo uno studio di ricercatori di Oxford, perché un’app di tracciamento sia pienamente efficace è necessario che almeno il 60% della popolazione la installi; tuttavia, come sottolineato dagli stessi ricercatori, anche una diffusione inferiore può essere utile nel limitare la propagazione dell’infezione. In ogni caso, ad oggi non disponiamo di vere e proprie misure di efficacia delle app di tracciamento. Infatti, proprio a causa delle limitazioni imposte dai programmatori di Immuni e app simili a salvaguardia della privacy degli utenti, non abbiamo modo di raccogliere dati circa l’efficacia di questi strumenti. I modelli matematici però sono in grado di stimarne l’impatto. In Australia, un’app molto simile a Immuni, chiamata COVIDSafe, ha riscosso un discreto successo e a metà maggio era già stata scaricata dal 27% degli australiani. In un recente lavoro la dott.ssa Danielle J Currie e i suoi colleghi del Sax Institute di Sidney mostrano come pur considerando il naturale rilassamento delle misure di distanziamento sociale e la riduzione dei tamponi nasofaringei effettuati, l’app COVIDSafe ai livelli attuali di diffusione sarà in grado di ridurre del 25% i nuovi casi attesi fino a dicembre 2020; inoltre, se l’app fosse installata sul 61% degli smartphone australiani, la riduzione dei contagi si attesterebbe addirittura al 50%”.

Come sta andando Immuni in Italia?

“In Italia i risultati di Immuni sono molto meno lusinghieri della controparte australiana. Ai primi di agosto i download, circa 4.6 milioni, sono stati effettuati solo dal 7.5% circa della popolazione italiana. Lo scarso interesse degli italiani è stato forse causato delle iniziali polemiche sulla società privata di sviluppatori, sul trattamento dei dati sensibili, sulle illustrazioni sessiste, ma probabilmente anche dal netto calo dei contagi. È verosimile invece che in caso di arrivo di una seconda ondata autunnale, l’app verrà installata da molti più utenti. È anche vero, d’altra parte, che installare l’app sul proprio smartphone e notificare una eventuale diagnosi di Covid19 è solo il primo passo nella catena del tracciamento dei contatti. Sebbene l’app faciliti il lavoro, i contatti individuati poi dovranno essere a loro volta isolati e testati, e come abbiamo visto la velocità di questo processo è cruciale. Al momento attuale invece i servizi sul territorio aspettano ancora il potenziamento promesso dalla politica e che sarà imprescindibile per una efficiente gestione di una eventuale seconda ondata; mancano ancora inoltre chiare indicazioni ministeriali al personale sanitario su come comportarsi con i soggetti che ricevono una notifica di allerta dall’app Immuni”.

Qual è il messaggio da dare ai lettori?

“In sintesi: installate l’app Immuni, aggiornate il vostro stato nel malaugurato caso in cui vi venisse posta la diagnosi di Covid19; ma pretendiamo dalla politica di arrivare più organizzati ad una eventuale seconda ondata, potenziando i servizi del territorio”.


Giusi Di Lalla , 30 anni, è avvocato con master per l’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche. Vive in Molise dove svolge la sua professione

Giusy Di Lalla Neural Network

Tra i temi più caldi degli ultimi mesi c’è sicuramente quello della privacy legato all’utilizzo dell’app “Immuni”. Parte dell’opinione pubblica ritiene, infatti, che quest’applicazione rappresenti un pericolo per i dati sensibili degli utenti. È davvero così?

 

“La risposta a questa domanda non può sintetizzarsi in un “Sì” o un “No” netti. Ritengo, invece, che vada offerta una panoramica esaustiva ai cittadini che si trovino nella condizione di scegliere se installare o meno l’app Immuni così che la loro sia una scelta consapevole. Va premesso che nell’era dei social-network, della navigazione in internet e dell’utilizzo delle più disparate applicazioni,  le quali controllano le nostre abitudini alimentari, i gusti personali ed i luoghi che visitiamo, è lecito preoccuparsi della tutela dei propri dati sensibili e del diritto alla riservatezza dell’utente. Il fatto che l’opinione pubblica si interroghi sul problema è positivo, ciò che conta è che le informazioni errate non rischino di strumentalizzare quella che potrebbe rivelarsi, in prospettiva futura, una valida strategia di contenimento del virus.

Già da qualche anno a livello comunitario si è resa necessaria  una normativa ad hoc volta a tutelare il diritto alla protezione dei dati personali. Siffatta necessità è emersa in modo preminente negli ultimi mesi con l’immissione da parte del Ministero della Salute dell’app Immuni sul territorio nazionale. Tuttavia, partendo dalla consapevolezza che nel 2020 il rispetto della privacy strictu sensu intesa sia impossibile – basti anche solo pensare alla sottoscrizione dei  contratti di telefonia e a come le grandi compagnie si servano dei nostri dati per fini di marketing -, prima di poter stabilire quanto questa applicazione sia rispettosa della privacy di chi la utilizza occorre capire cos’è il “Diritto alla protezione dei dati personali” e come esso incida sul funzionamento dell’applicazione stessa”.

 

Quindi cos’è  il “Diritto alla protezione dei dati personali”?

“Si tratta di un diritto fondamentale dell’individuo che troviamo consacrato nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che all’art. 8 recita:

“1) Ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano. 2) Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica.3) Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente”.

Oggi tale diritto è tutelato, in particolare, dal Regolamento generale per la protezione dei dati personali n. 2016/679 (General Data Protection Regulation o GDPR)  oltre che da vari altri atti normativi italiani e internazionali e dal Codice in materia di protezione dei dati personali (aggiornato con il Decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101)”.

 

In concreto, dunque, cosa può fare il cittadino per proteggere i propri dati sensibili?

“L’interessato ha il diritto di accedere ai propri dati personali e chiedere al titolare del trattamento (soggetto pubblico, impresa, associazione, partito, persona fisica, ecc.) se è in corso o meno un trattamento di dati personali che lo riguardano e, in caso di risposta affermativa, di ottenere una copia di tali dati nonché di richiedere informazioni specifiche sul loro utilizzo.

Altro potere spettante all’interessato è la facoltà di chiedere la rettifica, la cancellazione, la limitazione del trattamento e la  portabilità dei dati personali nonché il diritto di opporsi al trattamento dei propri dati in particolari situazioni.

Tali azioni da parte dell’avente diritto comportano l’obbligo, in capo al titolare del trattamento, di rettifica o cancellazione di tutti i dati”.

 

Delineato così il diritto alla tutela dei dati personali, su che basi giuridiche poggia l’introduzione dell’app Immuni in Italia?

“Il “Sistema di allerta Covid-19”, noto come app “Immuni”,  è stato regolamentato in maniera assai accurata, con particolare attenzione ai profili della privacy, nel Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020. In particolare, l’art. 6 del citato D.l. ne stabilisce le regole: l’utilizzo della app sarà solo su base volontaria ed il suo funzionamento si avvarrà di un’unica piattaforma nazionale di titolarità pubblica appoggiata a infrastrutture situate esclusivamente sul territorio italiano. Lo scorso 1 giugno il Garante per la protezione dei dati personali ha emesso parere favorevole all’avvio della sperimentazione della app, deliberandone la sostanziale conformità ai principi in tema di privacy”.

 

In che modo l’app Immuni garantisce la privacy dei propri utilizzatori?

 “L’applicazione non raccoglie alcun dato che consenta di risalire all’identità dell’utente. Non sono richiesti, infatti, il nome ed il cognome dell’utilizzatore, né data di nascita, indirizzo, numero di telefono o indirizzo email. L’app non registra alcun dato di geolocalizzazione, inclusi i dati del GPS. Ciò vuol dire che non è possibile tracciare gli spostamenti. L’app, infatti, al fine di risalire alla catena di contatti avuti dal soggetto eventualmente positivo al Covid-19, si serve del codice “Bluetooth Low Energy” il quale è generato in maniera casuale e non contiene alcuna informazione riguardo allo smartphone o alla persona. Peraltro, questo codice cambia svariate volte ogni ora proprio per potenziare la tutela della privacy. Infine, i dati e le connessioni salvate sullo smartphone sono cifrati e saranno cancellati non appena non saranno più necessari e in ogni caso non oltre il 31 dicembre 2020”.

 

Alla luce di questo, l’app Immuni ci espone a più rischi legati alla privacy rispetto all’utilizzo di altre applicazioni o di piattaforme social?

“A questa domanda posso rispondere precisando, innanzitutto, che l’app Immuni non è inattacabile, come del resto non lo sono neppure i server dei più grandi istituti di credito. Purtroppo, senza rendercene conto, ogni giorno, le nostre informazioni personali vengono ad essere trasmesse, scambiate e condivise da server posizionati in ogni angolo del mondo ed in grado di sintetizzare i gusti personali della popolazione per poi vendere o utilizzare tali dati a scopi commerciali. A quanti di noi, infatti, non è mai capitato di navigare sul web cercando qualcosa e poi di ritrovare quel prodotto o servizio sponsorizzato sulla home dei nostri social o sulle pagine di altri siti sotto forma di banner pubblicitari?! Bene, ciò avviene già da anni e siamo ormai abituati ad accettare la normative sulla privacy senza neppure soffermarci a leggerle, non solo perché spesso lunghe e farraginose ma anche perché se le rifiutassimo non potremmo accedere ai servizi scelti.

Credo, quindi, che l’app Immuni – così per come è stata progettata e regolamentata – ci renderà esposti a molti meno rischi rispetto a quelli che corriamo con l’utilizzo di altre popolarissime applicazioni e/o delle piattaforme social. Va poi considerato che rispetto a queste ultime la finalità di “Immuni” è preservare la salute pubblica, esempio tangibile di una tecnologia che si pone al servizio dell’umanità”.

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