Resilienza e integrazione

Salvini chiude i centri accoglienza, loro aprono una comunità. Casa Alexandra: un porto sicuro per mamme e bambini

Tra qualche giorno apre a Campobasso la prima comunità educativa per donne sole vittime di violenza e i loro bambini. Con un approccio laico e in un luogo protetto a pochi chilometri dalla città il centro ospiterà madri e gestanti vulnerabili fino a un massimo di due anni così da non doverle più mandare in strutture fuori regione. La retta sarà a carico del Comune di residenza delle ospiti. L'idea è di alcuni ex dipendenti dei centri di accoglienza che hanno fondato una cooperativa dopo che il decreto sicurezza ha messo a rischio il loro lavoro.

Casa Alexandra non è solo un porto sicuro per donne vulnerabili, spesso migranti, e i loro bambini già nati o prossimi a fare il loro ingresso nella vita.

Ma è anche il modo in cui alcuni ex dipendenti dei centri di accoglienza di Campobasso e dintorni hanno fatto squadra diventando a loro volta imprenditori così da non buttare quel mix di esperienze e competenze acquisite negli anni trascorsi nel Cas. Il decreto sicurezza dell’ex ministro Matteo Salvini, infatti, ne ha fatti chiudere a centinaia in tutta Italia causando, anche nella nostra regione, una perdita di posti di lavoro nell’accoglienza che sfiora circa l’80 per cento.

Il 22 luglio verrà annunciata la nascita di questa comunità educativa mamma-bambino che porta il nome greco di Alexandros, colui che difende e protegge: in un luogo sicuro, a pochi chilometri dal capoluogo, una villa immersa nel verde ospiterà, per un periodo che va da pochi mesi fino a un massimo di due anni, gestanti e/o madri di uno o più figli minori senza distinzione di razza, nazionalità o religione.

Aperta a tutti, e con la retta a carico dei Comuni che attraverso i loro servizi sul territorio (dalle assistenti sociali ai tribunali) invieranno di volta in volta ospiti nella casa (anche da fuori regione), Casa Alexandra si distingue da altre comunità simili per l’approccio: non di tipo caritatevole o religioso (come potrebbe essere quello delle suore di viale Elena, a Campobasso, che da tempo danno ospitalità a donne straniere e italiane in difficoltà coi loro figli piccoli) ma inclusivo.

“L’opera delle religiose è lodevole – spiega Salvatore dell’Oglio presidente della cooperativa sociale Hayet, la stessa già attiva con una fattoria sociale a Bojano – ma il nostro obiettivo è non solo quello di riabilitare queste donne ma anche di renderle autonome, in grado di provvedere a loro stesse e ai loro figli”.

Per farlo, però, occorre seguire un percorso di integrazione che può avere tempi variabili in base alle condizioni sociali, di salute, psicologiche delle ospiti della comunità. Ed è questo ciò che in Molise mancava. Lo sanno bene i ragazzi che hanno operato nel settore dell’accoglienza agli stranieri.

“Quando nei centri arrivavano donne con figli e situazioni complicate alle spalle dovevamo rivolgerci ad altre regioni: Lazio, Puglia, Calabria… E’ stato allora che ci siamo detti: ma perché non farlo qui in Molise? Le figure professionali c’erano già (educatori, oss, coordinatori ecc…) e così abbiamo iniziato a lavorare all’idea di aprire questa comunità che opererà sul territorio assieme ai servizi sociali e i tribunali per minori che ci affideranno i nuclei monoparentali da seguire”.

Se Casa Alexandra ci fosse già stata in Molise Abeba (nome di fantasia), gestante nigeriana che era ospite al centro accoglienza Eden di Campobasso, non avrebbe dovuto affrontare un viaggio fino a Trani al settimo mese di gravidanza dopo che nel capoluogo le dissero che la sua bimba sarebbe nata con un idrocefalo prospettandole gravi ritardi mentali e addirittura il rischio di morte per la neonata.

Ecco perché questa comunità sul territorio, vicino a un ospedale attrezzato con una terapia intensiva neonatale per esempio, è quello che mancava. Il costo della permanenza delle ragazze coi bambini è a carico del Comune di residenza dell’ospite che può accedervi solo se ha un regolare permesso di soggiorno.

“Tra i nostri obiettivi – spiega ancora dell’Oglio – c’è anche quello di accorciare il più possibile i tempi di permanenza nella comunità: passato un primo periodi di riabilitazione (che costa alle casse pubbliche di più, circa 140 euro al giorno, ndr) si avvia la donna a una semi autonomia. Lei continuerà  ad essere seguita da un educatore professionale ma vivrà all’esterno della struttura in un alloggio fornito dal Municipio per arrivare a una autonomia completa quando troverà un lavoro e sarà in grado di allevare la prole”.

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“I posti disponibili sono 13 in totale (quattro posti mamma-bambino e due per le gestanti). Fanno parte della cooperativa oltre a Salvatore dell’Oglio anche Gessica Apicella, Luca Pastore e Maria Chiara D’Amico. Altri soci (tutti italiani sempre a causa del decreto sicurezza che ha reso ‘irregolari’ i ragazzi stranieri che operavano nei laboratori al momento chiusi) operano invece sulla fattoria bojanese Griot che sta portando avanti diverse iniziative (dalle giornate di volontariato ai campus) oltre alla vendita di prodotti biologici e a chilometro zero.

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