Il mestiere di raccontare

Prima di Primonumero, quando i giornali si facevano dettando gli articoli al telefono. E inviare una foto da Termoli era un’impresa…

Pietro Eremita è un giornalista storico di Termoli, passato dalla carta stampata (La nazione, Il Tempo) alla tv (Teletrigno, Telemolise) e con diverse esperienze nell’informazione web. In occasione del nostro compleanno, gli abbiamo chiesto un racconto su come è cambiato il giornalismo locale sul nostro territorio. Ed è stato un tuffo nel passato, per scoprire però che certe cose sono rimaste uguali…

Il 4 luglio del 2000 nasceva Primonumero.it, e l’informazione locale sbarcava sul web. Un esperimento, in un periodo in cui Internet era ancora appannaggio di pochi: si viaggiava a 56k, erano i tempi delle infinite attese per il caricamento delle pagine web, quando si restava interi minuti davanti al desk aspettando il completamento dei download. In Molise l’informazione online non esisteva. Primonumero, oggi il telematico più longevo (e più letto), è nato per gioco e per scommessa, debuttando con una ampia sezione di vernacolo e servizi pioneristici per l’epoca dedicati al turismo.

Primonumero home page 4 luglio 2000

L’anno successivo – giugno 2001 – si è trasformato in un giornale con l’iscrizione al Tribunale di Larino. Nel frattempo si stava imponendo un altro telematico, @altromolise.it, diretto da Antonio Sorbo: un quotidiano regionale che pubblicava in media 50 articoli al giorno, tantissimi per quei tempi. Sorbo ha lasciato la direzione nel 2013, quando è diventato sindaco di Venafro. “Una scelta – ci racconta – dovuta sa alla mancanza di tempo che a possibili conflitti di interesse”. Per qualche mese ancora @altromolise.it è andato avanti con un altro direttore, ma poi ha smesso di essere aggiornato ed è finito. Da quella esperienza è nato Altromolise Magazine, mensile di inchiesta, opinioni e cultura pubblicato dal 2003 al 2007.

altromolise magazine

Primonumero.it invece è sempre rimasto “fedele” al web, aggiornandosi di pari passo con l’evoluzione di Internet e passando da sito “leggero” con una grafica essenziale indispensabile per quei tempi al giornale che è oggi, caratterizzato da video, gallerie fotografiche, una nutrita parte social e una sempre maggiore copertura del territorio. D’altra parte nel 2000 Google esisteva solo da 3 anni, i colossi del web come YouTube e Facebook  non erano ancora stati concepiti, e il mondo viaggiava a una velocità diversa.

Sembra trascorsa un’era geologica, anche se in realtà sono passati “solo” 20 anni, il tempo di una generazione. Ma sono stati 20 anni che hanno drasticamente modificato l’informazione, cambiando l’approccio dei lettori verso la notizia e rivoluzionando, possiamo dire l’approccio dei giornalisti verso la notizia.

Pietro Eremita

“Ormai con gli smartphone è stato compiuto un ulteriore passaggio. Il giornalismo si può fare dovunque, principalmente dalla strada. E questo restituisce la sensazione diffusa che chiunque possa essere giornalista, ma non è così”. A parlare è Pietro Eremita, un cronista storico di questo territorio e di Termoli, la città nella quale Primonumero.it è nato e si è radicato prima di allargare lo sguardo anche al resto del Molise.

“Mi ricordo benissimo quando è apparso sulla scena Primonumero, che oggi è il giornale più letto e seguito, e che a lungo è stato considerato da tutti il giornale di Termoli”. Lui, all’epoca, era uno dei volti di Telemolise, la principale tv privata della regione, ed era redattore per il quotidiano Il Tempo, dove è arrivato nel 1991. E se quando è nato Primonumero si viaggiava a 56k, prima ancora i pezzi si scrivevano in dos. “Preistoria, se rapportata ad oggi. E prima ancora del dos – ricorda – si dettavano al telefono, o si scrivevano a macchina su carta millimetrata, con la griglia già pronta”.

Altri tempi, altra velocità. “Chiamiamola velocità – scherza – se si può dire che sia veloce l’invio di una foto, che oggi arriva in mezzo secondo da uno smartphone all’altro, per il cui invio occorrevano dai 15 ai 20 minuti”.

Ve lo siete mai chiesti? Come si faceva a mandare una immagine dalle redazioni periferiche – in questo caso quella di Termoli – alla sede centrale, a Roma?

“Si chiamava tamburello – spiega lui, che ha attraversato decenni di giornalismo e sperimentato la carta stampata, la televisione, la web tv e l’informazione web – Il fotografo, un ruolo che oggi non esiste quasi più nei giornali perché sono gli stessi cronisti a scattare le immagini, correva sul posto il prima possibile, scattava e rientrava il più velocemente possibile in redazione. La foto – che doveva essere sviluppata prima dell’avvento delle Polaroid nella camera oscura – veniva identificata e inserita in un cilindro. Il rullo iniziava a girare e mano mano il sondino posto sul lato si spostava e andava a scrivere l’immagine dall’altra parte del cavo telefonico. Una piccola tac, per intenderci”.

Pietro Eremita

Quando le foto erano tante, come durante la visita di Pertini a Termoli o in altre occasioni del genere, di grande richiamo per la “prima pagina” dei quotidiani, si può solo immaginare che gran lavoro in redazione. “Bisognava dividere i compiti: c’era chi scriveva, chi preparava le didascalie, chi mandava le foto a Roma visto che per ogni immagine occorrevano decine di minuti”.

Altri tempi, altri ritmi. Ma sarebbe un errore pensare che all’epoca se la pigliavano comoda. “Io non ricordo di essere mai rientrato a casa prima delle 23, e questo quando andava bene, quando la giornata era tranquilla. All’epoca i giornali chiudevano alle 2 o alle 3 di notte, e se succedeva una cosa importante il tardo pomeriggio o in serata dovevi mettere in conto di fare la nottata”.

Pietro, che ha scoperto giovanissimo la passione del giornalismo a Firenze, scrivendo giudiziaria per “La Nazione”, radicando poi la sua carriera a Termoli, è stato un cronista a tutto tondo. Si è occupato di nera, giudiziaria, sindacale, bianca, politica, urbanistica. Un tema che a Termoli è particolarmente “caldo” da sempre, e che anche Primonumero ha raccontato e sviscerato in anni di inchieste sui palazzinari e gli affari del cemento.

“Come in tutte le categorie professionali – rivela – ci sono quelli che stanno appiattiti sul potere, specialmente in un posto piccolo in cui ci si conosce tutti e si cercano padrini per rendere le condizioni più confortevoli, e quelli che si intestardiscono con la ricerca della verità”.

Lui ci ha provato sempre, finendo anche sotto scorta per quasi un anno. “Le centrali di potere negli anni Novanta erano forti – ricorda – sfacciatamente evidenti. E se ti incaponivi a scoperchiare qualche cupola, fosse anche una cupoletta, beh… finivi per essere minacciato”.

Perché ci sono cose che, a dispetto dei cambiamenti tecnologici, nel giornalismo sono rimaste identiche. A cominciare dalla sua missione principale: raccontare.

“E’ il bello di questo lavoro, è la cosa più gratificante. Raccontare, che non significa inventare, è proprio del giornalista. Il giornalista non è uno scrittore ma una persona che sta in mezzo alle altre persone e racconta pezzi di realtà, possibilmente dando spazio a tutte le voci, tenendo da parte il suo credo e il suo commento, facendo parlare i fatti”.

Pietro Eremita

Il taccuino – Se oggi si prendono appunti sul telefonino, prima era il taccuino il compagno insostituibile del cronista. “Blocchetti fitti di appunti, numeri, parole chiave, nomi, che erano l’ossatura della storia” ricorda Pietro, che non ha dubbi sul fatto che raccontare sia “l’aspetto migliore di un lavoro molto sacrificante”, oggi spesso snobbato e perfino insultato su social. Una missione e una passione, per la quale – come è successo a lui – si viaggia fra Termoli e San Giuliano di Puglia, epicentro del terribile terremoto del 2002, quando persero la vita 27 bambini e una maestra sotto la scuola elementare crollata, per 258 giorni consecutivi. Senza mai fermarsi, senza riposo, senza domeniche, senza feste in famiglia. “Ininterrottamente – ammette – Quel terremoto, che per il Molise è il terremoto, è stata l’esperienza giornalistica che mi ha segnato di più”.

Pietro Eremita

Le “imbeccate” – Era il 30 aprile del 1999 e Giulio Andreotti arrivò a Termoli per tenere una conferenza con la Curia all’insaputa di tutti. Anzi, all’insaputa di quasi tutti. “Io ebbi una soffiata buona, un amico delle forze dell’ordine mi consigliò di andarmi a fare un giro da quelle parti”. Erano tutti alla Corsa dei carri di san Martino in Pensilis, e l’unico cronista che si presentò davanti alla Chiesa di san Francesco fu Pietro Eremita. Che riuscì a fare una intervista esclusiva ad Andreotti. Quello stesso mattino la Procura aveva chiesto la condanna all’ergastolo per i 6 imputati del processo per la morte del giornalista Mino Pecorelli, ucciso in circostanze mai chiarite il 20 marzo 1979. “Fui il primo ad arrivare e intervistare Andreotti  – ricorda Pietro Eremita – proprio per l’argomento al quale l’intervista era agganciata. E quindi l’intervista è finita su tutti i nazionali…”

Pietro Eremita

Oltre alla bravura, alla capacità di “afferrare al volo” le occasioni e padroneggiare le notizie, servono le giuste conoscenze e un pizzico di fortuna. Come quando – per fare un altro esempio. Eremita ha intervistato il famosissimo attore Roger Moore in relax allo stabilimento termolese La Stella Marina. “E’ successo nell’estate del 2004. Una imbeccata, anche in questo caso”. Perché certe cose, quelle basate sui rapporti personali, sulla fiducia delle fonti, sui “contatti” e quindi sulle persone, non cambiano mai.

“E c’è un’altra cosa che non è cambiata e che spero non cambierà fino a quando esisteranno i giornalisti – sintetizza Pietro – ed è questa, anzi sono due: gli strumenti e la libertà. Gli strumenti e la libertà sono un bagaglio dal quale il giornalista non può prescindere. Valeva 50 anni fa, valeva 20 anni fa e vale, a maggior ragione, anche oggi”.

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