In consiglio regionale

La sfiducia non passa, votano la mozione solo le minoranze. Toma allontana la crisi di luglio e fa pace con Iorio

La mozione di Pd e 5 Stelle viene bocciata: 8 sì, 12 no e un solo astenuto, questo il verdetto dell'Aula. Il governatore salvato dalla sua maggioranza che si prepara a cambiare la Giunta, ma i malpancisti Andrea di Lucente e Salvatore Micone lanciano l’ennesimo avvertimento: “Votiamo no alla sfiducia ma non condividiamo l’operato del presidente, sono state prese scelte scellerate. Se non ci sono le condizioni per andare avanti, stacchiamo la spina”. Da domani iniziano le manovre per distribuire le deleghe ai consiglieri regionali e rivedere la Giunta regionale.

Dopo 26 mesi di legislatura il governatore supera anche la seconda sfiducia: la mozione di M5s e Pd non passa in Consiglio regionale. La maggioranza salva il presidente ma lancia una serie di avvertimenti sul futuro della coalizione: “Se non ci sono le condizioni minime per andare avanti, stacchiamo la spina“, sottolinea Andrea Di Lucente in un intervento durissimo.

Ad un certo punto del confronto a palazzo D’Aimmo la mozione passa pure in secondo piano rispetto alla sorpresa della giornata: la pace tra Donato Toma e Michele Iorio che infatti alla fine decide di astenersi sulla sfiducia. Alla vigilia del voto, in molti erano pronti a scommettere sul suo voto favorevole. Tutto ‘merito’ dell’apertura del vertice di Palazzo Vitale: “Per me è parte della maggioranza”, scandisce il presidente riferendosi al suo predecessore. “La mia è un’apertura nei confronti di una persona che rappresenta un pezzo della storia del Molise e che ha contribuito alla mia elezione”.

Entrando invece nel merito della mozione di sfiducia il capo della Giunta è netto: “Questa mozione è un atto temerario per il futuro del Molise, non era questo il momento”.

E poi, sottolinea, “non capisco perché a Roma 5 Stelle e Pd sostengono che le elezioni sono un atto scellerato e deleterio per il Paese, mentre a livello locale i rappresentanti di questi due partiti fanno esattamente il contrario. Incoerenza e irresponsabilità politica delle minoranze sono le uniche parole che posso usare per definire un atto del genere. Ancora più avvilente sarebbe il voto della maggioranza che non è instabile ma caratterizzata da un forte dibattito interno, da una giusta dialettica a forte effervescente. Ma questo non c’azzecca nulla con la crisi”.

Toma Micone Cefaratti sfiducia 7 luglio

Nelle dichiarazioni di voto arrivano le bordate delle opposizioni. “Pecunia non olet”, dice Facciolla. Il riferimento è agli esponenti di maggioranza che, nonostante le critiche espresse nei confronti del commercialista che guida la Regione, pensano piuttosto a tutelare la poltrona.

Anche i 5 Stelle sostengono il fallimento di Toma. “In 26 mesi ha smentito le sue linee programmatiche, finora non ha garantito la rappresentanza di genere, e se sarà nominata un’assessora (Aida Romagnuolo, ndr) è solo perché ha ceduto alla sua maggioranza. Non è stata approvata nemmeno una legge che abbia avuto un impatto reale sul territorio”, sottolinea Patrizia Manzo.

Sulla stessa lunghezza i colleghi Angelo Primiani (“Mi sembra di vedere ‘Per un pugno di dollari’, si pensa solo alla poltrona”), Fabio de Chirico, Valerio Fontana (“Presidente, lei è andato sotto con i numeri dieci volte, in particolare sul bando per il gestore unico del trasporto pubblico; ha cambiato quattro volte la Giunta”).

Maggioranza Toma sfiducia 7 luglio

Poi in Aula ‘rimbombano’ i siluri dei dissidenti. Apre il fuoco Andrea Di Lucente che rivolgendosi a Toma dice: “Siamo stati critici nei suoi confronti, abbiamo alzato il tiro contro qualche assessore e contro i partiti che da Roma vogliono dettare la linea o fare forzature”. Il riferimento è alla Lega e alla nomina dell’assessore esterno Michele Marone. “Ma non voterò a favore della mozione perché non la condivido nel merito e nel metodo, non sono le minoranze a dover decidere se ci sono le condizioni minime per andare avanti o no, se non c’è fiducia nei confronti del presidente”.

 

Pepate pure le parole di Salvatore Micone: “Basta con i partiti-padrone, l’esperienza di Campobasso dovrebbe insegnare“, rimarca rivolgendosi alla Lega e alla sonora sconfitta rimediata nel capoluogo dalla candidata sindaca leghista Maria Domenica d’Alessandro. “Sta a lei ricostruire su queste macerie o se restare in balia di alcuni partiti”.

Il conto che Toma si è impegnato a pagare passa per “la rivisitazione della Giunta” e per la distribuzione delle deleghe ai consiglieri regionali. In tal senso arriva una conferma dal sottosegretario Quintino Pallante: “Bisogna dare di nuovo un ruolo centrale a questo Consiglio regionale, affidare ai consiglieri le deleghe. In questo modo potranno alleviare i suoi compiti gravosi”.

La sfiducia non passa: 8 sì, 12 no. Si astiene Michele Iorio perchè, dice, “non potevo votare contro le motivazioni della mozione di cui ho condiviso soprattutto il ruolo centrale che si vuole assegnare al Consiglio regionale. Ed avendo chiaro il fatto che non c’erano i numeri sufficienti, ho anche dovuto prendere atto che non potevo votare neppure contro il centrodestra di cui ho sempre fatto parte”.

Greco sfiducia 7 luglio 2020

Cocente la delusione di M5S: “Il presidente festeggerà l’esito del voto senza rendersi conto di essersi consegnato alla maggioranza di cui da oggi sarà ancor più ostaggio. Mentre il Molise si spegne, la legislatura si regge solo grazie alle regalie fatte ai consiglieri: poltrone, deleghe, incarichi, nomine, sono queste le modalità con cui si vorrebbe amministrare la Regione”.

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