Fuori dal tunnel

La quarantena infinita di Enzo, 2 mesi col Covid: “Separato in casa con mia moglie, mi hanno salvato dalla solitudine gli amici su whatsapp e la mia Baby”

Il virus che non molla la sua vittima, i lunghi giorni di isolamento in casa: sono stati necessari 3 tamponi prima di dichiarare guarito Enzo Potente, 64 anni, soccorritore e autista della Croce Verde per il 118. E’ uno degli oltre 35 operatori sanitari che in Molise ha contratto il Covid, e racconta una clausura interminabile in casa, la paura, l’overdose da informazioni dei media, le speranze mortificate dai risultati di laboratorio. Ma anche la riscoperta degli affetti e la straordinaria prova di fedeltà della cagnetta Baby.

Quello che ti salva, alla fin fine, sono gli affetti. Sempre vero, più vero che mai durante il lungo periodo di quarantena per i malati di Covid. Isolati, gioco forza, da tutto e da tutti. Il virus che aggredisce i polmoni è anche una malattia della solitudine: ti costringe a non avere contatti con nessuno, nemmeno con i familiari.

Ne sa qualcosa Enzo Potente, soccorritore e autista della Croce Verde in servizio con la postazione del 118 di Bojano. Per lui, 64 anni, il Covid ha significato 2 mesi di clausura. Tanto ci è voluto perché i tamponi tornassero – come si dice in gergo ormai acquisito dai più – a negativizzarsi.

“Come ho resistito? Con l’affetto e l’amicizia dei gruppi WhatsApp e anche grazie ai miei animali”. Di cani ne ha tre, e la più piccolina è Baby, che non lo ha mollato un attimo. “Una attestazione continua e instancabile di fedeltà assoluta” sorride con l’emozione nella voce quando racconta delle notti infinite di marzo e aprile, divorato dalla tensione, dall’angoscia. Il sonno ristoratore non arrivava mai, gli occhi facevano fatica a chiudersi. Per fortuna c’era Baby a ricordargli, ferma e in paziente attesa sul pianerottolo, che basta, era ora di mettersi a letto.

“E io, vedendola così attenta e determinata, non potevo fare altro che infilarmi sotto le lenzuola”. In quella camera matrimoniale in cui Enzo ha dormito solo per 70 giorni. “Mia moglie si è trasferita prima in un’altra stanza e poi da sua madre. Non si poteva rischiare di contagiare anche lei”.

Separati in casa, e non per scelta. “Vivevamo sotto lo stesso tetto per modo di dire, perché non potevamo condividere nulla” svela Enzo, che ora è finalmente guarito. “Né il letto, né il bagno (per fortuna ne hanno due, ndr), né la cucina e tantomeno le stoviglie”. Alla fine ce l’hanno fatta e ora sono più uniti di prima.

Quando è cominciato tutto?

“Ricordo che era l’inizio di marzo e il Covid non era ancora esploso in Molise. Non so da chi lo abbia preso o come abbia fatto, ma nel nostro ambiente può capitare… e le cronache molisane e italiane lo hanno dimostrato”.

Ospedali, postazioni di primo soccorso, cliniche, case di riposo, si sono rivelati i principali focolai del contagio. In Molise sono stati contati almeno 35 tra medici, infermieri e operatori sanitari di varia natura che hanno contratto il virus. Enzo è uno di loro, che ha controbilanciato la forma lieve della malattia con una quarantena interminabile perché, su di lui, il Covid ha resistito a lungo.

“Ho scoperto di essere positivo il 20 marzo 2020, il giorno stesso in cui ho fatto il primo tampone al Cardarelli di Campobasso”. Un tampone di ricognizione sul personale di soccorso, niente di allarmante.

“Ero tranquillo, anche se da qualche giorno avevo un po’ di tosse, una tosse fastidiosa. Avevo il sospetto di essermi beccato una influenza, ma sicuramente non pensavo al Covid. I miei sintomi – dice ancora – sono sempre stati molti blandi. Al massimo un po’ di febbre, solo per qualche giorno. Poi sono stato benissimo, mi sono sempre sentito perfettamente in forma, almeno sul piano fisico”.

Ma quella sera, la sera del 20 marzo, la telefonata che ha cambiato tutto. “Lei è positivo al Covid-19”.

“Una telefonata che non dimenticherò mai – prosegue Enzo, giudicato guarito definitivamente il 18 maggio scorso, quando finalmente, dopo diversi tentativi, anche il secondo tampone ha dato risultato negativo”.

Come si è sentito quando è arrivata la comunicazione?

“Ho pensato di tutto, e ho anche avuto paura per i miei colleghi visto che nel frattempo ero andato al lavoro e avrei potuto essere io stesso fonte di contagio. Davanti a me ho intravisto la mia vita drasticamente cambiata. E così è stato, perché ho sperimentato sicuramente uno dei periodi più difficili della mia esistenza, e non solo per la paura di vedere aggravarsi le condizioni, paura che francamente è durata poco perché sono sempre stato abbastanza bene e i sintomi sono durati non più di una settimana, quanto per la solitudine. Questa malattia, come dicono tutti quelli che l’hanno sperimentata di persona, ti isola completamente”.

Enzo, che lavora con la postazione della Croce Verde affiancata al 118 nel territorio di Bojano, San Massimo, Spinete, Guardiaregia, Vinchiaturo e anche Campobasso, non sa da chi, come e quando ha contratto il virus. Non sa se la fonte del contagio sia un paziente soccorso in casa piuttosto che un collega. All’inizio di marzo, l’epoca alla quale risale il contagio, il virus sembrava circoscritto, il lockdown non era ancora scattato.

“Quello che so, e che oggi posso raccontare, è che quella comunicazione ha interrotto qualsiasi forma di socialità”. Basta andare al lavoro, basta incontrare persone, basta un bacio di saluto alla moglie, basta un caffè con gli amici. Basta tutto: “Eravamo io, la televisione, il telefonino e i miei cani, gli unici che potessi accarezzare e accudire”.

 

Per 24  giorni – tanto è durata la prima quarantena – nessun contatto fisico con esseri umani, di nessun genere. “In soccorso mi è venuto il telefonino che uso davvero molto poco ma che si è rivelato uno strumento prezioso per il conforto degli amici e dei figli, ormai lontani da Campobasso”.

Due i gruppi WhatsApp che ama ricordare, e uno di questi ha un nome emblematico: “Amici per sempre”.

“Persone che conosco da tanti anni, di cui mi fido, che mi sono stati vicini a distanza. Mi hanno distratto, ho sentito l’affetto delle persone, la vicinanza, tante volte anche le piccole inezie che si rilanciano su WhatsApp e che possono essere importanti per alleggerire la tensione. Un video divertente, una battuta”.

L’ansia lo teneva avvinghiato alla televisione e al web, con quella overdose da informazioni da Covid che ha caratterizzato tutto il lockdown italiano. “Ho smesso di dormire, ho cominciato ad avere forti disturbi del sonno. Avevo il calendario sempre vicino – racconta mostrando lo scorrere del tempo a ritroso sul telefonino – a contare i giorni che mi separavano dal tampone sul quale confidavo”.

Ma le speranze sono state uccise più volte dagli esami di laboratorio. Uscire dal Covid si è rivelato una via Crucis. “E’ stata necessaria tanta pazienza, e tanta speranza. In questo hanno avuto un ruolo fondamentale gli affetti”, categoria nella quale va annoverata la cagnetta Baby “che non mi ha mollato un secondo”.

Il tampone sul quale riponeva le aspettative dopo settimane di quarantena lo ha fatto l’11 aprile ed è purtroppo risultato positivo. “L’ho saputo il giorno successivo, il 12 aprile: il giorno di Pasqua. Ero pronto a tirare un sospiro di sollievo, ma non è andata così”.

Il virus non se n’era andato. Enzo ha aspettato ancora, ha contato altri giorni, arrivando al 29 aprile. “Adesso sarò guarito, pensavo. Mi sentivo benissimo, non avevo nulla”. Ma è stata una illusione: il primo tampone, quello del 29 aprile, era effettivamente negativo. “In questi casi va ripetuto per fugare ogni dubbio, e quello del 2 maggio, due giorni dopo, ha dato esito positivo”.

Virus enigmatico, difficile, ostico il Covid 19. Per Enzo Potente è cominciata un’altra quarantena, l’ennesima, che si è protratta fino al 18 maggio, quando finalmente entrambi i tamponi – a distanza di 2 giorni l’uno dall’altro – sono risultati negativi.

Tanti giorni, giorni interminabili, 2 mesi di reclusione con la paura addosso di poter contagiare qualcuno. Poi, finalmente, la guarigione. “Non mi sembrava vero”.

E che cosa ha fatto?

“Sono uscito a fare un giro in scooter, ho comprato il giornale, ho incontrato un amico, per ironia della sorte anche lui positivo e guarito, ho fatto una lunga passeggiata. E qualche sera dopo una pizza con mia moglie”.

Sarà la forza dell’abitudine, sarà la preoccupazione che non passa del tutto, ma Enzo confida: “I primi giorni l’abbracciavo solo di spalle e abbiamo mantenuto la separazione dei bagni…”. Poi, un po’ alla volta, il ritorno alla normalità. E al lavoro.

Rischi scongiurati, adesso?

“I rischi ci sono sempre, quando suoniamo a un campanello per soccorrere un paziente non è più come prima. Ci chiediamo tutti “E’ tranquillo? Come sarà? E se ha il Covid?” Il virus ha modificato l’approccio dei soccorritori”.

Qualcuno non è più tornato, ha preferito mettere in archivio l’ambulanza e il defibrillatore. Non lui. “Ma – avverte – non si può dire che sia tutto come prima. Questo virus ha cambiato tutto”.

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