Reportage

Il miracolo del Covid: una Termoli che lavora unita e accoglie il diverso. E l’esperimento del dormitorio avrà un futuro

L'emergenza sanitaria ha reso ancor più tangibile il cuore solidale di Termoli, o perlomeno di quella parte della città che non si è voltata dall'altra parte e ha pensato a chi una casa dove stare non ce l'ha. Un progetto, quello del dormitorio messo sù nella palestra della scuola Schweitzer, che non è che la punta dell'iceberg di un lavoro sociale di rete non comune. "La città ha dimostrato in questa occasione di aver fatto tanti passi avanti, non disperdiamo tutta questa ricchezza"

I panni stesi al sole, come se ne vedono in ogni casa. Ma questa non è affatto una casa. Chiamarlo semplicemente dormitorio però sarebbe riduttivo: è molto di più. Quel di più è la libertà di entrare ed uscire quando si vuole, potersi fare più docce al giorno, guardare la televisione o prendere un caffè. Tutte cose a cui, quando una casa non ce l’hai più, ti disabitui.

I letti sono in ordine, distanziati l’uno dall’altro come vogliono le regole. Quelle del Covid, ma anche quelle del vivere comune. Perché stare sotto uno stesso tetto è prima di tutto rispettarsi l’uno con l’altro, anche quando non ci sei più abituato. Ci si disabitua perfino al letto, come ci confessa Michele: “All’inizio mi faceva così strano che ho dormito per terra”.

Dormitorio per emergenza Covid a Termoli

Certo, stare insieme ad altre persone di cui fino a prima dell’epidemia si sapeva poco o nulla non è cosa semplice. Gigi, come viene chiamato dagli altri un uomo di 56 anni, proveniente dall’Est Europa e ormai in Italia da tre lustri, non fa che ripetere col suo vocione prepotente che “c’è qualcuno che non aiuta, non fa i lavori, non tiene pulito”.

Un’altra voce, un’altra storia, esemplifica tutte le difficoltà in questa frase che ha la durezza di un pugno nello stomaco: “Non è mica facile mettere insieme 12 solitudini come le nostre”. È Giuseppe, che nonostante tutto ha lo sguardo dolce e l’espressione serena. Cerca di trasmettere calma, dialoga con l’amico Luigi, ha il sorriso di chi ha sofferto e percepisce la sofferenza altrui. Prova a raccontare qualcosa di sé ma ha bisogno di un pubblico attento e in ascolto profondo e non è facile trovarlo al giorno d’oggi, a maggior ragione qui.

Dormitorio per emergenza Covid a Termoli

La condivisione è la sfida più difficile. Anche per questo i volontari quotidianamente cercano dei momenti di riflessione, radunando tutti in cerchio, tutti allo stesso livello. “La loro fiducia la si conquista con il dialogo informale” e, aggiungiamo, sospendendo il giudizio e facendo fuori pregiudizi e paradigmi di vita. Anche quando arriva l’uragano di rabbia di qualcuno, lo si accetta e basta. Non tutti hanno voglia di parlare, e anche questo gli operatori hanno imparato ad accettarlo. I tre ragazzi africani arrivano col pallone tra le mani, propongono una partitella e per un attimo sembra di rivivere una famosa scena di ‘Tre uomini e una gamba’ con Aldo, Giovanni e Giacomo. Ma questo non è un film, anzi.

È una storia particolare, che non ci si aspetterebbe da una città sempre alla ricerca della propria identità come Termoli. Una città che negli anni ha accolto immigrati dall’accento diverso e da provenienze limitrofe, ma pur sempre ‘immigrati’. Lavoratori, soprattutto operai e figli di operai, che ormai hanno quasi soppiantato il popolo di pescatori e contadini con cui Termoli si identificava una volta.

Forse memore di questo passato recente, Termoli ha aperto le porte di un dormitorio, eccezione rara e preziosa in un’Italia che spesso si chiude davanti al diverso. E invece nella cittadina adriatica, non appena è scoppiata l’epidemia, qualcuno ha cercato di dare immediata risposta alla domanda di Roberto De Lena e degli altri operatori della Termoli invisibile: “Dire state a casa va bene, ma quando una casa non ce l’hai?”.

Così insieme al Comune hanno trovato una soluzione: aprire H24 un dormitorio per i senzatetto della città, individuato nella palestra della scuola media ‘Schweitzer’ che affaccia su viale Trieste. Con le scuole chiuse per l’epidemia da coronavirus, si è trattato di sistemare i letti, attrezzare i bagni, trovare chi potesse dare assistenza a queste persone.

E non sono mancate le sorprese, spiazzanti. “Alcuni utenti Caritas si sono proposti di venire a dare una mano, rendendosi utili per eventuali lavoretti da fare”. Bisognosi che aiutano altri bisognosi, rovescio perfetto dello stereotipo del ‘povero’. Una spalla importante si è avuta poi dall’Amministrazione comunale: “Abbiamo trovato nel sindaco Roberti collaborazione e pragmatismo” confida Gianni Pinto, vice direttore della Caritas diocesana. In pochi giorni è stato aperto un posto che non esisteva e vi ci hanno trovato ‘casa’ stranieri dell’Est Europa e dell’Africa, ma anche e soprattutto italiani, sia termolesi che originari di altre regioni.

Quindi è andato in scena un piccolo miracolo: nove diverse associazioni si sono messe a disposizione fornendo pasti caldi completi tutti i giorni, organizzando turni (come quello di sorveglianza notturna) e servizi. “Col Comune abbiamo avuto sempre dialogo, il nostro referente è stato l’assessore Michele Barile che ha la delega alla Protezione Civile”. E pur tra mille difficoltà l’esperimento è riuscito: “C’è da dire che eravamo già rodati come gruppo per via dell’esperienza delle cene in stazione”, quelle che da tempo ormai, con sistematicità, singoli volontari e associazioni portano ai senzatetto che dormono all’interno della stazione ferroviaria. Ma tanto hanno fatto gli stessi ospiti della speciale struttura: “Giardinaggio, turni per le pulizie, perfino la raccolta differenziata fanno”.

Nell’Italia che si perde nella burocrazia e nello scaricabarile, un perfetto esempio di quanto la voglia di fare e la libertà di agire possano essere risorse incommensurabili, non solo nella solidarietà. Un risultato a cui non si è arrivati per caso: “È un percorso iniziato da tempo e che proseguirà. L’obiettivo è passare dalla logica dell’emergenza, in cui ancora siamo, a quella di una vera e propria politica abitativa – spiega Roberto, che intravede un significativo successo, finalmente, dopo tante ‘battaglie’ -. Termoli ha fatto notevoli passi avanti, questo non è successo in tante altre città. E questo esperimento potrà far fare un balzo in avanti a tutte le politiche sociali del territorio”.

dormitorio donne schweitzer

Per circa tre mesi sono stati 12 i senzatetto ospiti di questo dormitorio, per qualche periodo con l’aggiunta di due donne per le quali era stata sistemata una stanza apposita separata. Ma non basta. “Dai nostri conteggi i senzatetto a Termoli sono circa 25-30, con punte di 40 d’estate, quando la città è più frequentata anche da chi non ha una casa” riferiscono gli operatori Roberto, Luigi e Francesco.

I senzatetto non sono tutti uguali e sono diversi i motivi per cui ognuno di essi si ritrova a vivere in mezzo ad una strada e a dormire, quando si è più ‘fortunati’, in una roulotte. Ma c’è un filo rosso che lega le varie storie, e a spiegarcelo è Gianni della Caritas diocesana: “Diventi senzatetto perché la rete di relazioni intorno a te si sfalda”. Con l’effetto che finisci per disabituarti agli altri. E qui sta il difficile del lavoro portato avanti in questo posto, che non si esaurisce certo nel fornire un riparo per dormire. “Qui si sta facendo un lavoro al contrario, quello di ricostruire”. Che paradossalmente può essere vissuto come una coercizione, e non tutti la mandano giù. “Capita anche che alcuni di loro ti spiazzino dicendoti che preferiscono vivere in strada”.

È proprio la ricostruzione di quelle reti sociali che le associazioni ‘La città invisibile’ e ‘Caritas’ stanno cercando di organizzare. “Pensiamo a laboratori, corsi per il reinserimento di queste persone”. Se durante la Fase 1 si sono concentrati sui problemi più urgenti, quali i documenti utili per richieste di aiuto economico come il Reddito di emergenza, adesso si guarda a come dare gli strumenti utili a queste persone per ricostruirsi un’esistenza.

Intanto è prevista per il prossimo 28 luglio la chiusura del dormitorio, quando la palestra andrà riconsegnata alla scuola, così da organizzare la ripartenza delle lezioni scolastiche a settembre.

Ma non tutto questo esperimento andrà perduto, anzi un primo passo avanti è stato fatto. D’accordo col Comune è stato deciso che almeno alcuni dei senzatetto potranno trovare ospitalità nei locali della vecchia caserma dei carabinieri, in via Martiri della Resistenza. Lì ci sono stanze per circa 9 persone. Ne rimarranno fuori alcuni, e per loro si stanno cercando soluzioni alternative.

Nel frattempo ‘La città invisibile’ sta lanciando un progetto inedito per il territorio: una web radio nella quale saranno proprio loro, alcuni dei senzatetto, i protagonisti. L’intento è quello di dare voce a chi non ce l’ha. Come Giuseppe, una sorta di poeta viandante che si definisce ‘volontario della strada’. Lui dello stereotipo del senzatetto ha ben poco, chiunque se ne accorgerebbe: basta avvicinarsi.

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