L'Ospite

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Dai monti al piano: la quarta dimensione migratoria

di Angelo Sanzò, Presidente Comitato Scientifico Legambiente Molise

Quanto determinatosi, in seguito alla migrazione di genti, dai tanti centri abitati delle aree interne del nostro Appennino, a partire in particolare dal secondo dopoguerra, è il risultato di tutta una serie di cause e concause succedutesi nel tempo.

Il fenomeno migratorio italiano prese il via poco dopo la proclamazione dell’unità d’Italia, nell’ultimo quarto del secolo IX, prima verso le Americhe e successivamente, dopo la conclusione della prima guerra mondiale, anche in direzione del mondo nuovissimo dell’Australia. La vicenda proseguì, pressoché senza soste e in maniera consistente, fin verso la metà degli anni cinquanta del secolo scorso.

Tra la fine degli anni cinquanta e per l’intero decennio successivo, del XX secolo, le destinazioni prevalenti dei nostri emigranti cambiarono decisamente. L’emigrazione, pur continuando, come prima e più di prima, cominciò a dirigersi verso località a noi più prossime, quali quelle del nord industrializzato sia europeo che italiano. Non solo ma, in parallelo con tali spostamenti, si andò consolidando un ulteriore trasferimento di popolazioni ovvero quello che dalle piccole realtà delle nostre aree interne si diresse verso i più popolosi centri, tanto nazionali che regionali.

In ultimo, ma non per importanza, in particolare per le conseguenze sociali ed economiche delle popolazioni locali, in pratica su tutto il territorio nazionale, andò realizzandosi un’ulteriore, silente, pressoché impercettibile quarta dimensione migratoria. Prese, cioè,  il via quel lento, inesorabile trasferimento di uomini e cose dai tradizionali, storici insediamenti collinari, verso le contermini aree pianeggianti di fondovalle. Spostamenti diretti, in particolar modo, verso tutte quelle aree destinate a contenere, anche nel nostro Molise, quali ad esempio i Comuni di Venafro e Bojano, le prime forme di nuova industrializzazione.

Nel giro di pochi lustri, molti di quei territori, che saggiamente le tante precedenti generazioni avevano evitato di occupare e farne uso, prima di tutto per l’evidente, palese, risaputa, loro insalubrità, accolsero l’incipiente industrializzazione e/o la nuova agricoltura meccanizzata. Attività, quest’ultima, che poteva permettere, finalmente, ad un ben più ristretto numero di addetti, rispetto a quanti tradizionalmente impiegati, di soddisfare le esigenze alimentari di sempre più larghe fasce di popolazione.

Le nuove scelte insediative palesavano, evidentemente, l’acquisizione dei tanti imprescindibili vantaggi, connessi alle prerogative delle aree pianeggianti, come la facilitazione degli spostamenti o l’agevolazione del disegnare e/o costruire nuovi insediamenti, sia civili che per i pubblici servizi, oltre che per quelli destinati ad alloggiare le nuove produzioni industriali.

Sembrò, senza ombra di dubbio, che la strada imboccata fosse quella del non ritorno, specie se paragonata alle pregresse, disagevoli condizioni, connaturate alle variegate morfologie delle aree collinari di provenienza.

L’homo tecnologicus, con la natura ai suoi ordini, sembrò aver vinto definitivamente la sua battaglia! Semplicemente, ci si era dimenticati e non solo, dell’esistenza della forza di gravità, del vento che muove le masse d’aria, della relativa sua diversa temperatura, umidità e pressione, nel corso degli anni, delle stagioni e nell’arco della giornata. Era altresì sfuggito ai più che ovviamente non è la stessa cosa avere a che fare con un’area pianeggiante e aperta o se al contrario, risulta essa incassata tra più o meno imponenti rilievi.

Eppure, se è vero com’è vero, che le leggi della fisica e della chimica continuavano e continuano tuttora a governare i fenomeni naturali, è ovvio che le famigerate polveri sottili, di cui tanto si parla, per le ben note conseguenze negative, soprattutto per la salute umana, siano esse naturali o prodotte dalle attività antropiche, non possono che tendere, per gravità, a concentrarsi verso il basso, in prossimità del suolo. Non solo, ma è scontato pensare che Il fenomeno si aggravi in presenza di aria stagnante ovvero quando il vento è pressoché inesistente e la pressione atmosferica, cioè il peso da essa esercitato sugli strati sottostanti è superiore alla media.

Risulta, dunque, evidente quanto, in un fondovalle, specie se morfologicamente incuneato tra imponenti, contermini rilievi montuosi, possa essere ostacolato il regolare ricambio delle masse d’aria in esso contenuto. È, cioè, chiaro che In tali situazioni la dissipazione di particolato, di gas dispersi e/o aerosol in sospensione, a diretto contatto con le popolazioni residenti, diventa particolarmente lenta e faticosa.

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