Lo strazio di una famiglia

Operazione alla carotide finisce in tragedia: “È entrata sana, è uscita come un vegetale”. Il figlio disperato prepara la denuncia

Un caso avvenuto alla Fondazione Gemelli Molise quello raccontato, col supporto di documenti clinici, da una famiglia residente in un Comune dell’area frentana. Una donna di 70 anni è stata operata lo scorso 5 giugno: doveva essere un intervento “semplice”, di routine, ma qualcosa è andato storto: la signora non parla, non reagisce, ha perso l’autosufficienza. Ora è ricoverata a Pozzilli, mentre i figli stanno preparando la denuncia in Procura.

Guarita da un tumore, scampata al male oscuro che divora le cellule e subito dopo, come in una crudele beffa, ridotta a uno stato di incoscienza a causa di un intervento chirurgico finito male. E ancora senza spiegazioni. Una donna di 70 anni, residente in un centro dell’area frentana, è ora ricoverata al Neuromed di Pozzilli nella speranza che possa recuperare almeno qualcuna delle funzioni che ha perso durante un intervento che si è protratto per ore, durante il quale qualcosa evidentemente è andato storto. “E’ entrata in sala operatoria che stava bene, è uscita ridotta a un vegetale”. Una sintesi schietta, che cela l’immenso dolore della famiglia. E l’incredulità davanti a una perdita “che è indescrivibile”. Seppure la donna non ha perso la vita sotto i ferri, ha perso la sua stessa identità. “Quando è uscita dalla sala operatoria – racconta la nuora – non era più lei. Non parlava, guardava nel vuoto, non riconosceva nessuno. I medici ci hanno rassicurato, hanno detto che era andato tutto bene e quelli erano banalmente gli effetti dell’anestesia. E invece”.

E invece i giorni sono trascorsi, la donna non è mai tornata vigile. “Si riprenderà, è solo l’effetto dell’anestesia, ci avevano giurato. Falso: non si è mai ripresa. E dire che quando è entrata in sala operatoria stava bene, lucida e niente affatto preoccupata perché credeva, come tutti noi, di sottoporsi a un intervento di routine, sul cui esito positivo era stata ampiamente rassicurata”

Rischi così gravi? “Nessuno ci aveva detto nulla”. Effetti collaterali? “Non ci è stato comunicato alcunché”. Il figlio è sconvolto, non riesce a credere che un intervento di prassi, comune, si sia trasformato in una tragedia di queste dimensioni. Sta preparando un esposto-querela contro i medici della Fondazione che hanno eseguito l’intervento anche “per capire cosa è accaduto davvero, cosa è successo”. Le Tac eseguite dopo l’operazione, a distanza di 48 ore una dall’altra, confermano l’ischemia, la paralisi. “E’ pazzesco, non ci hanno spiegato niente”.

Il problema clinico alla base di tutto si chiama stenosi. E’ una occlusione parziale della carotide che a lungo andare può peggiorare impedendo che l’arteria porti sangue fino al cervello. Quando la placca di colestorolo raggiunge percentuali importanti, come nel caso della paziente molisana in questione, si rischia seriamente un ictus. L’intervento chirurgico, che in gergo si chiama endoarteriectomia carotidea, è stato effettuato in anestesia locale al Gemelli il giorno 5 giugno scorso. “Vivamente consigliato dai medici della clinica” spiega il figlio. E giustamente: è l’unica possibilità, in determinati quadri clinici come quello della mamma, per evitare complicanze irreversibili.

Ma una complicanza è evidentemente scattata durante l’operazione, quando la donna – per ragioni che saranno al vaglio della magistratura – ha subito una ischemia. Se si tratti di una complicanza davanti alla quale i dottori sono stati impotenti o della conseguenza di un errore umano, non si sa. Ma è proprio quello che chiede di sapere il figlio, che sta passando giorni strazianti.

“Mia madre ora si trova al Neuromed di Pozzilli e non reagisce a nessuno stimolo. Le sue condizioni sono gravi, guarda fisso nel vuoto, è incapace di mangiare da sola, non parla, non sente. E in tutto questo io non posso nemmeno vederla, rendermi conto di persona, perché le leggi antiCovid impediscono le visite”.

Almeno fino al 31 luglio è impossibile fare visita ai parenti ricoverati, e la famiglia si deve “accontentare” di quello che i medici dicono. Con l’aggravante che nella cartella clinica ci sono parecchie incongruenze e perfino un errore sulla data dell’intervento.

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