L’inchiesta sul palazzo di londra

L’avvocato del finanziere molisano: “Gianluigi Torzi ha fatto un enorme favore al Vaticano, altro che estorsione. A breve tornerà libero”

Marco Franco chiarisce la posizione di Gianluigi Torzi rispetto alle accuse che gli vengono contestate. Il broker è in arresto in Vaticano da venerdì scorso per lo scandalo dell’immobile di Sloane Avenue. “Chiariremo tutto nelle prossime ore, la vicenda parte da un grosso malinteso perché il mio cliente ha fatto una complessa trattativa per la quale non gli sono state riconosciute le garanzie concordate”. In sostanza Torzi, che si trova detenuto nei locali della Gendarmeria vaticana, sarebbe stato “fregato” dai suoi interlocutori della Segreteria di Stato. La versione della difesa

Gianluigi Torzi è in stato di arresto nei locali della Gendarmeria Vaticana da venerdì scorso, quando si è presentato con i suoi legali per farsi interrogare ed è scattato il mandato di cattura. L’episodio ha fatto clamore: è una delle prime volte che in Vaticano viene arrestata una persona che non risiede in Vaticano. Torzi, nato come broker, nell’ambiente definito “un genio della Finanza”, vive a Londra da qualche anno.  In Molise ci sono le sue radici e una intensa attività di imprenditore che ha lasciato un bel po’ di fallimenti e perfino qualche inchiesta giudiziaria, piccola e irrilevante rispetto al caso dall’eco internazionale in cui è finito coinvolto. Lo scandalo dell’immobile di Londra in Sloane Avenue, la trattativa con la Segreteria vaticana per rilevare il palazzo, vicenda finita su tutti i giornali e le tv nazionali e non solo.

Specializzato in quote societarie e fondi di investimento – sebbene siano settori nei quali non si conseguono lauree all’Università – è un finanziere “con le mani in pasta”, come si dice, in molteplici settori. “Il che non fa di lui un criminale, sia chiaro” precisa il suo difensore di fiducia, che trova il tempo di chiarire qualche aspetto e smentire qualche dichiarazione pubblicata sui giornali prima di tornare dal suo assistito, detenuto (“ma potremo dire ospite, è in un posto molto confortevole”) nei locali della Gendarmeria.

Marco Franco ha uno dei suoi studi legali a 100 metri di distanza e ha modo di vederlo tutti i giorni e lavorare con lui alla preparazione della difesa “grazie anche alla grande disponibilità del Corpo della Gendarmeria”. Marco Franco è un nome noto ai molisani per essere stato l’avvocato di Paolo Di Laura Frattura, ex Governatore del Molise, nel processo di Bari, quello sulla ipotetica cena del ricatto con un magistrato e con il direttore di Telemolise. Cena che in realtà – hanno stabilito i giudici, assolvendo con formula piena gli ex imputati  – non c’è stata.

Ma Marco Franco è anche l’avvocato (da oltre 10 anni) di Gianluigi Torzi, origini di Guardialfiera, trapiantato a Termoli e con interessi commerciali e imprenditoriali in tutta la regione e specialmente a Larino. Qui ha sede la Microspore, fondata nel 2014 dalla famiglia Torzi per produrre sistemi di biotecnologie green per uso agricolo. La società, sulla carta, esiste ancora e Gianluigi Torzi ha un ruolo nel cda, come ha un ruolo in numerosi cda societari.

“E’ titolare di numerose società che detengono fondi di investimento – dichiara l’avvocato Franco, difensore di Torzi insieme con Ambra Giovene -.  E’ un finanziere, questo è il suo lavoro”.

I reati che gli vengono contestati vanno dall’estorsione al peculato, dalla truffa aggravata all’autoriciclaggio. Sono reati per i quali la legge vaticana prevede pene fino a 12 anni di reclusione.

Torzi, che ha fatto da intermediario per l’acquisto dell’immobile londinese per conto del responsabile dell’Ufficio Amministrativo della segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi, avrebbe portato a termine la trattativa con  Mincione, chiusa con 40 milioni di euro a titolo di conguaglio per riportare il palazzo di Sloane Avenue completamente nelle mani della Santa sede.

palazzo Londra vaticano Torzi

Poi, secondo l’accusa, avrebbe cominciato ad avanzare richieste economiche del tutto “ingiustificate e sproporzionate” per trasferire le quote della “Gutt Sa” o comunque della catena di società che detenevano l’immobile di Londra. “Sfruttando le 1000 quote alle quali aveva fraudolentemente attribuito il diritto di voto – è la sintesi degli atti di indagine – tra la fine di aprile e gli inizi di maggio 2019, alla fine di una estenuante trattativa ha accettato di cedere le quote della società detentrice dell’immobile di Londra, a fronte del pagamento di 15 milioni di euro. Denaro effettivamente corrisposto senza alcuna giustificazione economica e giuridica”.

Secondo la magistratura vaticana, Torzi, in concorso con altri indagati dell’inchiesta, comunicando il proprio intendimento di non cedere alla Segreteria di Stato la catena di società detentrici dell’immobile di Londra “incuteva timore di gravi danni al patrimonio della Segreteria di Stato e la costringeva a una lunga trattativa da parte di vari emissari”. Trattativa terminata con il pagamento di altri 15 milioni di euro.

Ma l’avvocato Marco Franco smentisce: “Le cose non sono affatto andate in questo modo e possiamo dimostrarlo, carte e documenti alla mano. Stiamo lavorando alacremente per produrre atti e memorie che, ne sono certo, varranno la scarcerazione al mio cliente perché questa parte dell’inchiesta si fonda su un grosso equivoco”.

Dopo il lungo interrogatorio di venerdì la difesa ritiene di aver compreso finalmente “quali sono gli elementi a carico nostro, e che in parte sono falsi e comunque hanno tratto in errore, e in parte sono dati oggettivi male interpretati”.

La versione della difesa è sostanzialmente diversa dalle accuse, anche se gli episodi oggetto di indagine rimangono gli stessi. “Torzi è intervenuto per portare avanti la trattativa con Mincione, che controllava il fondo del palazzo londinese e aveva proceduto con operazioni non condivise dalla Segreteria vaticana che intendeva uscire dal fondo ma mantenere l’immobile. La trattativa è andata a buon fine e Torzi ha consentito al Vaticano di riconvertire l’investimento finanziario, che era in perdita, con l’investimento immobiliare. Naturalmente è stata versata una quota a titolo di conguaglio, i famosi 40 milioni di euro, ovvero la differenza calcolata da periti immobiliari rispetto alla somma versata, al patrimonio finanziario e alle perdite, nell’ordine di 18 milioni annui”.

Torzi gianluigi

Stringendo all’osso: a Mincione sarebbe stato lasciato il fondo finanziario e al Vaticano sarebbe andato l’intero immobile londinese, del valore di 275 milioni di sterline. Una trattativa complessa: Mincione voleva almeno 50 milioni, la Segreteria non voleva versare più di 20 milioni. “Torzi li ha messi d’accordo per 40 milioni, questi sono i fatti” commenta l’avvocato.

Quello che è successo dopo, e che ha messo Gianluigi Torzi nei guai, per la difesa non c’entra nulla con l’estorsione “e possiamo provarlo, ci sono atti e documenti”. E cioè: il finanziere, in cambio della consulenza e dell’intermediazione fornita, avrebbe chiesto non denaro ma l’impegno a gestire l’immobile di Sloane Avenue per 5 anni. Un immobile che frutta almeno 5 milioni di euro annui. “Ma quell’accordo – prosegue Marco Franco – che era stato formalizzato in un documento in nostro possesso, non è stato mantenuto”.

Nella ricostruzione di massima dell’inchiesta succede questo: viene dunque sottoscritto un contratto quadro con il quale si provvede all’acquisto da parte di “Gutt Sa” di Torzi dell’intera catena societaria proprietaria dell’immobile londinese; si pagano al fondo di Mincione 40 milioni come conguaglio e si cedono al fondo tutte le quote detenute dalla Segreteria di Stato. In seguito viene sottoscritto un secondo contratto con il quale la Segreteria di Stato acquista da Torzi 30mila azioni della “Gutt Sa” al valore simbolico di un euro. Vengono effettuati i pagamenti previsti. Ma poi  Torzi avrebbe modificato il capitale della società “Gutt Sa” introducendo accanto alle 30mila azioni senza diritto di voto, le 1000 azioni con diritto di voto, che non facevano parte dell’impegno di cessione. Questo per avere il pieno controllo sull’immobile.

Dal palazzo di Londra al presunto ricatto a Papa Francesco: l’indagine su Torzi si allarga

“In realtà – dice ancora la sua difesa – c’è stata inadempienza da parte degli interlocutori della Segreteria di Stato (Tirabassi e Crasso) che non hanno firmato l’impegno assunto verbalmente (“e provato da un atto già redatto, da messaggi vari”) con Torzi. Non hanno tenuto fede all’impegno preso e non gli hanno conferito il mandato di gestione dell’immobile, come invece concordato come corrispettivo per l’intermediazione svolta”.

E le accuse a Torzi da parte del cardinal Perlasca, indagato anche lui? L’alto prelato oggi in una intervista su Il Giornale ha dichiarato, a proposito della richiesta di Torzi di 20 milioni di euro per restituire alla Santa Sede mille quote della società con diritto di voto, questo: “Appena si palesò la richiesta del Sig. Torzi dissi chiaramente che bisognava denunciarlo, in quanto avanzava pretese del tutto ingiustificate e di evidente indole ricattatoria. Purtroppo fui l’unico a sostenere questa tesi, mentre si preferì scendere a trattative con la controparte. Non è che io escludessi la trattativa, ma la contemplavo solo dopo aver sporto denuncia per truffa e chiesto il sequestro conservativo del bene”.

Menzogne e ricostruzioni imparziali, secondo i difensori, che scommettono di riuscire a dimostrare l’estraneità del loro cliente rispetto alle accuse di estorsione e truffa.

“Il provvedimento a carico del mio cliente – sintetizza Marco Franco – è il frutto di un grosso malinteso determinato da dichiarazioni interessate che possono aver fuorviato una corretta interpretazione della vicenda da parte degli inquirenti. Non v’è dubbio che Gianluigi Torzi ha consentito alla Segreteria di Stato vaticana di recuperare un prestigioso immobile londinese il cui ingente valore rischiava di essere disperso e successivamente ha evitato che lo stesso potesse prendere vie poco chiare. Torzi non ha mai avuto intenzione di agire contro gli interessi della Santa Sede e sin dall’inizio ha manifestato costante disponibilità verso gli inquirenti per la ricostruzione dei fatti producendo decine di documenti, memorie e, infine con un interrogatorio durato ben 8 ore, per eseguire il quale è venuto a Roma appositamente dall’estero. Sono certo – la conclusione – che la sua posizione sarà presto chiarita e che potrà tornare in libertà”.                                                                                           (mv)

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