Covid ed economia

Sandro, da 15 anni nel turismo internazionale: “Noi più abituati di altri alle crisi. Sbagliato pensare di conviverci”

Sandro D'Onofrio, quarantenne termolese che lavora da circa 3 lustri nel settore del Turismo internazionale, propone il suo punto di vista - a tratti controcorrente - rispetto alla crisi economica legata alla pandemia e a come affrontarla per ripartire al meglio

sandro d'onofrio

Ci sono settori per cui la crisi economica legata alla pandemia è iniziata prima di altri e non passerà nel giro di poco. È il caso del turismo internazionale e a parlarne a Primonumero è Sandro D’Onofrio, 40enne termolese e da 15 anni nel campo. In particolare lui si occupa del turismo con gli Stati Uniti e lavora come libero professionista per un tour operator che organizza viaggi di americani in Italia.

Sandro è ben consapevole delle immani conseguenze che questa epidemia mondiale avrà ma, proprio in virtù della sua esperienza in quello che è un settore naturalmente ‘avvezzo’ a variabili impazzite, ci tiene a veicolare un messaggio. “Il nostro settore forse può essere d’aiuto agli altri per capire ed affrontare questa situazione. E questo perché noi, rispetto agli altri, siamo molto più abituati a circostanze simili, almeno dal punto di vista psicologico. Il settore del turismo internazionale è molto delicato, e quello che oggi succede per via del virus a noi è successo altre volte, magari per cose meno gravi, ma gli effetti sono stati gli stessi”.

Qualche esempio? Ce ne sono a bizzeffe ma basti pensare alle Torri Gemelle, “allora rimanemmo fermi per due anni”, così come ai tanti altri attentati, oppure all’eruzione del vulcano in Islanda che paralizzò i cieli d’Europa per mesi. E ancora, “l’anno scorso accusammo il colpo anche a causa delle dichiarazioni del nostro Ministro dell’Interno (Salvini, ndr) che raccontava l’Italia come se fosse invasa dagli stranieri”.

Insomma, di stop forzati e imprevisti il turismo ne ha sempre vissuti tanti. “Per questo dico che noi ci siamo abituati. Sappiamo bene che l’economia si può fermare, ma la buona notizia è che poi riparte”.

Sandro – volto noto a Termoli anche perché, tra le altre cose, ha fondato la libreria Fahrenheit nonché per il suo attivismo politico – cerca di infondere coraggio ai suoi concittadini. “Il messaggio che il mio settore può mandare ad altri settori, ad esempio al commercio, è che si può sopravvivere a queste cose, non bisogna disperare. Tutto quello che noi abbiamo – la nostra attività, il nostro lavoro – lo abbiamo costruito noi e come l’abbiamo costruito una volta lo possiamo ricostruire o far ripartire, magari meglio”.

Molti paragonano gli effetti della pandemia ad una guerra. Sandro ha un’altra idea: “Secondo me assomiglia molto di più ad uno tsunami: è come una marea che sale lentamente, non puoi fare nulla per arrestarla, prima o poi passerà e naturalmente quando passerà lascerà dietro molte macerie. L’illusione che vedo intorno a me è credere che quando si sarà ritirata questa marea tutto sarà come prima. Io capisco umanamente i gestori di bar e locali, ma l’ansia di riaprire una settimana prima o dopo la trovo fuori luogo. Aprire 7 giorni prima in una situazione come questa non cambia assolutamente nulla,anzi”. Come a dire: tu esercente puoi anche riaprire, ma se non hai i clienti, non girano soldi e c’è una crisi che coinvolge il mondo intero, che senso ha?

Lungi dall’essere provocatorio o dal voler sottostimare le difficoltà economiche di intere categorie, il termolese – che da febbraio ha perso tutto il suo reddito da lavoro e che non conta di ricominciare prima di un anno “se tutto va bene” – lo afferma senza giri di parole: “Per me è illudersi anche pensare che ci sia qualcosa che il Governo possa fare. O meglio, va benissimo fare di tutto per limitare i danni, anzi è doveroso, ma la prima cosa è mettere al sicuro le persone. Certo, poi devi fare tutto ciò che è possibile anche per non far chiudere le attività, ma la cosa veramente importante è non lasciare sole le persone. Quando sarà passato tutto questo – e qui ricorda l’alluvione di qualche anno fa in Basso Molise – un sacco di roba andrà distrutta e ci sarà qualcuno che dovrà chiudere, è inevitabile. Ma un modo per ammortizzare quello che accadrà sarà anche ricostruire, magari ricostruire un po’ meglio. Se un barista deve chiudere purtroppo non è colpa di nessuno. L’importante è che quella persona non resti senza mangiare”.

Sandro insiste sul punto della ‘colpa’ e fa un parallelismo con i terremoti. “La crisi economica in queste situazioni è mondiale, non c’è nulla che si possa fare per fermarla, si può solo provare ad attenuarla. È un po’ come un terremoto: prendersela con chi ti dice ‘se fa il terremoto esci dalla tua abitazione e aspetta fuori casa’ è assurdo. Il discorso non può essere rientriamo dentro casa il prima possibile. Ignorare la crisi e riaprire tutto il prima possibile è un po’ la stessa cosa, ma non è la soluzione”.

Chiaro che molti settori bene hanno fatto a rimettersi in moto. “Dove ci sono le condizioni per lavorare in sicurezza è bene che si lavori. Io parlo di pochi settori: oltre al mio c’è quello che ha a che fare con l’intrattenimento”. E qui Sandro non ha dubbi: “L’errore grave per me è aver riaperto ad esempio i bar, lì viene per forza a mancare la sicurezza: nessuno si mette in fila mezz’ora per fare un aperitivo a distanza o da solo. Ora sindaci e governatori si allarmano per gli assembramenti davanti ai bar ma è una ipocrisia. Sono attività, quelle, che vanno sostenute esattamente come stanno sostenendo il nostro settore, e pazienza se non possono riaprire. Il settore del turismo internazionale nell’economia vale il 12% del Pil italiano, suppongo più dei bar. Tutti noi dobbiamo resistere e andare avanti con l’aiuto dello Stato, non c’è alternativa”.

Il messaggio che Sandro vuole mandare è che “noi non ci dobbiamo affrettare a superare la crisi, piuttosto dobbiamo prepararci alla ripartenza”. Come? Sandro ci spiega che loro in questa fase-limbo stanno curando i clienti, si mantengono in contatto con loro facendo tutto il possibile affinchè non perdano nulla di quanto prenotato. Obiettivo: ripartire al meglio, “ma la ripartenza dipende da noi e da quello che facciamo ora”.

In questi giorni anche qui in Molise il virus sta scemando sempre più, però Sandro ci va cauto: “Noi dobbiamo fare i conti col fatto che tornerà appena riapriranno i confini, nazionali e regionali”. E il 3 giugno, ormai, è arrivato.

Per Sandro il nostro Paese dovrebbe avere un po’ più coraggio e porsi un obiettivo più ambizioso, come se lo sono posti altre Nazioni. “E invece quello che percepisco nelle persone è che non vedono l’ora di tornare a far finta di niente ma così facendo noi inizieremo – temo – una lunga agonia in cui rischiamo di aprire e richiudere, che poi dal punto di vista economico è la cosa peggiore”. Sandro stigmatizza dunque la fretta di riaprire tutto indiscriminatamente, pena il ‘ricaderci’. “Un esempio in tal senso è la Francia, dove a un certo punto hanno riaperto le scuole. Da padre capisco benissimo le esigenze di bambini e famiglie, ma il risultato lì è stato che dopo una settimana le scuole hanno dovuto richiudere per nuovi focolai. Il virus non guarda in faccia a queste cose”.

E allora come comportarsi? “Noi dovremmo avere il coraggio e l’orgoglio di sfidarlo e batterlo, non già pensare di conviverci. E tutto sommato non è così difficile, ci vuole pazienza e bisogna tenere duro, certo. Nella peggiore delle ipotesi farà ancora morti e macerie economiche, ma passerà. È sbagliato credere di poterci adattare al fine di conviverci, molte fette della nostra economia non sono affatto adattabili a questa situazione.

Da professionista che ha perso il suo lavoro – sin da febbraio quando hanno chiuso le frontiere – io vorrei dire che l’obiettivo non può essere ‘convivere’ con questa situazione: convivere equivale ad una lenta agonia, l’economia così non può ripartire. L’obiettivo dovrebbe essere invece superare l’emergenza.  L’assurdo è che in realtà l’abbiamo visto: in due mesi abbiamo quasi azzerato i casi: non è poi così difficile fermare questo virus. Con questo non voglio dire che bisogna stare rinchiusi dentro casa (questo è servito nel primo momento). Ma dobbiamo rinunciare ancora per un po’ a divertirci insieme, perché quello non si può fare in sicurezza”.

Il consiglio  – per quei settori martoriati e che pur riaprendo non avranno abbastanza guadagno – è quello di far propria la visione che chi lavora nel turismo ha già: “Quando capitano queste cose ti fermi, riduci le spese, ti prepari per ripartire”.

Aspettare che passi, dunque, perché la fretta non può che essere controproducente. “Meglio stare fermi un po’ di più che aprire e rischiare poco dopo di dover richiudere, forse definitivamente”. C’è chi però sta pensando anche ad una forma di turismo in convivenza col virus. “Per me è impossibile”. E fermarsi, per quei pochi settori che non possono garantire la sicurezza e la non diffusione del contagio, è per Sandro anche una forma di responsabilità verso la collettività.

“Sono necessarie solidarietà e cooperazione. Le persone devono collaborare per un obiettivo che riguarda tutti, che è e deve essere quello di eradicare il virus. E anche chi oggi può lavorare non se ne deve tirare fuori perché questa crisi la paghiamo tutti”.

Sappiamo tutti che il lavoro non ha un mero – ancorchè essenziale – valore economico. “Io capisco le persone che dicono ‘io come faccio?’ ma a queste rispondo ‘fai come faccio io, ci appoggiamo all’aiuto dello Stato finchè servirà e poi ci riaccorceremo le maniche e ripartiremo, quando sarà arrivato il momento giusto’”.

Non è rassegnazione quella di Sandro, tutt’altro. È coraggio e senso di responsabilità: “Solo così possiamo sconfiggere l’avversario in tempi più rapidi”. Un po’ come quel proverbio cinese: «Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico». Sandro, dalla sua barca a vela, lo sta facendo.

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