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Politica monetaria Ue, Recovery Fund, Mes: la crisi economica da Covid spiegata da 3 giovani economisti

Chiara Iasenzaniro, Giusi Di Lalla e Vittorio Socci, 3 giovani molisani esperti del settore, affrontano la crisi socio-economica da Covid19 in Europa e in Italia da una prospettiva inedita. Altro che luoghi comuni pescati su social: nelle loro risposte c’è competenza, conoscenza di una materia ostica ai più, e la concretezza delle soluzioni possibili. “Dobbiamo essere uniti, o non ce la faremo”.

IL MECCANISMO EUROPEO DI STABILITA’ SPIEGATO PUNTO PER PUNTO

Chiara Iasenzaniro, 23 anni di Termoli. Laureata a Milano in Economia e Finanza, ha proseguito gli studi specializzandosi in Finanza dei Mercati presso una Grande École Parigina. A breve si trasferirà a Londra per lavorare in una banca d’investimento.

Chiara Iasenzaniro

Cosa sta accadendo in Italia e in Europa?

Molti economisti ritengono che lo shock generato dal coronavirus avrà nei prossimi mesi impatti più importanti della crisi del 2008. Ci si aspetta per l’Italia una diminuzione del PIL nel 2020 del 9,5%, mentre nell’Eurogruppo in media la caduta è attesa del 8%. Inoltre, il rapporto Debito/PIL del nostro paese è previsto in aumento dell’11% nel 2020 e del 5,75% nel 2021, il che porterà ad un incremento dal 135% di fine 2019 al 154% nel 2021.

La maggior parte dei Paesi dell’Eurozona ha quindi bisogno di un aiuto massiccio all’economia. Gli interventi dovranno essere tempestivi: si stima che entro la fine dell’anno solo in Italia saranno 270,000 le imprese a rischio di chiusura, e attendere potrebbe risultare dannoso per il nostro sistema economico. Questi aiuti dovranno essere di tipo congiunturale e non strutturale, quindi temporanei, e succesivamente i Paesi dovranno ricominciare a camminare sulle proprie gambe. Anche il nostro Belpaese.

Quali sono le soluzioni disponibili?

Nel corso degli ultimi mesi sono state avanzate diverse proposte sul come fronteggiare al meglio l’imminente, e ormai attuale, crisi socio-economica post Coronavirus. Il primo fronte di aiuti sostanziali, avviato lo scorso aprile, consiste nell’acquisto massiccio di titoli di debito da parte della Banca Centrale Europea (BCE) per un totale annunciato di €1.350 miliardi. Questo programma è chiamato Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP).  Circa un mese fa abbiamo poi assistito ad un accordo tra Francia e Germania per la costituzione di un Recovery Fund, un fondo di circa €750 miliardi da finanziare tramite l’emissione di bond comuni, garantiti dal bilancio dell’Unione Europea e ripagati a scadenza dalla Commissione Europea. Si è sentito infine parlare del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, inteso come aiuto precauzionale che ha come aspetto favorevole la velocità di erogazione dei finanziamenti agli Stati membri che ne fanno richiesta e che può erogare mensilmente fino al 15% del prestito totale concesso.

Cos’è il MES?

Il MES è stato istituito nel 2011 (la versione ufficiale è quella del 2012 firmata da 17 Paesi dell’Eurozona) in sostituzione del Fondo Europeo di Stabilità. Chiamato anche “Fondo Salva Stati”, poiché nato in risposta alle crisi che hanno colpito l’Eurogruppo dal 2008, consiste in un’organizzazione internazionale governativa a cui l’Italia ne partecipa per il 17% circa, a seguito di Germania e Francia. Lo scopo del MES è di mobilitare fondi e supportare economicamente gli Stati minacciati da severi problemi finanziari. Il fondo ha un capitale autorizzato di €800 miliardi, di cui €80 miliardi sono stati già utilizzati. Inoltre, la capacità di prestiti è attualmente di €410 miliardi, circa il 3,4% del PIL dell’Eurozona.

In che modo il MES aiuta gli Stati membri?

Il MES agisce attraverso:

  • prestiti per aggiustamenti macroeconomici (aiuti a Stati che non hanno più accesso diretto al mercato dei capitali);
  • acquisito di titoli sul mercato primario e secondario;
  • linee di credito precauzionali (assistenza finanziaria messa a disposizione di un Paese prima che questo si trovi in difficoltà);
  • prestiti per ricapitalizzazione indiretta del sistema bancario e per ricapitalizzazione diretta delle istituzioni finanziare.

In caso di necessità di finanziamento, la Commissione Europea valuta lo stato di salute del Paese in questione e decide se approvare o meno la sua richiesta: i programmi del MES sono attivabili solo se il debito del Paese richiedente è sostenibile. Queste sono le rigide condizionalità imposte dal fondo. Nel caso in cui un Paese non sia in grado di sostenere il proprio debito, la BCE può mettere in atto le Outright Monetary Transactions (OTM), strumento attraverso il quale essa stessa acquista titoli di debito pubblico sul mercato secondario. La Banca Centrale offre uno “scudo anti spread” al Paese in questione, lasciando aperto l’accesso ai mercati anche in caso di turbolenze finanziarie.

Che rapporto c’è tra il MES e COVID-19?

A seguito del coronavirus, il MES ha proposto agli Stati membri una linea di credito (Pandemic Crisis Support) con finanziamenti pari ad un massimo del 2% del PIL – un equivalente di €36 miliardi per l’Italia. Il prestito si attiverà nel momento in cui il fondo messo a disposizione verrà utilizzato. La durata del finanziamento potrebbe variare dai 7 ai 10 anni, con tassi di interesse di poco superiori allo 0%, e addirittura ipotizzati negativi per la scadenza a 7 anni. Si stima inoltre un risparmio di interessi sul debito di €6 miliardi circa: questo è possibile perché il MES può attingere dal mercato a tassi di interesse molto più di convenienti di quanto possa fare il singolo paese, ed in particolare l’Italia.

La proposta iniziale degli Stati membri – in particolare d’Italia, Francia e Spagna – era quella di erogare prestiti senza condizionalità: evitare che a livello europeo ci siano stringenti controlli sull’utilizzo dei fondi e sul metodo di tassazione dei singoli Paesi. Questo “nuovo” MES viene definito light poiché per poter attingere alle risorse, bisogna destinare queste maggiormente per le spese sanitarie – dirette e indirette. In realtà, le condizionalità sono intrinseche al Meccanismo stesso e servono ad evitare possibili insolvibilità del debito sovrano. La richiesta è di allentare allora i controlli, garantendo però trasparenza nell’utilizzo delle risorse da parte degli Stati richiedenti. E in caso, riattivare le condizionalità stringenti quando la crisi sarà in parte superata.

Citando il Professor Carlo Cottarelli: “C’è il rischio che passata l’emergenza arrivi la troika. Questo rischio esisterebbe anche senza MES. Se l’Italia, dopo l’emergenza coronavirus, schiacciata da bassa crescita e deficit e debito fuori controllo perdesse accesso al mercato, sarebbe comunque costretta a fare ricorso al MES e allo scudo protettivo della BCE. E cioè il rischio che l’Italia debba o possa essere commissariata in un futuro non distante esiste, che si attivi o meno il MES nel 2020”. Quindi, €36 miliardi di finanziamento in più, se ben spesi, non potranno di certo nuocere ulteriormente alla nostra economia.

LA POLITICA MONETARIA DELL’UE

Giusi Di Lalla , 30 anni, è avvocato. Dopo la laurea ed un tirocinio in magistratura, ha lavorato presso le Istituzioni europee a Bruxelles. Rientrata in Italia ha conseguito il titolo di avvocato ed un master per l’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche. Vive in Molise dove svolge la sua professione.

Giusy Di Lalla Neural Network

 Giusi, come nasce la politica monetaria comune europea?

“Beh, innanzitutto va detto che l’idea di un’Europa unita sorge all’indomani della seconda guerra mondiale il cui contesto economico e politico, gravemente compromesso, aveva bisogno di una spinta verso la ricostruzione e il riassetto di un nuovo ordine.  Dunque, prima di tramutarsi in una “Unione” di diritti e libertà, il sogno europeo, decantato nella dichiarazione di Robert Schuman (cui oggi è intitolata la sede della Commissione Europea) del 9 maggio 1950 , prende vita con il “Trattato istitutivo della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio “ (CECA). I Paesi aderenti all’epoca erano solo Italia, Francia, Belgio, Germania, Paesi Bassi e Lussemburgo. Visto il successo in campo economico, nel 1957 furono firmati a Roma i Trattati istitutivi della “Comunità economica europea” (CEE) e della “Comunità europea per l’energia atomica” (EURATOM).  Si  fece, così, sempre più forte la necessità di creare un’alleanza occidentale vicina agli Stati Uniti capace di contrapporsi al blocco sovietico e soprattutto in grado di porsi sul mercato quale degna concorrente dei colossi USA, Cina, Giapone e Russia. Da qui l’ascesa verso il Trattato di Lisbona del 2009 e l’Europa 28 (oggi 27 a causa della Brexit), che ha ridisegnato i Trattati istitutivi  e fortificato le politiche europee comuni come qualla economica e monetaria (disciplinate nella parte III, Titolo VII, del TFUE) .

Cosa intendiamo quando parliamo di politica monetaria e politica economica?

“Entrambe rappresentano due strumenti fondamentali per la realizzazione degli obiettivi generali dell’Unione Europea attraverso l’adozione del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza.  Tuttavia tra le due vi è una profonda differenza. La politica monetaria, che comprende una moneta unica, l’euro, nonché la conduzione  di una politica del cambio unica, ha quale obiettivo principale la stabilità dei prezzi e costituisce per gli Stati membri che hanno adottato l’euro un settore pienamente “comunitarizzato”, stante la competenza esclusiva riconosciuta in materia all’Unione europea e affidata alla BCE (Banca Centrale Europea) oltre che ad altri organi.

La politica economica, invece, è governata dagli Stati membri che sono tenuti al coordinamento delle loro scelte in base agli indirizzi di massima dettati dal Consiglio. Ciò vuol dire che anche dopo Lisbona si è scelto di mantenere l’asimmetria esistente tra una politica di bilancio “nazionale” e una politica monetaria “europea”. E’ semplice dedurre quali siano le conseguenze pratiche di siffatta impostazione, come ad esempio la mancata condivisione di un debito pubblico europeo comune”.

L’Europa ha delle responsabilità  nei confronti delle politiche economiche degli Stati membri?

“Potremmo dire che in realtà è un po’ il contrario. Mi spiego. Sono gli Stati membri a dover garantire il cd. “equilibrio dei bilanci” per non incorrere in procedure di infrazione e sanzioni da parte del Consiglio. Le Istituzioni dell’Unione hanno infatti un dovere e potere di controllo sui bilanci pubblici degli Stati membri al fine di evitare disavanzi pubblici eccessivi. In questo periodo particolare di emergenza dovuto alla pandemia da Covid-19, è stata attivata per la prima volta la clausola di salvaguardia che permette la sospensione del Patto di stabilità . Questo consentirà ai Governi di “pompare nel sistema denaro finché serve” (queste le parole della presidente Commisione Ue Ursula von der Leyen). Poi sicuramente ai rigidi paletti imposti dall’Unione agli stati membri corrisponde (o almeno dovrebbe corrispondere) un altrettanto impegno da parte della prima a sostenere le politiche nazionali attraverso l’istituzione di strumenti finanziari volti a scongiurare crisi economiche tanto gravi da determinare il fallimento degli Stati, nonché a minare l’esistenza stessa dell’Unione europea. A tal uopo diversi sono stati gli strumenti finanziari messi in campo dall’Ue, nonché proposti dai Capi di governo degli Stati membri”.


IL RECOVERY FUND

Vittorio Socci, 26 anni, nato a Termoli. Laureato in Economia e Direzione delle Imprese nel 2018 presso l’Università LUISS Guido Carli, vive a Roma dove lavora in un’impresa leader nel settore delle “utilities”.

Vittorio Socci

Vittorio, che cos’ è il Recovery Fund?

“Per rispondere alla crisi economico-sanitaria generata dal Covid 19, il 28 maggio la Commissione Europea ha presentato il Recovery Fund. Questa proposta comporterebbe l’introduzione di un programma di sostegno all’economia degli Stati Membri dell’Unione Europea, denominato Next Generation EU, per un totale di 750 miliardi di euro. Per il finanziamento del Next Generation EU, è stata prevista l’emissione di obbligazioni da parte della UE sui mercati finanziari. Esistono già degli studi sull’Unione Europea svolti dalle cosiddette “agenzie di rating”, società che attribuiscono un giudizio o una valutazione su giudizio riguardante la solidità e la solvibilità di una società che emette titoli. Ad esempio, Fitch e Moody’s attribuiscono all’Unione Europea la tripla AAA (massima solidità). Per far risultare appetibili sul mercato finanziario queste obbligazioni viene utilizzato il bilancio Ue a garanzia dell’emissione”.

Com’è oggi il bilancio dell’Unione Europea?

“E’ piuttosto esiguo: è indicativamente pari a circa l‘1% del PIL europeo e non può essere sufficiente rispetto a una emissione di bond di questa portata. E’ molto probabile quindi che tale bilancio possa aumentare significativamente nel periodo 2021-2027 attraverso risorse proprie. Le nuove risorse proprie potrebbero includere la ‘plastic tax’, la tassazione dei giganti del Web, la riforma (ed estensione ad altri settori) dello European Trading Scheme (il meccanismo di allocazione, a pagamento, dei permessi di inquinamento per le grandi aziende) e una Carbon Tax sulle importazioni ad alto contenuto di gas serra”.

Come sono ripartiti i 750 miliardi del Recovery Fund?

“Il piano Next Generation EU comprende diverse tipologie di supporto: 433,2 miliardi di euro a fondo perduto per finanziare gli investimenti pubblici, o gestiti centralmente dalla Commissione o gestiti direttamente dagli Stati Membri; prestiti per un totale 250 miliardi di euro per finanziare investimenti pubblici provenienti esclusivamente dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e per finire garanzie per un totale di 66,8 miliardi (Sostegno alla Solvibilità, INVEST-EU, nuovo dispositivo per gli investimenti strategici della BEI e garanzie per progetti extra-UE). In merito a quanto verrà dato a ciascun paese membro, la Commissione prevede un meccanismo di allocazione (‘allocation key’) commisurata al reddito pro capite e alla severità degli effetti della crisi, riconoscendo che la crisi ha colpito molto di più i paesi del sud dell’UE”.

E l’Italia?

“Secondo l’elaborazione dell’Osservatorio CPI sui dati Commissione Europea, l’Italia sarebbe il primo Paese membro in termini di risorse allocate: circa 81 miliardi di euro di contributi a fondo perduto e circa 91 miliardi di prestiti. E’ doveroso ricordare che il 28 aprile Fitch ha declassato il rating dell’Italia da BBB a BBB-, un gradino sopra al di sopra del limite che separa dal mondo dei “junk” bond (titoli spazzatura). In assenza del fondo, l’Italia dovrebbe quindi reperire sui mercati ingenti risorse finanziarie che andrebbero ad incrementare il proprio debito pubblico pagando interessi molto alti. Non ce lo possiamo permettere”. 

Con il Recovery Fund i potrà parlare di “federazione europea”?

“Ad oggi, l’accordo per il Recovery Fund è ancora lontano. I quattro Paesi definiti “frugali”, che contribuirebbero in maniera netta al finanziamento del “Next Generation EU” con il 3,5 per cento del Pil (Austria), il 3,9 (Danimarca), il 3,8 (Olanda) e il 3,5 (Svezia), mostrano una forte opposizione. Le loro perplessità riguardano l’ammontare complessivo del Fondo (ritenuto eccessivo) e le modalità di erogazione (soprattutto la parte riguardante i contributi a fondo perduto). Dato che per l’approvazione è necessaria l’unanimità, c’è un serio rischio che i negoziati andranno avanti per molto tempo”.

Un’eventuale approvazione di questa proposta potrebbe cambiare il destino dell’Unione Europea?

“Secondo molti esperti creare un fondo per il rilancio europeo finanziato con emissioni di debito comune potrebbe rappresentare un punto di svolta nella storia europea. E’ la prima volta che si decide di mettere sul mercato ingenti quantità di debito garantito non da singoli stati ma dall’Unione nel suo complesso ed è la prima volta che si comincia a pensare di poter finanziare parte di un’operazione così importante con tasse europee. Alcuni esperti parlano “Hamiltonian Moment”, cioè “momento hamiltoniano”, dal nome di Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti che nel 1790 riuscì a trasformare il debito che le 13 Colonie avevano accumulato nella lotta per l’indipendenza dal Regno Unito in debito pubblico del nuovo stato federale, mettendo così le basi per la nascita dei moderni Stati Uniti”

E in futuro srà possibile parlare in futuro di “Federazione Europea”?

“Siamo riusciti a capire finalmente che oltre all’unione monetaria servirebbe un’unione fiscale per evitare futili competizioni tra gli Stati Membri dell’Unione Europea? Dobbiamo essere uniti, per davvero!”

Che succede se i ragazzi si mettono a pensare? Questo non è un social network, è un Neural Network. “Non ci interessano i like ma il cervello”

 

 

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