Campobasso

Costretti a vendere case, subire botte e minacce per comprare la cocaina al figlio, arrestato e trasferito in comunità

La squadra mobile ha trasferito in una comunità di recupero - su disposizione del procuratore D’Angelo e del Riesame - un giovane di 30 anni che costringeva il padre a comprargli la droga anche durante il lockdown. Ora è ai domiciliari nella struttura di recupero

Trent’anni, studente all’università, un bravo ragazzo finché nella sua vita non è entrata la cocaina. Una famiglia per bene, piombata nell’inferno, con un giovane figlio deviato e trasformato dall’uso di sostanze stupefacenti. Tanto da indurre i genitori a denunciarlo per le violenze, le minacce e le estorsioni a cui ormai li sottoponeva da tempo.

E la squadra mobile ha eseguito la misura cautelare trasferendolo agli arresti domiciliari in comunità terapeutica. Deve rispondere di maltrattamenti in famiglia ed estorsione.

Un drammatico spaccato familiare osservato e analizzato dagli uomini di Iasi. L’indagato costringeva il padre ad accompagnarlo a comprare lo stupefacente, anche più volte al giorno e nonostante le restrizioni alla circolazione dovute all’emergenza sanitaria. Alla madre chiedeva invece continuamente soldi, con insistenza e minacce.

Il rifiuto di concedergli denaro o di accompagnarlo a comprare lo stupefacente significava subire botte e violenza. Per lui i genitori erano un bancomat. Rappresentavano la sola risorsa per comprare cocaina. Tanto da essere costretti a vendere pure gli immobili di proprietà per placare la violenza del figlio indotta dall’uso di cocaina.

All’esito delle indagini la Procura ha chiesto al gip Veronica D’Agnone l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere che però il magistrato ha rigettato. D’Angelo davanti al rifiuto è ricorso al Riesame che, ha condiviso le argomentazioni fornite dalla Procura, disponendo i domiciliari in una  comunità di recupero.

“La vicenda – si legge in una nota a firma del capo della procura Nicola D’Angelo –  ripropone, in tutta la sua drammaticità, il vissuto di tante famiglie con tossicodipendenti i quali, a causa dell’uso delle sostanze stupefacenti, diventano pericolosi per sé e per gli altri rendendo insostenibile la convivenza al punto che la prospettiva del carcere, per un figlio, diventa preferibile alla prosecuzione di una vita fatta di paure, di sofferenze e di emarginazione. L’applicazione della misura cautelare in comunità di recupero rende auspicabile che l’indagato, con il tempo, troni ad essere non più in balia della dipendenza; che la sua famiglia possa riacquistare parte della serenità perduta e che tutto questo possa – unitamente a centinaia di casi analoghi – contribuire a ridurre il consumo di stupefacenti sulla piazza locale, prima causa del moltiplicarsi dei fenomeni criminosi e dell’interessamento della criminalità di tipo mafioso per questo territorio”.

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