Caporalato nel mirino

Caporalato nei campi di pomodoro, indagata la banda di sfruttatori: ci sono due imprenditori termolesi

Sette persone sono state inquisite dagli uomini della polizia su delega della Procura di Larino: arruolavano braccianti agricoli perlopiù migranti che sfruttavano sistematicamente “approfittando del loro stato di bisogno”. Chiuse le indagini, ora rischiano il rinvio a giudizio

Ennesimo caso di caporalato in Basso Molise. Braccianti agricoli di origini extracomunitarie che sono stati “duramente sfruttati” da imprenditori locali e caporali che “con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso” – scrive l’autorità giudiziaria frentana – li utilizzavano, approfittandone, per i lavori agricoli nel territorio del comune di Campomarino.

La Procura di Larino ha iscritto nel registro degli indagati sette persone: due sono di Termoli e hanno 40 e 45 anni. Gli altri sono pugliesi e paradossalmente anche campani. Aspetto nuovo nel fenomeno del caporalato in Basso Molise perlopiù di matrice pugliese.

Decine di braccianti che venivano pagati pochi centesimi a cassetta per la raccolta di pomodori. Ad arricchirsi sui campi sono in pochi. E illecitamente.

I sette, a vario titolo, vessavano i lavoratori migranti nei campi, dichiarando poche o nessuna delle centinaia di ore effettivamente lavorate. Il classico sistema del “lavoro grigio”, che in agricoltura permette di comunicare l’inizio di un rapporto lavorativo con un bracciante e solo a fine mese le giornate. E in busta paga – sempre che ci sia – sono sempre assai meno di quelle effettive.

A procurare la manodopera 4  caporali, dei sette indagati. Gli altri tre sono imprenditori agricoli (due termolesi e un casertano che aveva comprato un appezzamento di terreno a Campomarino per la coltivazione dei pomodori) che si servivano degli altri per reclutare manodopera. Stabilivano le modalità del reclutamento, fissavano le condizioni dell’impiego sui campi dei singoli braccianti, organizzavano i furgoni utilizzati per il trasporto dei lavoratori sui campi, tenevano la contabilità reale delle giornate di lavoro e retribuivano gli operai con paghe da fame.

Una organizzazione ben strutturata, alle loro dipendenze i caporali, in parte stranieri residenti tra la Puglia e la Campania, incaricati della gestione dei braccianti e del loro trasporto nei campi.

Ultimo anello della catena della filiera del lavoro nero, pur di avere una paga, misera e ignobile, i migranti erano costretti a lavorare a qualsiasi condizione, a raggiungere i campi su furgoncini e auto scassate, a vivere in condizioni spesso di degrado dietro la reiterata violazione di ogni tipo di normativa che disciplina il diritto del lavoro. Ma non solo.

Senza diritti né tutele, molti braccianti sono caduti nella trappola per motivi di necessità lasciando che fossero sfruttati e maltrattati. La polizia ha documentato e accertato, la procura ha chiuso le indagini. Ora il rinvio a giudizio è dietro l’angolo.

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