Economia & fase 2

Tatuatori “dimenticati”, ma sono loro i più pronti a ripartire: “Mascherine, guanti e sanificatori? Usati da sempre”

La categoria professionale dei tatuatori - più volte “dimenticata” dalle analisi istituzionali sull’emergenza lavorativa legata al Coronavirus - sarebbe pronta a togliere i lucchetti alle attività e ripartire. Un’ipotesi condivisa anche da molti operatori molisani del settore: “Mascherine, guanti e sanificazioni quotidiane sono per noi un dovere - spiega Marco, proprietario di uno studio a Campobasso - accorgimenti cui abbiamo sempre ottemperato meticolosamente, a prescindere da qualunque virus”.

Conferenze stampa a oltranza, attese spasmodiche, fiumi di parole; e altrettanti di ipotesi. Regole, moniti, promesse e un’enormità di categorie lavorative tirate in ballo. Una enormità monca, però. Perché nelle arringhe e nelle elucubrazioni istituzionali in salsa “Covid-19” sono stati in molti – tanti, troppi, dal premier alle task force, dai ministri ai sottosegretari – a dimenticare un settore peculiare: quello del tatuaggio e dei suoi professionisti.

C’è voluto, appena pochi giorni fa, l’intervento dell’on. Mollicone (Fratelli d’Italia) a destare le coscienze dall’oblio, a rivendicarne l’esistenza. Della serie: meglio tardi che mai.

Perché quello dei tattoo shop è un comparto professionale come gli altri, capace di offrire non solo un servizio artistico-estetico alla persona, ma anche e soprattutto un contributo non trascurabile al Paese in termini di occupazione. Ed è proprio questo il punto. Migliaia di artigiani e imprenditori del settore si sono visti costretti, dal 9 marzo scorso, ad abbassare “a tempo indeterminato” le serrande delle rispettive attività, andando inevitabilmente incontro a tutte le conseguenze del caso: emotive, psicologiche, economiche.

La chiusura degli studi ha dunque causato non solo grandi difficoltà a chi di questo mestiere vive – operatori, impiegati del settore e relative famiglie – ma pure ripercussioni allarmanti sul mercato degli affitti, quanto sui bilanci delle aziende fornitrici (supplies). Un “effetto domino” dagli effetti potenzialmente deleteri.

Perché dietro ogni professionista del tatuaggio c’è un artista che ha dovuto transitare tra apprendistati estenuanti e “gavette” quasi mai retribuite, tra rinunce e sacrifici, per inseguire un sogno. Un sogno che si trova oggi a vivere alle spalle di una saracinesca. Chiusa.

Una doppia beffa. Soprattutto se si pensa che ogni tatuatore deve necessariamente rispettare – per legge – rigidi e specifici accorgimenti sanitari atti a garantire l’assoluta sicurezza della prestazione offerta, nonché la sterilità degli arnesi e la salubrità dei locali in cui la stessa viene effettuata. Detta in soldoni: mascherine, guanti, attrezzature monouso, sanificazione di strumentazioni e ambienti di lavoro hanno da sempre rappresentato un “dogma” irrinunciabile per il mestiere in questione, ben prima del “Coronavirus”. Dunque: perché attendere ancora prima di poter riaprire?

Un interrogativo capace purtroppo di angustiare oggi anche tanti tatuatori molisani, fermi a braccia conserte ad attendere fatidiche novità da ormai due mesi. Nel frattempo, però, a non attendere sono state le spese. Che continuano a crescere e che dovranno pur sempre essere saldate.

“Abbiamo deciso di chiudere la nostra attività addirittura due giorni prima che il decreto entrato in vigore il 9 marzo scorso lo imponesse – spiega Marco Clemente, professionista di Campobasso – e questo innanzitutto per un atto di rispetto e tutela verso i nostri clienti. Ma questo regime di incertezza ci fa soffrire ancora di più di ogni mancato guadagno, di ogni chiusura. Abbiamo anche noi spese enormi da sostenere ogni mese, abbiamo fatto anche noi tanti sacrifici per aprire le nostre attività, per fare della nostra passione un mestiere e per vivere di questo. Vedere quella porta chiusa e non sapere quando poter tornare ad oltrepassarla di nuovo è ogni volta un colpo al cuore. Rispettiamo da sempre i più rigidi parametri igienico-sanitari: perché non ci è stata data ancora l’opportunità di riaprire?”

Analisi condivisa anche da Simone Albiniano, tatuatore del Golden Ink Tattoo Parlour: “Non è semplice vivere ogni giorno questa situazione di incertezza. E non solo per le innegabili, oltre che gravi, perdite economiche riscontrate. Da parte nostra, infatti, rivolgiamo da sempre ogni sforzo e ogni attenzione possibile alla massima sicurezza per nostri clienti: mascherine, guanti, strumenti monouso, detergenti per la disinfezione di locali e superfici sono elementi inscindibili della nostra professionalità. La chiusura prolungata ci fa soffrire doppiamente e suona come una beffa proprio per questo, perché c’è la consapevolezza di poter continuare a operare in assoluta sicurezza anche in periodi come questo, tali sono le misure di prevenzione da sempre adottate”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Alex De Cia, altro operatore del settore impegnato nel capoluogo: “Gli studi di tatuaggi, a differenza di altre tipologie di attività commerciali, oltre alle procedure di igiene eseguite in maniera meticolosa quotidianamente avrebbero anche la preziosa opportunità di poter lavorare a porte chiuse, permettendo cioè l’accesso ad un solo cliente per volta; non solo nelle sale operative, ma anche in quelle d’attesa. Un dettaglio non di poco conto, questo, perché in grado di garantire a tutti – ovvero a noi e alla comunità – il massimo regime di sicurezza. Senza dimenticare, poi, che il prolungamento del lockdown sta si danneggiando profondamente chi svolge questo mestiere con trasparenza, pagando le tasse, ma paradossalmente sta favorendo la proliferazione di abusivi che effettuano tatuaggi in barba alle più elementari norme sanitarie”.

A sottoscrivere l’appello anche Giovanni Castrataro, (“L’Amatore Tattoo Parlour”, Venafro): “Il nostro mestiere nasce dalla passione per un’arte specifica. E per far di questa arte un mestiere, il sostentamento della propria vita, tutti noi abbiamo fatto parecchi sacrifici. Ogni mese paghiamo spese salate per mandare avanti le nostre attività e, ne siamo certi, quando riapriremo dovremo anche affrontare i pesanti rincari di alcuni strumenti per noi essenziali, come le mascherine ad esempio. Abbiamo però la fortuna di poter operare in un regime di 1:1, ovvero attraverso un rapporto diretto tatuatore-cliente, il che già di per se garantisce di evitare anche il più flebile rischio di assembramenti. In più, come tutti sanno, gli ambienti in cui operiamo sono sanificati con prodotti specifici prima e dopo l’esecuzione di ogni singola prestazione. Di certo, alzeremo per quanto possibile ancor di più l’asticella della prevenzione, ma vogliamo tornare alla nostra vita anche per un fattore psicologico oltre che economico”.

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