L'Ospite

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Coronavirus e i non luoghi dei moderni paesaggi

Il paesaggio o per meglio dire, il suo concetto, per la ricchezza scientifico-culturale che lo supporta, non può essere catalogato in ambiti di studi residuali e circoscritti. Per essere più precisi, l’idea di paesaggio è quella di considerare, in forma dinamica, non fissa e immobile, quanto posto alla nostra attenzione, di naturale e/o costruito. È, dunque, il paesaggio, il frutto delle diverse componenti che hanno accompagnato la sua evoluzione nel tempo, quali la rete ecologica, le strutture agro-silvo-pastorali, l’architettura stratificata e spontanea.

L’interruzione di tale continuità, dipanatasi nel tempo, conseguente l’acquisizione delle più diverse, sconvolgenti e moderne pratiche industriali, ha fatto emergere le tante e diffuse evidenze dell’attuale appiattimento cultural paesaggistico dei tanti non luoghi riscontrabili in tante aree dei nostri territori.

Il paesaggio non è solo panorama, ma l’insieme di ambiente, storia e geografia, i cui contenuti, l’osservatore, con gli strumenti culturali che gli sono propri, riesce a trarre, leggendo e interpretando l’immenso spartito che ha di fronte.

Il contesto osservato è, sempre e comunque, il prodotto materiale plasmato dalle culture delle passate civiltà. Il paesaggio è, dunque, quanto di dinamico vive e si trasforma in armonia con le vicende umane. Il pericolo non è la sua eliminazione, ma la non creazione di nuovo o peggio, la produzione di non luoghi.

Fino alla rivoluzione industriale, i paesaggi altro non erano che il prodotto di quanto funzionale all’uomo agricoltore, pastore e silvicoltore. La città organizzava il suo territorio conformemente ai suoi bisogni alimentari, agropastorali, energetici, dei materiali da costruzione e la selvicoltura.

È l’agricoltura industriale, intensiva, affermatasi nella seconda parte del secolo scorso che, smettendo di generare paesaggi, ha prodotto gli insignificanti, controproducenti e soprattutto, dannosi non luoghi.

A sua volta, l’edilizia rurale, già funzionale alla produttività e al controllo della qualità, oltre che essere rappresentativa dell’estetica per evocare i fasti delle famiglie possidenti, mancando l’interscambio paese, paesaggio, spazio fisico, nell’affermare il concetto produzione, guadagno, consumo, ha prodotto quello di capannone, villetta, supermercato, stazione di servizio; da cui il senso di precarietà e le paure che segnano l’odierna società.

Come I paesaggi del passato testimoniano tuttora l’incontro tra la necessità di trasformare l’ambiente per costruire il centro urbano, in cui si concentrano le esigenze di mercato, ritrovo, servizi e sicurezza e la sua campagna, con la sua offerta di prodotti agricoli, allo stesso modo e al contrario, l’industrializzazione e ancor più la globalizzazione, rompendo lo schema e creando spazi vuoti, hanno mandato in crisi il paesaggio. Da qui la speculazione edilizia e le altre aggressioni al territorio, quali lo stoccaggio irregolare dei rifiuti e/o la diffusione squilibrata e irrazionale di parchi eolici e fotovoltaici o d’insensate coltivazioni bioenergetiche.

Governare il territorio, per salvaguardare il benessere delle popolazioni presenti e future, significa, in fin dei conti, tutelare l’ambiente nella sua complessità, perseguendo il benessere degli elementi basilari che la natura continua a fornire, quali l’acqua, l’aria, il suolo, la fauna e la flora.

Nel binomio tradizionale simbiotico città – paesaggio agrario, la città genera la campagna per rifornire i suoi abitanti del necessario sostentamento materiale, laddove quest’ultima fornisce il luogo in cui tali beni possono essere prodotti.

L’agricoltura industriale, pertanto, non presuppone alcun rapporto con la città storica ovvero con gli artigiani e i piccoli commercianti, ma si configura come un insieme anonimo di quartieri dormitori occupati da non residenti, quali turisti, studenti, uffici.

La vicenda coronavirus ha, dunque, una volta per tutte, evidenziato che non è più rinviabile la giusta ricostruzione, in chiave moderna, di tale interdipendenza. Ovviamente non da ricercare nella storica situazione contadino–proprietario terriero ovvero dell’ormai superato rapporto tra una classe dominante e una soccombente. Si tratta, invece, di operare mettendo al centro la sostenibilità ambientale ed essere in grado di governare il flusso di materia ed energia in accordo con quelli bio geochimici, esistenti e operanti in natura.

Angelo Sanzò

Presidente Comitato scientifico Legambiente Molise

Vice/Presidente Sigea Campania/Molise

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