Operazione washed oil

Truffa del carburante: evasione da 12 milioni, 13 indagati. Sigilli al capannone di Guardiaregia, la pista del riciclaggio

4 anni di indagini sfociate in una operazione da record, con 13 misure cautelari tra cui un campano al vertice della organizzazione che aveva scelto il Molise come base logistica e operativa. L'ufficio Antifrode dell'Agenzia delle Dogane con il Nucleo di polizia economica e finanziaria della Guardia di Finanza di Campobasso hanno scoperto una truffa di proporzioni enormi portata avanti da una società in provincia di Campobasso che opera nel settore dei prodotti energetici.

Quattro anni d’indagini, tredici persone indagate e due società nel mirino. E ancora: oltre 4 milioni di beni mobili e immobili sequestrati.

Questi i numeri dell’operazione Washed Oil, che ha interessato oltre al Molise anche altre regioni italiane, scattata dopo accurati e minuziosi controlli fiscali i cui esiti hanno insospettito gli investigatori e li hanno messi sulla pista “giusta”: il riciclaggio e la truffa.

Oggi il cerchio è stato chiuso dopo gli accertamenti svolti dall’ufficio antifrode dell’Agenzia delle Dogane e dal Nucleo di polizia economico e finanziaria della Guardia di Finanza, coordinati dalla Procura di Campobasso.

Questa mattina – 27 maggio – sono stati posti i sigilli ad un’azienda molisana che si trova nella zona industriale di Guardiaregia, all’interno del Consorzio industriale di Campobasso-Bojano, tenuta da qualche anno sotto osservazione dagli inquirenti. La società campana, infatti, aveva fatto richiesta alla Regione Molise di poter riattivare un deposito di carburanti fermo da 17 anni ricevendo però (nell’ottobre del 2018) il diniego dello stesso ente, come vi abbiamo raccontato in un articolo pubblicato a gennaio del 2019.

 

Fermo da 17 anni, ora vogliono riattivare deposito di carburanti: dubbi sull’affare nel cuore del Matese

Proprio quel deposito dismesso da molti anni oggi è il fulcro della frode scoperta dai finanzieri e dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate, che hanno dato esecuzione al provvedimento del sostituto procuratore Francesco Santosuosso avallato dal giudice per le indagini preliminari Veronica D’Agnone.

La società costituita nel centro della provincia di Campobasso operava nel settore dei prodotti energetici e, in base alle ricostruzioni, era intestata ad un prestanome. Era diventata “un ingranaggio perfettamente funzionante di un composito e lubrificato meccanismo di frode, il cui dominus – scrivono gli inquirenti – era un pregiudicato campano”. In mezzo ci sono le aziende GM Petroli srl e la 3A srl, che volevano riattivare l’impianto dotato di tre serbatoi che si trova nella zona industriale di Guardiaregia.

Durante l’operazione Washed Oil i finanzieri e i funzionari dell’Agenzia delle Dogane hanno proprio messo in evidenza il ruolo chiave di quel sito dismesso da anni, l’ex deposito commerciale di prodotti petroliferi, utilizzato come una sorta di paravento della frode.

E tutto – non a caso – ruotava attorno alla commercializzazione di prodotti petroliferi (gasoli e oli combustibili ad esempio) per operazioni illecite di riciclaggio ed autoriciclaggio finanziario.

Il sistema societario messo in piedi per truffare il fisco era molto articolato: l’obiettivo era quello di evadere le accise, ossia le imposte sulla fabbricazione e sulla vendita di prodotti petroliferi, le imposte dirette e l’Iva. Per questo veniva prodotta documentazione contabile fittizia, venivano emesse e utilizzate numerose fatture per operazioni inesistenti.

Ma la società, è stato accertato, non possedeva una reale struttura operativa imprenditoriale. Per la Procura era una sorta di ‘scatola vuota’, o meglio “uno schermo giuridico solo formale per realizzare ingenti e illeciti risparmi di imposta ai danni del fisco”.

In questi anni le persone coinvolte nella frode sono riuscite a ottenere enormi profitti illeciti che gli inquirenti sono riusciti a quantificare attraverso le analisi incrociati della documentazione bancaria, dei contratti e degli elementi forniti dall’accesso alle banche dati informatiche che hanno messo in luce il pericoloso meccanismo fraudolento architettato per danneggiare l’erario. Una frode da almeno 12 milioni di euro. Con il guadagno illegale venivano pagate anche le altre persone coinvolte.

C’è un ultimo tassello di questo puzzle: la commercializzazione e la vendita finale al consumatore. Se la frode è riuscita, è anche perché per le società è stato possibile far leva pure sulla compiacenza di altre ditte che si trovano in Campania, Abruzzo, Puglia oltre che in Molise, e che hanno chiuso entrambi gli occhi pur avendo intuito benissimo la frode, grazie alle quali era possibile vendere prodotti a prezzi più bassi. Tutto a discapito della concorrenza leale, innescando una nociva distorsione del mercato.

“Il fenomeno fraudolento al centro di queste indagini – commentano dalla Guardia di finanza – rientra nelle tipologie di frodi in materia di accise sui prodotti petroliferi maggiormente attenzionate e censite dalla direzione centrale antifrode e controlli dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli e dalla Guardia di finanza nell’ambito di una operazione denominata ‘Codice est’”.

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