1956-2020

15 maggio 2020: le lacrime del giorno stesso. In memoria del nostro professore Antonio Picariello

Un ricordo del nipote Daniele a poche ore dalla morte del professore Antonio Picariello

Quattro anni fa, nel febbraio 2016, alla morte del suo professore Umberto Eco, Antonio Picariello – per molti, abitualmente, Tonino – condivideva con i lettori (non solo) molisani un sentito elogio intitolato «Le lacrime del giorno dopo. In memoria del mio professore». Dalle pagine del suo blog o dalle colonne de Il Giornale del Molise, Antonio affidava la sua testimonianza di dolore ma, al tempo stesso, di rispettoso omaggio e ammirazione verso uno dei suoi grandi maestri universitari (certamente in compagnia di Tomás Maldonado), divenuto tale non tanto per la levatura del saggista-romanziere successivamente da tutti conosciuto, ma per il dono prezioso che sentiva di aver ricevuto: l’epifania e il perfetto incastro del senso delle cose apprese, l’eterea elevazione dell’intelletto e dello spirito grazie alla disponibilità di un nuovo sguardo, capace di generare altrettante innovative visioni e sistematizzazioni del mondo, rendendo chi ne adotta l’efficacia il «re dell’universo». Proprio tale ebbrezza di regalità, ricevuta dai grandi, è stata la sua missione di vita, intuendo che la crescita intellettuale fosse un bene troppo prezioso e appagante da poter essere ignorato o addirittura serbato in privato: ecco allora che ogni atto, ogni gesto, ogni discorso, ogni lezione od ogni performance artistica diveniva testimonianza del suo scopo, fatto di una attività culturale, critica, divulgativa e didattica da diffondere per elevare e appagare chiunque ne venisse a contatto.

Scrivere di Antonio Picariello, tanto più nel giorno della sua dolorosissima scomparsa, significa aprire una sconfinata, densa ed emozionante galleria di ricordi, aneddoti, immagini, discorsi, confronti. D’impulso, ciò sembrerebbe valere per chi lo frequentava da vicino, familiarmente, ma io, suo nipote, sono certo del contrario: Antonio Picariello era un attrattore cosmico, un uomo di una ricchezza d’animo e di intelletto che, senza fatica, riusciva a riempire i vuoti o a far debordare i pieni delle esistenze di chi lo incrociava. Uomo eclettico, esteta ed amante del bello nelle sue innumerevoli forme artistiche: dalla musica al cinema, dal teatro alla letteratura, dalla poesia alle arti figurative, sua passione più nota. Sono certo, allora, che ciascun lettore di queste righe provi la mia stessa sensazione di vastità e acceda agli spazi del ricordo più congeniale o più emotivamente vicino.

Per quello che attiene ai miei, sono orgoglioso di dire che Antonio Picariello era anche un fulcro di vita. Rarissime sono state le volte in cui non l’ho consultato prima di una decisione importante; altrettanto rarissime quelle in cui non ci aveva visto giusto. Nel tempo, dalla mia infanzia ai giorni recenti, ha svolto un apprezzato e già vacante ruolo di mèntore, fatto di lunghi approfondimenti pomeridiani su tutto ciò che un bambino evita, lezioni di chitarra (ho suonato per la prima volta grazie a lui – ironia destinale – wish you were here), Passepartout di Daverio invece del tiggì, accesi dibattiti a tutto tondo, illuminanti riflessioni accademiche, senza tralasciare il fascino del suo archetipo più riuscito su di me: Bologna. Fèlsina, come la chiamavano gli Etruschi, non è stata per noi solo una città, ma un crocevia di situazioni, emotività, persone, affetti dove potevamo incontrarci intellettualmente per avere una chiave di volta che sostenesse l’intero arco. Così Paolo Fabbri (anche quello di Guccini) e il DAMS, Omar Calabrese e la semiotica, Umberto Eco e l’Encyclopédie, Tomás Maldonado e il labirinto, Guy Debord e il Situazionismo, Freak Antoni e gli Skiantos, Pazienza e il ’77 sono divenuti i paesaggi di senso per concepire tutte le cose, anche quelle lontane. A proposito, mentre scrivo vanno le canzoni composte e suonate dai Pika-Moll, duo molisano (Picariello-La Molle) di universitari bolognesi… Sfuggendo, però, da un memento personale, è mio compito e mia intenzione celebrare – semmai ve ne fosse bisogno – Antonio Picariello come figura di rilievo (me lo consentirete) nel mondo dell’Arte e della sua critica, così come della Scuola.

Non potrei elencare qui tutte le innumerabili iniziative artistiche nel tempo realizzate: curatela di mostre, esposizioni, performances, land art, documentari, proiezioni, spettacoli teatrali (memorabile la Tosca dell’Opera al Laghetto –­ Venafro, 2019), programmi radiofonici, così come conferenze, convegni ed eventi artistici internazionali – si pensi al Premio Termoli. L’attività saggistica di critico militante – e talvolta di artista pittorico e romanziere sotto lo pseudonimo di Pilò – ha raggiunto il suo acme con l’ideazione e la creazione del movimento artistico internazionale Archetyp’Art (Italia-Africa), mai tralasciando uno sguardo e un’attenzione particolare al caro Molise, tra i numerosi eventi artistici a respiro nazionale e internazionale (Francia, Argentina, Brasile tra i più emblematici). Allo stesso modo, sarebbe impossibile citare la totalità degli artisti con cui ha collaborato, ma va ben sottolineata la molteplicità e la polimorfica capacità di spaziare tra stili, tecniche e vezzi di ognuno, evidenziando, ancora una volta, il ruolo dell’Arte come potente veicolo di scambio, incrocio e crescita. A riguardo, rimanevo sempre stupito dalla simbiosi che il critico imbastiva con la pluralità dei suoi artisti – dai poeti ai pittori, passando per scultori e musicisti – riuscendo a toccare sempre le corde giuste, tali da rendere la vastità delle tecniche e degli stili o la multimedialità delle forme in connessioni vive e vibranti, capaci di mettere a sistema il tutto ed entusiasmare gli animi. Insomma, l’uomo d’Arte, nella sua accezione più completa, era in grado con qualche sapiente connessione rizomatica del pensiero – arte di cui era espertissimo – e con il giusto rimando o la migliore disposizione delle opere, di donare ritmo e metrica allo spartito dell’evento.

Al tempo stesso, l’insegnamento, la didattica e la Scuola – che lo ha messo a dura prova di peregrinaggio prima di accoglierlo come docente in ruolo – erano nutrimento fondamentale per il professor Antonio Picariello. Come detto in apertura, il dono prezioso che sentiva di aver ricevuto da Eco, diventava a sua volta il presente da donare ai suoi studenti. Penso, allora, alle sue generazioni di allievi italiani (dalle prime supplenze lombarde e venete, passando per le varie esperienze in Emilia-Romagna) che vedevano accendere nelle sue sapienti orazioni di Letteratura, Storia o Geografia il fuoco della curiosità e avvicinarsi all’ardore della conoscenza mai didascalica o conformante, ma sempre maieuticamente dirompente. Penso ai tanti temi su foglio protocollo che, come nello strumentario di ogni docente, fanno capolino ciclicamente nelle case e negli spazi domestici d’ognuno: il professor Antonio li leggeva con cura e devozione, entusiasta di scoprire in ognuno di essi quel valore epifanico alla stregua di quello ottenuto nella lettura del trattato di semiotica generale. Penso alla passione per la poesia e alla venerazione di Dante Alighieri, probabilmente per la ineguagliabile universalità e profondità archetipale del suo messaggio d’amore che lo stesso Antonio ha sempre ricercato, senza tralasciare le meravigliose e commoventi interpretazioni dei contemporanei (Ho pianto ascoltando I limoni di Montale), ancor più se amici larinesi di lunga data.

Penso, infine, all’uomo Antonio Picariello, tanto nel suo impegno civile di divulgatore e funzionario dell’Arte nei livelli istituzionali (degno di nota il suo incarico di consulenza del Sindaco Giardino presso il Comune di Larino), quanto nei suoi ruoli di figlio, fratello, marito, padre, zio e amico formidabile e onorabile: pur negli alti e bassi che costellano ogni esistenza umana, posso dire senza timore di smentita che Antonio Picariello ha saputo sempre distinguersi e lasciare il segno, come recentemente qualcuno mi scriveva.

Intendo concludere questo doloroso ricordo affidandomi alle sue parole, anche considerandolo come onorifico tributo alla sua altissima visione delle cose: in queste infauste settimane pandemiche, ho frequentato assiduamente i suoi canali web, tra interviste, riflessioni e preziose testimonianze. In particolare, vorrei rimandare voi pazienti lettori al video denominato «Schola», opera che cristallizza la summa del suo pensiero e la sempre cara memoria storica scolastica, al momento della demolizione di una scuola larinese, restituendo, attraverso i propri ricordi di alunno, una sorta di inconscio collettivo junghiano in un misto di potenti evocazioni sonore che si incrociano finanche nel titolo, in un ibrido tra non impeccabile pronuncia inglese ­– do you remember Pink Floyd? – ed ereditaria dizione avellinese.

Ecco, dunque, le toccanti, profonde e illuminanti parole pronunciate in presa diretta qualche anno fa: «Una scuola che diventa la memoria racchiusa negli scaffali, che fra qualche giorno non ci sarà più. I voti, i registri: chi siamo? ecco cosa siamo, questo siamo noi; ecco dove andiamo, andiamo lì. Costruito un mondo se ne fa un altro e il precedente, quasi magicamente, si dimentica, si abolisce. Una forma biologica del divenire: qualcosa scompare per lasciare posto a qualcos’altro che arriva. Siamo uomini, biologia, botanica, minerali; siamo terra e in questa terra, in questa geo che ci aspetta, in questa geo che ci dice tutti i giorni “forza uomini lottate, forza non perdete il senso della vostra vita!” Ogni atto che avviene è un atto unico e prezioso; ogni atto che avviene è il risultato di questa scuola che ci ha dato la formazione e l’avvenire e che questo avvenire incontriamo adesso in questo momento in cui qualcosa sta per scomparire». «Piange il cuore? No. È una consapevolezza della vita; è la vita che si trasforma; noi che sappiamo che la trasformazione è necessaria affinché si possa vivere; sappiamo anche che tutto questo spazio sarà dimenticato se non per questa documentazione che Matteo sta svolgendo mentre io parlo, a braccio, attraverso i  ricordi. […] Siamo i pionieri di quello che avverrà e questa scuola è il nostro luogo della memoria che ci dona la sicurezza per affrontarlo».

Ebbene carissimo zio Tonino e carissimo professore di una intera comunità, mentre scegli questa data per lasciare le cose terrene, io, al contrario, sento il cuore affranto e cerco di trarre, ancora una volta, un indispensabile insegnamento dalle tue apprezzate parole, pensando che la travolgente vita che ti caratterizzava non sia cessata ma si sia trasformata nel potente luogo della memoria che hai costruito e che grazie a te sarà per sempre un sicurissimo luogo di conforto.

 

Ciao Tonino,

tuo Daniele

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