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Pasqua di Risurrezione

Vide e credette (Gv 20,1-9)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro.  Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Il primo atto di fede dopo la risurrezione nasce di fronte al silenzio di teli sparsi per terra in una tomba vuota, non davanti a segni mirabolanti, ad apparizioni circonfuse di gloria, a manifestazioni di schiere di angeli. Il discepolo amato si è fidato della parola di Gesù, una fiducia che nasce dall’amore. Ecco perché può riconoscere la sua presenza nell’assenza visibile e comprende che ora il Signore agisce più efficacemente di quando era presente nella sua carne. Quanto ci dovrebbe insegnare questa fede innamorata e questo silenzio di un lontano mattino di pasqua!

Oggi invece c’è la corsa a cercare forme di “apparizione” informatiche, televisive, giornalistiche come se
l’azione di Dio se non è registrata dalla cronaca non è reale e l’efficacia dell’eucaristia sarebbe legata alla sua visibilità sullo schermo. A me sembra piuttosto che abbiamo sostituito il Dio che non può essere visto se non di spalle con l’idolo muto che esiste solo in quanto è rappresentato e ostentato ai suoi adoratori, come la statua di cui parla il profeta Daniele.

Penso che stiamo perdendo un’occasione come chiesa di insegnare il ritorno all’interiorità, all’ascolto silenzioso della Parola, allo scorgere la presenza di Dio nella voce sottile del silenzio, come invece era accaduto al profeta Elia che aveva capito che Dio non si presenta con effetti speciali ma in un cuore che ama.

I vangeli non hanno raccontato il momento della risurrezione di Gesù ma ne hanno indicato gli effetti: una vita trasformata, il passaggio dal ripiegamento su se stessi (come ci ha insegnato a fare il primato del denaro e del profitto della nostra società morente) alla disponibilità all’ascolto del grido dell’altro, che è ciò che non abbiamo fatto fino all’altro giorno quando respingevamo i disperati che attraversavano il nostro mare.

Se rinascerà dopo questo sabato santo del coronavirus una società capace di aprire il cuore al grido del povero, allora sarà veramente Pasqua.

Don Michele Tartaglia

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