Esperienza diretta

“Ho fatto il test degli anticorpi per il Covid”: ecco come funziona e cosa legge un esame sierologico

A cosa serve un test rapido del sangue? Cosa ci può raccontare su di noi e sul virus del Covid19? Una nostra giornalista oggi 13 aprile 2020 si è sottoposta all’esame sierologico, attraverso il quale si può scoprire se si è mai entrati in contatto col virus e se magari, pur senza aver mai sviluppato sintomi, si sia acquisita l’immunità. “Il test veloce non sostituisce il tampone orofaringeo, unico al momento capace di stabilire con certezza se siamo negativi o positivi, ma offre una informazione fondamentale per fare una mappatura della popolazione” ci racconta Cristina Niro dopo il prelievo. Utile anche allo screening sul personale per poter riaprire in sicurezza luoghi di lavoro. Ecco tutto quello che è bene sapere, senza illusioni ma anche senza pregiudizi.

Avrò avuto il Covid in forma asintomatica? Oppure devo fare il tampone perché tutti i giorni per lavoro frequento posti potenzialmente a rischio? Funzionano le indagini sierologiche per la ricerca di anticorpi? Domande che mi frullano tutti i giorni nella testa. Ancor più leggendo che al riguardo gli esperti sono divisi sull’efficacia dei cosiddetti test, e le regioni italiane pure.

Al Nord questo tipo di screening sta prendendo piede. Il governatore del Veneto Zaia ha fatto partire un progetto sperimentale per testare la presenza di anticorpi prima in tutti gli operatori sanitari e nelle case di riposo, chiedendo che l’Università di Padova e Verona lo validino. Una start up fiorentina dal primo aprile,  tramite prenotazione on line, esegue il test sierologico rapido ai privati, purché residenti nel comune di Firenze. Il sindaco Sala, nel suo videomessaggio quotidiano, ha chiesto che anche Milano si attrezzi per partire.

Insomma, posizioni che hanno alimentato i miei dubbi ma anche la mia ansia. Quindi mi sono chiesta “Perché non farlo anche in Molise?”.

Poi succede che la clinica “Villa Maria” di Campobasso – chiusa dal 12 marzo – prima di riaprire (domani 15 aprile) per tutte le prestazioni di urgenza e per i pazienti no-covid, decide di eseguire i test sull’intero personale e che su tre “sospetti” rilevati dal test preliminare e dunque segnalati all’Asrem per il tampone, siano poi risultati positivi tutti e tre. In sostanza, mi dico, questo test ha consentito di far riaprire la clinica in sicurezza.

Decido allora di contattare il direttore sanitario di “Villa Maria”, il dottore Nicola Manna e chiedergli se, come giornalista, posso sottopormi all’analisi: voglio capire di più e raccontare nel dettaglio che cosa avviene.

Il dottore Manna premette che il test non sostituisce il tampone e che l’obiettivo della clinica di via Principe di Piemonte è soprattutto quello di effettuare una sorta di screening per comprendere l’entità del contagio e fare una mappatura che sia utile anche rispetto alla scelta o meno di eseguire eventuali tamponi. Obbligatori, lo ricorda Manna, in caso di sintomi o di contatti diretti con persone a rischio, al di là del test sierologico.

Ma adesso che si parla di “riaprire” per non “non far morire il Paese” servono presidi sanitari (di protezione, di analisi del sangue e degli anticorpi).  Chiamo, illustro la mia richiesta e la risposta è rapida: “L’aspetto in clinica”.

Sono le 10.30 del mattino, e improvvisamente mi sale l’ansia. Non so niente di preciso, non so come funziona il test, so che è dibattuto dalla comunità scientifica e che potrebbe con il suo risultato indicarmi come candidata al tampone. E il tampone successivo, unico esame al momento scientificamente valido, potrebbe mettermi in quarantena e indurmi a sperare di non subire le conseguenze purtroppo ormai note di questo maledetto virus.

È più di un mese che non esco se non per improrogabili motivi di lavoro. Ma quando sono al lavoro ho contatti con persone che tutti i giorni, in un modo o nell’altro, hanno a che fare con il Covid 19. Indosso la mascherina, adotto la distanza di sicurezza, sanifico casa e la postazione di lavoro, lavo continuamente le mani.

Ma l’ansia fa brutti scherzi: entro in macchia e durante il tragitto che mi separa da Villa Maria mi auto-convinco che dopo il test certamente dovrò fare il tampone perché ci sarà un esito incerto, e che quindi sarò la prossima positiva in Molise.

Arrivo a destinazione. Mi aspetta il dottor Manna, rigorosamente a distanza di sicurezza, bardato di guanti e mascherina, chiede a me di fare altrettanto. Poi, mi fa entrare nel Laboratorio analisi dove mi aspetta la dottoressa Laura Piperni insieme alla caposala.

E’ proprio la caposala che esegue il prelievo del sangue, mentre la dottoressa Piperni spiega “Non abbiamo inventato niente, si tratta di un semplice test sierologico per verificare se il soggetto presenta tracce di un contatto col virus o ha sviluppato l’immunità”. Ribadisce che non “sostituisce il tampone” ma che è utile per indicazioni di cui la comunità scientifica può tener conto.

Ma cosa cerca esattamente? “Si cercano nel sangue gli anticorpi generati dall’organismo. I primi (IgM) sono quelli che si manifestano all’inizio della comparsa dei sintomi e segnalano la presenza del contagio, per gli altri, i cosiddetti anticorpi IgG, c’è bisogno di un periodo più lungo e ci dicono se il paziente è entrato in contatto con il virus e ha sviluppato immunità”.

Test sierologico Villa Maria CB

Mentre la dottoressa parla, la mia mente viaggia e spera di aver sviluppato questa benedetta immunità. E quasi mi leggesse nel pensiero o avesse tradotto la mia mimica facciale, dice: “Immunità che ci auguriamo tutti, ma che finora è pressoché scarsa”.

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Quello che si cerca qui non sono gli infetti perché l’esame d’elezione resta il tampone. Qui si individua chi non ha mai contratto il Covid o chi, magari senza aver avuto mai alcun sintomo, ha già sviluppato immunità.

Inizia l’anamnesi: rispondo alle domande che mi fanno i sanitari. Spiego di non aver mai avuto nell’ultimo periodo sintomi importanti, a parte quella febbre e quella tosse attorno alla metà di febbraio dopo essere rientrata da Bologna prima che fosse dichiarata zona a rischio.

E si parte con il prelievo. Un’operazione rapida e semplice. La caposala non mi fa accorgere neanche dell’iniezione. Poi, mentre la mia provetta scende giù per essere lavorata, io mi pongo altre domande tra cui quelle sulla reticenza delle istituzioni rispetto a questo test.

Qui, alla fine, si lavora per fare un’analisi capillare e ad ampio spettro, capace di fornire risultati sui quali studiare e ragionare.

Mi rialzo. “Ci vuole almeno mezz’ora prima del risultato” mi spiega la dottoressa.

Aspetto. E continuo a pensare. Se dovessi risultare immune perché ho già contratto il virus potrei sentirmi più leggera ma non abbasserei la guardia, perché la certezza del test – mi hanno spiegato – non è assoluta e, anche se lo fosse, non sappiamo ancora che tipo di difesa offrano gli anticorpi ai soggetti immuni visto che questo è un virus nuovo, di cui si conosce molto poco. Insomma comunque vada in me questo esito sarebbe una sorta di deterrente a prestare ancora più attenzione.

Test sierologico Villa Maria CB

Mentre penso, passano rapidamente i trenta minuti previsti: test negativo.

La lineetta che riguarda gli anticorpi IgM (quella che indica una potenziale infezione in corso) non si è colorata, né si è colorata quelli degli anticorpi IgG (quelli che segnalano l’immunizzazione).

Conclusione? Come la stragrande maggioranza della popolazione devo continuare il mio stile di vita: mantenere le distanze di sicurezza; continuare a lavare frequentemente le mani e quando non si può utilizzare i gel disinfettanti; sanificare il mio posto di lavoro e quello in cui abito; indossare la mascherina, non uscire di casa se non per motivi urgenti e necessari e nel frattempo sperare che la scienza scopra il vaccino che ci immunizzi tutti e debelli questo virus misconosciuto.

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