Atmosfera barocca, l’amore cantato ai tempi del Regno di Napoli, dei Gonzaga a Milano, di Cosimo de’ Medici a Firenze. Siamo intorno al 1620 e il compositore Giovanni Stefani compone una delle canzoni d’amore più belle della storia: ‘Amante felice’. Se le sue sonorità sono giunte fino a noi vuol dire che qualcosa valevano… Ci ha pensato il maestro Giuseppe Moffa a renderle suggestive, se vogliamo moderne, piacevolissime all’udito.
Il noto artista di Riccia, come tutti costretto a casa per colpa del virus, ha deciso di avviare da qualche giorno delle produzioni in diretta sui social. “Noi musicisti resteremo a casa per molto altro tempo, è ancora lontana la possibilità di tornare a creare assembramento per un concerto, per qualsiasi altra festa” spiega con una nota di giustificato timore. Senza perdersi d’animo, però: “Personalmente mi sto attrezzando per promuovere la mia attività producendo e pubblicando dei video fatti in casa. Volta per volta c’è un musicista che mi accompagna tra i tanti amici sparsi in tutta Italia”.
L’invito rivolto a tutti i corregionali e non è quello di “seguirci, iscrivetevi al canale youtube e alla mia pagina facebook. Chi vuole può ascoltarle in streaming su Spotify, iTunes, magari comprando i miei dischi su Bandcamp, seguiteci e sosteneteci”.
La prima scelta è ricaduta proprio sulla canzone descritta, interpretata con la chitarra e accompagnata da uno dei membri fondanti dei Modena City Ramblers, Massimo Giuntini che si è collegata da Arezzo: “Proviamo a mantenere accesa la fiammella della creatività” dice di impugnare i suoi strumenti e regalarci dolci note. “Questo primo brano è una canzone del Seicento di Giovanni Stefani – spiega Moffa –. Si tratta di una mia rivisitazione nata da una reinterpretazione di Giammichele Montanaro”.
La chitarra del maestro ‘Spedino’ Moffa suonata in maniera sublime e due strumenti particolari per Giustini: la uilleann pipes, ovvero la cornamusa irlandese, ‘cugina’ della nostra zampogna, e il low whistle, ovvero il flauto a fischietto di origine inglese. Immediatamente ci si tuffa nel clima seicentesco, con un salto all’indietro (o in avanti, chissà…) di 400 anni, quattro secoli.
Una vera e propria dichiarazione d’amore: “Bella mia questo mio core per voi vive e per voi more…” intona Giuseppe Moffa con garbo, dolcezza. Le dita che scivolano sulle corde della chitarra, i brividi provocati dal suono dolcemente struggente della cornamusa, la voce calda che riporta indietro, quasi a far rivivere quegli attimi palpitanti, colmi di sentimento, vissuti dal protagonista del brano. E quel finale che è un testamento per i posteri: “Ma sia quel che vuol il fato, vivo e morto a voi m’ho dato”.
Maestro, perché proprio ‘Amante felice’?
“Quando l’ho ascoltato me ne sono innamorato, certe cose succedono per caso, ascoltando, incontrando, ne sono rimasto folgorato. E ho voluto fare una mia interpretazione”.
Un’interpretazione emozionante, resa magica dalla cornamusa di Massimo Giuntini, no?
“Sì, la cornamusa è stata scelta per questioni musicali, quella irlandese è cugina delle nostre zampogne, emette un suono dolcissimo e, inevitabilmente e grazie al cinema, assume un ruolo direi epico. Si tratta come detto di un brano antico, del 1600: le altre versioni che circolano si rifanno molto all’originale, con strumenti antichi. Io ho voluto dare un’interpretazione personale, mi è venuto questo giro di chitarra, un po’ alla James Taylor se vogliamo, per caratterizzarlo storicamente e dargli dolcezza”.
Possiamo definirla una canzone barocca? E si sa qualcosa dell’autore?
“Sì, si può dire che è un brano barocco. Non si sa molto dell’autore Giovanni Stefani. Questa canzone è tratta da una sua raccolta di canzonette d’amore”.
Si tratta del primo di una serie di appuntamenti, giusto?
“Sì, a breve mi esibirò con il mio pianista di sempre, Primiano Di Biase, che è originario di Larino. Poi ci saranno Mario Evangelista, un sassofonista di Houston. Insomma video che pubblicherò settimanalmente per ripercorrere il mio repertorio storico. Sarà interpretata anche una canzone inedita e rispolverate idee che erano chiuse nel cassetto”.
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