Storia a lieto fine

Flavio, l’incubo è finito: “Ho sconfitto il Covid. È stata dura e mi ritengo strafortunato”

Sabato 4 aprile il doppio tampone ha dato esito negativo per il ragazzo di Campobasso ricoverato lo scorso 15 marzo in malattie infettive. E' il paziente 2 del capoluogo: “Brutta esperienza. Nessun contatto con l’esterno, con i medici e gli infermieri comunicavo via citofono. Mi portavano chiaramente da mangiare in una busta, con tutte le precauzioni: tuta bianca, doppia mascherina, scotch intorno ai guanti”. Ma il messaggio è di ottimismo: “Ne sono uscito più forte di prima, si può guarire da questa malattia. Presto mega-festa in campagna con gli amici”.

L’incubo per lui è finito. È risultato negativo al ‘famigerato’ doppio tampone il paziente ‘numero 2’ di Campobasso. Parliamo del giovane di 37 anni, Flavio Procino, che abita a Bologna da qualche tempo e, tornato nella sua città, ha accusato i primi sintomi il 7 marzo. Qualche giorno in isolamento volontario, febbre che non voleva saperne di scendere. Poi il tampone positivo e il ricovero in malattie infettive.

Responsabile vendite del Parco Fico ed ora Area Manager Sud Italia, spesso in giro per il Paese per motivi di lavoro, nelle settimane precedenti allo scoppio della pandemia era stato in Piemonte, in Emilia, in Abruzzo. E così, il 7 marzo, quando è tornato a Campobasso “mi sono messo in autoisolamento, avvisando l’Asrem e il medico di base. Io vivo a Bologna ma ogni settimana torno per salutare i miei”.

Non è stato facile vincere questa battaglia: “Ho iniziato ad avere la febbre l’8 marzo e ho continuato ad averla fino al 17. Nei giorni fino al 15 la tosse aumentava e così ho chiamato il 118 e mi hanno ricoverato. Una sensazione non bella, devo confessarlo. Ero in attesa del responso degli esami nella stanza d’isolamento 3 di malattie infettive. Dopo 12 ore il responso. Quando mi hanno detto che ero positivo non volevo crederci. E lo sconforto era tanto”. Ed è cominciata la degenza: “Stare in isolamento non è facile. Chiaramente non puoi vedere e parlare con nessuno, neanche con i medici o gli infermieri con i quali comunicavo tramite citofono in caso di bisogno”.

È rimasto in reparto fino al 20 marzo, poi le dimissioni, il nuovo isolamento casalingo, con ancora il doppio tampone da fare. Fino alla bellissima notizia di sabato scorso alle ore 15: “Sono guarito ufficialmente”.

E’ felice Flavio, seppure ancora provato dalla malattia: “Oggettivamente è stato brutto, una esperienza che mi ha segnato molto”. Vissuta e ricordata nei dettagli: “Il 13 marzo ho iniziato ad avvertire sintomi forti, la febbre era alta, fino al 15 quando un’ambulanza del 118 mi è venuta a prendere per portarmi in ospedale”.

Ma Flavio vuole inviare un messaggio di speranza, di ottimismo, di forza: “Si guarisce da questo brutto virus, e io posso dirlo avendolo vissuto sulla mia pelle. Personalmente sono stato strafortunato, mi hanno spiegato che probabilmente il  virus mi ha colpito in maniera meno virulenta di altri. Certo, sono debilitato ma posso assicurare che una volta guarito ne sono uscito più forte di prima. Voglio sottolineare l’apporto di parenti e amici che, seppure a distanza, mi hanno trasmesso una grande carica”.

Flavio Procino

Flavio racconta tappa per tappa il ‘percorso covid’ del Cardarelli: “Mi hanno portato nella parte retrostante del reparto di malattie infettive, ho effettuato la vestizione e dopo un check-in orale mi hanno portato in isolamento. Quattro stanze, una porta principale che fa come da tappo a pressione, stanza di respirazione e due cabine per l’isolamento. Dopo 12 ore il responso della positività. Ed è stata una bella botta”. Come detto, “nessun contatto con l’esterno, neanche con i medici e gli infermieri con i quali in caso di necessità comunicavo via citofono. Mi portavano chiaramente da mangiare in una busta, con tutte le precauzioni: tuta bianca, doppia mascherina, scotch intorno ai guanti”.

 

La febbre si è fatta sentire per una settimana piena, raggiungendo i 39.3 gradi. “Poi, scemata la febbre, ho iniziato ad avere problemi di natura polmonare. La saturazione polmonare, sempre sotto controllo, è scesa fino a 92. Bisogna tener conto che da 87 iniziano a intubare. Quindi posso dire di aver avvertito sintomi brutti ma sicuramente più lievi rispetto a tanti altri casi. Ho avuto la febbre, la tosse anche. La cosa più fastidiosa era l’affanno dovuto al fatto che tra gli alveoli è come se si formasse un collagene. E come inizi a parlare vai in affanno”. Mi è dispiaciuto molto apprendere la notizia di una signora che era entrata in reparto quasi assieme a me e purtroppo dopo qualche giorno è deceduta. La paura, lo confesso, c’è stata eccome”.

La prima bella notizia il 20 marzo, data delle dimissioni: “Sono stato dimesso ma ero ancora positivo, quindi sono stato altri 14 giorni in isolamento, ho preso una casa in affitto per evitare contatti con i miei. Ma da lì tutto è stato in discesa, anche se gli strascichi c’erano e ci sono ancora. Anche perché quando sono stato dimesso la saturazione era a 96, non ancora a 100”.

E poi rivela: “L’abbraccio a mia mamma e a mio papà non ancora l’ho dato, uso ancora molte precauzioni. Anche perché non appena mi ha visto mia madre mi ha immediatamente ordinato di togliere le scarpe, gli indumenti, di andarmi a disinfettare e lavare. Giustamente, aggiungo. In compenso, mi coccola con i manicaretti. Spero che al più presto possa organizzare un grande brindisi in campagna con tutti quelli che mi vogliono bene. E sono tanti”.

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