La lettera

Domenico, da un mese lotta contro il covid: “Non riuscivo a respirare, ho avuto paura di non farcela”

La preziosa testimonianza di un cittadino di Cercemaggiore che è stato ricoverato al Cardarelli dopo aver contratto il covid 19: "Pensavo fosse una banale influenza, ma questo virus ti fa stare male". Nella sua lettera rivolge un appello alla popolazione: "Restate a casa, evitate di riunirvi come facevate prima dell'emergenza. In ospedale mancano pure i dispositivi di protezione del personale sanitario".

Domenico abita a Cercemaggiore, uno dei paesi dichiarato ‘zone rosse’ alla luce dell’elevato numero di contagi legati soprattutto al focolaio interno alla casa di riposo ‘Madre Teresa di Calcutta’. Da un mese sta lottando contro il covid-19: lo ha fatto in ospedale, dove è stato ricoverato a causa dei problemi respiratori provocati dal virus che inizialmente aveva scambiato per una banale influenza.

Poi le sue condizioni di salute sono precipitate a tal punto che Domenico ha avuto paura di non farcela. Ha provato le atroci sofferenze che questa “imprevedibile malattia” (come la definisce lui) comporta. Oggi sta meglio.

Per questo dopo il ricovero ha deciso di scrivere una lettera che è stata pubblicata sui social, una testimonianza preziosa perchè consente di comprendere meglio le difficili condizioni di lavoro del personale sanitario dell’ospedale, ma anche un appello accorato alla popolazione che oggi (14 aprile) ha visto probabilmente nell’allentamento delle misure restrittive e nell’apertura di alcuni negozi (quelli di prodotti per bambini, librerie e cartolibrerie) un iniziale ritorno alla normalità. Magari qualcuno già pregusta le scampagnate del 25 aprile e del 1 maggio.

“Fate attenzione, rispettate le regole ed evitate di riunirvi come facevate prima dell’emergenza”, il messaggio che lancia Domenico nella lettera in cui descrive la sua drammatica esperienza. Un’esperienza che oggi può raccontare anche grazie alla professionalità degli operatori sanitari.

“Sono stata una persona molto scrupolosa sin dall’inizio dell’emergenza in Italia, sia io che la mia famiglia. Nonostante abbia rinunciato alla vita sociale e preso tutte le dovute precauzioni, purtroppo ho contratto il virus. Avendo vissuto in prima persona questa esperienza, posso affermare che non si tratta di una semplice influenza, non sono da sottovalutare la sua contagiosità e i rischi che corrono le persone che lo contraggono e che già hanno altre patologie, e coloro che lo contraggono in maniera forte.

Purtroppo non è possibile stabilire in autonomia se si è affetti da questa malattia o se si tratta davvero di una semplice influenza dato che i sintomi iniziali sono identici fino all’insorgere delle complicazioni.

Inizialmente anch’io pensavo fosse solo una banale influenza di stagione, o forse più che altro era una speranza. Avvertiti i primi decimi di febbre, non ho sottovalutato la situazione e per il bene di tutti sono rimasto a casa per più giorni seguendo le procedure indicate dal mio medico di famiglia, evitando così il diffondersi del virus. Pur essendo io una persona forte, come molti di voi sanno, posso dirvi che la morte non è poi sembrata così lontana.

In quelle interminabili giornate passate in ospedale, soprattutto i primi giorni quando vedevo la mia cassa toracica sollevarsi ma l’aria non entrava nei polmoni, come quando li sentivo inondarsi dell’aria del cielo di Cerce, mi sentivo come un pesce boccheggiare fuori dall’acqua, passavo il tempo ad osservare e riflettere oltre che a parlare con la mia famiglia e gli amici che mi hanno contattato, sostenuto e dimostrato la loro vicinanza.

I miei occhi hanno visto persone che sono migliorate, persone che sono peggiorate e persone che dopo gli annunciati miglioramenti all’improvviso sono volate in cielo. Sì, perché è una malattia imprevedibile.

La cosa che più mi faceva paura era vedere negli occhi dei medici il terrore, vedere il loro sguardo di sgomento quando ponevo la domanda “Ce la farò?”.

La risposta di un’infermiera mi colpì molto: “Tu forse ce la farai, noi forse non ce la faremo“. Ecco, in questa frase ho capito che solo essendo responsabili, ognuno nel suo piccolo, ne potremmo uscire”.

Domenico testimonia le difficoltà della ‘trincea’ del Cardarelli: “Manca l’attrezzatura, mancano i dispositivi di protezione. E persino i medicinali. È disarmante essere in quel letto da cui fai fatica anche ad alzarti per la spossatezza e lo stato confusionale che questo virus ti provoca, dove se suoni il campanello non vengono sempre e subito perché significherebbe cambiare una mascherina, un camice, una tuta e poi non basterebbero per fronteggiare l’emergenza.

Una sofferenza atroce quando ti fanno il prelievo dell’arteria del polso ed è ancora più straziante sentire urlare il tuo compagno di stanza dal dolore.

Vedere queste scene e stare chiuso lì ti portano a dare di matto, soprattutto nei primi giorni quando ero in isolamento senza vedere nessuno per ore, e combattere in solitudine contro la fame d’aria, la fatica a parlare e a muovere un passo e allora mi sono fatto coraggio ripetendo imperterrito a me stesso il mio motto: “Il leone è ferito ma non è morto”.

Questa non è una caccia all’untore, al responsabile, perché tutti siamo vittime. Per questo dico e ripeto: seguiamo le regole, abbiamo rispetto del prossimo, siamo altruisti e non egoisti.

Uniti ce la faremo. Restiamo a casa!

Inoltre voglio ringraziare il primo cittadino (Gino Mascia, ndr) che si è reso disponibile e sensibile, i negozianti che si sono messi a disposizione per la consegna a domicilio e non solo e che fin da subito hanno dimostrato la loro vicinanza, la loro generosità, ringraziamo le due famiglie del vicinato che hanno fatto davvero tanto per noi e che nel periodo del mio ricovero non hanno fatto mai sentire sola la mia famiglia riempiendo i nostri cuori di gioia, tutti gli amici che si sono offerti per qualsiasi bisogno ed infine ma non perché di minore importanza ringraziamo i parenti per averci sostenuto in modi da lontano e da vicino.

È di questo che si ha bisogno nella vita. E questo periodo ci sta aiutando a capirlo”.

 

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