L'indagine nazionale

Decessi Covid, sarebbero 30mila più della cifra ufficiale. Le differenze col 2019

L'indagine è dell'Unsic e prende come parametro principale il numero di morti nello stesso periodo del 2019 e lo confronta col 2020. L'ipotesi è che i decessi per Covid sarebbero intorno ai 57mila, 30mila in più rispetto alla cifra ufficiale. E in Molise? Lo scollamento sarebbe minimo: solo in 3 comuni l'incremento di decessi è più significativo (ma comunque contenuto)

La consapevolezza è ormai diffusa, suffragata da crescenti ricerche: il numero dei decessi ufficiali per Covid-19 in Italia, fornito dalla Protezione civile, è sottostimato. Mancherebbero, nei conteggi, soprattutto persone decedute nelle case di riposo o nella propria abitazione, a cui non è mai stato fatto il tampone.

Per ricalcolare la cifra, con maggiori indici di affidabilità, anche se naturalmente non di assoluta certezza, si ricorre per lo più alla differenza tra il numero dei decessi medi avvenuti negli ultimi anni e quelli totali, nello stesso periodo, di quest’anno. Da tale risultato si sottrae il numero delle morti classificate “per” e “con” Covid-19. Il resto va “indagato”. Tuttavia il calcolo non è così scontato.

Per quanto riguarda la nostra regione, diciamo subito che ciò che emerge è che sono tre gli incrementi di decessi di rilievo, tra il 2019 e il 2020: i comuni molisani coinvolti sono Agnone (da 8 a 14), Campomarino (da 2 a 7) e Trivento (da 3 a 8). Stabili i dati di San Martino in Pensilis (quota 9) e Ururi (4). Il dato di Campobasso e Isernia è invece più basso di quello dello scorso anno.

Ma partiamo dalla metodologia utilizzata dall’Unsic. Per quanto riguarda la media degli anni precedenti, due variabili sono costituite dal numero dei residenti (di solito decrescente) e dall’invecchiamento della popolazione (con decessi crescenti); nel raffronto con il 2020, che include febbraio, va considerato il giorno in più dell’anno bisestile; il dato quotidiano dei decessi Covid-19 spesso è falsato dai ritardi di comunicazione e registrazione, superiori alle 24 ore, come confermano le stesse Regioni, per cui va contestualizzato per settimana.

Esistono, poi, le cosiddette “morti indirette”, generate dal caos pandemia che inficia le cure a pazienti con altre patologie. Infine bisogna tener conto che un “decesso Covid”, che coinvolge per lo più persone molto anziane e/o con altre patologie, non è per forza “una morte in più” nel conteggio annuale in quanto potrebbe trattarsi di una scomparsa che avviene soltanto qualche mese prima, per cui una parte dell’aumento dei decessi a fine anno si riequilibra. Infine va tenuto presente che la “quarantena” ha variato – seppur di pochissimo – le percentuali delle cause di morte, riducendo ad esempio gli incidenti stradali o sul lavoro e aumentando quelli domestici.

Tenendo in considerazione tutti questi criteri e utilizzando diverse fonti, l’Ufficio comunicazione dell’Unsic ha tentato di raggiungere il dato più vicino possibile a quello reale.

La prima fonte utilizzata è l’Istat. Tre i testi: un report sui decessi per qualunque causa dal 1 gennaio al 21 marzo 2020 in 1.084 comuni; un secondo report sui decessi per qualunque causa dal 1 marzo al 4 aprile 2020 in 1.689 comuni (parte dei 5.909 che compongono l’anagrafe nazionale della popolazione residente), scelti dall’istituto di statistica tra quelli con almeno dieci decessi e un aumento dei morti superiore al 20% rispetto alla corrispondente media del quinquennio 2015-2019. Il terzo documento, “Scenari sugli effetti demografici di Covid-19”, attesta che il totale dei decessi tra il 1 marzo e il 4 aprile nei 5.069 Comuni è stato, nel complesso, superiore del 41% rispetto a quanto osservato per l’analogo periodo del 2019.

Scaturiscono ipotesi da un minimo di 34mila ad un massimo di 123mila morti in più nel 2020, con discesa dell’aspettativa di vita alla nascita da 0,42 a 1,4 anni nelle condizioni del modello più sfavorevole.

Altro riferimento è il Sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera, gestito dal Dipartimento di Epidemiologia dalla Asl Roma 1 su incarico del ministero della Salute. Il rapporto epidemiologico include i dati di 19 città. L’ultimo report, il quinto, aggiornato al 18 aprile, parla di un incremento del 76% della mortalità totale per le città del nord, del 10% per quelle del centro-sud. Per singole città, domina Brescia (197%, la settimana precedente era al 215%), quindi Aosta (153%, era al 142%), Milano (103%, era al 96%), Genova (84%, era all’81%), Bolzano (62%, era al 58%), Torino (57%, era al 55%), Trento (50%, era al 51%), Bari (42%, era al 43%), Civitavecchia (31%, era al 41%), Bologna (47%, era al 40%), Potenza (28%, era al 35%), Verona (40%, era al 33%), Messina (20%, era al 22%), Venezia (14%, era al 16%) e Roma (7%, era al 6%).

Cosa emerge, in termini generali, dall’assemblaggio e dalla rielaborazione dei dati operato dall’Unsic? Che al 27 aprile 2020 il numero complessivo dei decessi per Covid-19 in Italia può essere fissato a 52mila unità, nella stima più prudente, fino a 57mila, cioè da 25mila a 30mila in più della cifra ufficiale. Come si arriva a questi numeri?

Il primo rapporto Istat, nel dettaglio, già rivela un rilevante scollamento: 16.216 decessi a fronte dei 7.843 medi negli anni precedenti. Una differenza di 8.373 unità. A tale cifra vanno sottratti i decessi Covid, rapportati al campione e raffinati.

Il “peso” della Lombardia è determinante: nei comuni lombardi analizzati dall’Istituto di statistica l’aumento è stato del 143% dal 1 al 21 marzo 2020, con differenza di 5.050 unità, che proiettate a tutta la regione portano ad una prima cifra tra gli 8mila e i 9mila decessi in più. Emblematici alcuni dati nel raffronto tra il 2020 e la media 2015-2019: Bergamo (da 4,3 a 19 decessi al giorno), Brescia (da 6,4 a 18 al giorno), Alzano (più che quadruplicati) e Nembro (più che sestuplicati). Includendo tutto marzo, Bergamo ha 553 decessi, ben 428 in più rispetto a marzo 2019, mentre i numeri ufficiali parlano di 201 morti per Covid-19. Crescite significative di decessi, nei primi rilevamenti, per Emilia-Romagna (superiore al 75%), Trentino-Alto Adige e Piemonte (superiore al 50%), Veneto (superiore al 40%), Liguria (superiore al 35%), percentuali comunque superiori alle morti per Covid-19.

Per quanto riguarda gennaio 2020, il dato nazionale definitivo dei decessi per ogni causa di morte non dovrebbe scostarsi di molto da quello dello scorso anno, anche perché non abbiamo avuto un’influenza particolarmente letale ed il clima non è stato così rigido.

Ben diverso il discorso nel periodo 1 febbraio-4 aprile: se lo scorso anno sono decedute 114.695 persone (dati Istat), quest’anno è possibile ipotizzare una cifra tra le 150mila e le 160mila, di cui 15.383 morte ufficialmente per Covid-19. La stima più alta è sostanzialmente in linea con il 41% in più ipotizzato dall’Istat (circa 47mila decessi in più), quella più prudente è frutto dell’incrocio delle altre ipotesi, dell’apporto delle variabili ed è alimentata soprattutto dagli scostamenti in Lombardia, con i picchi nel Bergamasco (decessi probabilmente quintuplicati), nel Cremonese (quadruplicati), nel Lodigiano e nel Bresciano (circa triplicati).

Nei 40-50mila decessi in più è possibile individuare una rilevante quota di “morti Covid” non classificate (25-30mila casi), da sommare ai 26.977 deceduti “ufficiali” al 27 aprile. Il totale raggiunge 52-57mila casi.

A livello territoriale emerge, in linea generale, che gli scostamenti sono presenti prevalentemente in Lombardia e nel Nord Italia, mentre nel Mezzogiorno le più rilevanti differenze per numero di morti in sostanza corrispondono alle aree con i più alti numeri ufficiali per Covid-19, con una quota rilevante determinata dalle case di riposo.

Una cosa è certa: occorre aspettare anche mesi per avere un quadro più attendibile. I conti si fanno sempre alla fine.

 

 

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