La biodiversità perduta

Allevamenti intensivi e diffusione virus, c’è una relazione: Lombardia al top, Molise in coda

Molti studiosi si stanno interrogando sulla correlazione tra inquinamento e diffusione del Coronavirus. E sotto accusa finiscono anche gli allevamenti intensivi (fortemente impattanti sull'ambiente). Una ricerca dell'Unsic ha cercato di evidenziare l'eventuale nesso tra il Covid-19 e la presenza di capi suini e bovini in questo tipo di realtà produttiva sui territori delle varie regioni italiane. E si evince che le 4 regioni più colpite dalla pandemia siano anche quelle con l'incidenza maggiore di questo tipo di attività zootecniche. E il Molise?

Inquinamento, biodiversità, allevamenti intensivi e Covid: potrebbe esserci un legame. È crescente l’attenzione degli studiosi sui rapporti che intercorrono tra virus e animali, sia sul fronte dell’origine delle patologie sia sulla loro diffusione. Quella che presenteremo in questo articolo è una ricerca dell’Unsic che pone la nostra regione, nelle parti basse della classifica dei contagi rapportati ai residenti, nella parte bassa della classifica della densità degli allevamenti di suini e bovini (rapportati all’estensione del territorio). Ed è proprio la Lombardia, la regione più colpita dalla pandemia, ad avere di contro la maggiore incidenza di allevamenti di questi animali.

“Se sulla possibilità che l’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi, in particolare le enormi quantità di ammoniaca derivante dalle deiezioni, favorisca la trasmissione del Covid-19 siamo nel campo delle ipotesi, è invece ampiamente accertata l’origine zoologica di tanti virus: non solo da animali selvatici (l’Aids dalle scimmie, la Sars da pipistrelli e zibetti, la Mers da pipistrelli e cammelli, l’Ebola dai pipistrelli Eidolon helvum, ecc.), ma anche di allevamento (il “morbo della mucca pazza”, esploso alla fine degli anni Ottanta nel Regno Unito, le differenti “aviarie”, la cosiddetta “influenza suina” apparsa in Messico nel 2009).

Sotto accusa, in particolare, le modalità di produzione alimentare, dagli allevamenti intensivi agli ‘sconfinamenti’ in zone un tempo riservate agli animali selvatici. Inoltre, specie in Asia, molti di questi animali sono diventati commestibili, inseriti pienamente in logiche di mercato”.

C’è infatti un legame strettissimo tra pandemie come il Coronavirus e la perdita di biodiversità. Il diffondersi di alcuni virus – come il Sars-Cov-2 all’origine del Covid-19, quelli alla base di “malattie emergenti” (Ebola, Aids, Sars, influenza aviaria o suina) e di altre malattie trasmesse dagli animali all’uomo (zoonosi), è infatti conseguenza di nostri comportamenti errati tra cui il commercio illegale o non controllato di specie selvatiche e, più in generale, dell’impatto dell’uomo sugli ecosistemi naturali.

Lo sfruttamento animale pare dunque essere la chiave fondamentale nel passaggio dei virus all’essere umano. E in molti si stanno interrogando sulla correlazione tra Covid-19, gli allevamenti intensivi e le polveri sottili.

Il coronavirus è stato trasmesso dagli animali selvatici all’essere umano, e oggi si è certi che il passaggio di specie sia avvenuto attraverso un animale “intermediario”, venduto in alcuni degli ormai famosi mercati cinesi. Il passaggio di specie di un virus pericoloso per l’uomo è già avvenuto in passato attraverso animali sfruttati dall’uomo. Basti ricordare il morbo della mucca pazza o più recentemente l’influenza suina e quella aviaria.

È stato accertato scientificamente il nesso tra la comparsa di alcuni virus, come quello dell’influenza aviaria, e l’allevamento intensivo del pollame, e sempre più studi si spingono ad ipotizzare un ruolo degli allevamenti anche nella diffusione dei virus.

La ricerca più recente è stata prodotta in Italia dalla Società italiana di medicina ambientale e ipotizza che il Pm10 alimentato dagli allevamenti intensivi abbia aiutato la diffusione del coronavirus in Pianura Padana. Occorre tenere presente che quasi il 90% dei suini italiani fa parte di allevamenti con oltre 500 capi (dati associazione ‘Terra!’).

L’Unsic, associazione datoriale che riunisce 40mila aziende agricole orientate a canoni di sostenibilità ecologica, ha prodotto una propria ricerca che mette in relazione il numero di casi di Covid-19 nelle singole regioni con la presenza di allevamenti di suini e bovini.

“Ovviamente non abbiamo pretese scientifiche, ma crediamo sia utile rilevare come le prime quattro regioni per numero di casi di coronavirus – Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto – abbiano le stesse posizioni nella classifica per densità di suini per chilometro quadrato – spiega Domenico Mamone, presidente dell’Unsic. Incidenza alta anche in Friuli-Venezia Giulia e Marche, altre due regioni particolarmente colpite.

Non può e non deve essere un ‘libro dei sogni’. “Lo scopo primario della nostra indagine è semplice: richiamare il settore agroindustriale all’adozione di standard meno impattanti per l’ambiente. Temi come l’inquinamento delle falde acquifere e dell’atmosfera, l’iperconsumo di acqua, il disboscamento, la produzione di antibiotico-resistenza vanno messi in cima alle agende della politica. In fondo, insieme all’emergenza sanitaria ed economica di cui si parla molto, il nostro futuro è sempre più subordinato anche alla salute del pianeta” conclude Mamone.

In effetti, rielaborando per densità regionale i dati Istat sugli allevamenti e incrociandoli con quelli della Protezione civile sui casi di Covid-19, emerge nettamente il peso della presenza di bovini e suini nelle regioni più contagiate dal virus, così come analoghe, anche in percentuale, si presentano le distanze tra Nord e Sud sia nei contagi sia negli allevamenti.

Emblematico il caso della Lombardia, con circa quattro milioni di suini. I maggiori allevamenti sono nelle province di Brescia e Mantova (con oltre un milione ciascuna), Cremona (circa 800mila), Lodi e Bergamo (intorno a 300mila), particolarmente flagellate dall’epidemia, mentre le altre province – meno colpite – hanno numeri marginali.

E il Molise? La nostra regione è agli ultimi posti in Italia per tasso di diffusione del Covid (circa 9 malati ogni 10mila residenti), ed è al quattordicesimo posto tra le regioni italiane per numero di suini a chilometro quadrato (con 3,71 per km quadrato, la Lombardia ne ha 166,97) e all’undicesimo posto per i bovini (10,90 per km quadrato, la Lombardia 64,68). L’incidenza ambientale degli allevamenti, grazie anche alla morfologia del territorio, da noi è dunque minima.

 

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