Saracinesche giù

Negozi chiusi: “Choc economico, non sarà facile dopo”. E su decreto imprese: “Sostegno al reddito è l’altra emergenza”

Con la chiusura obbligatoria dei negozi cresce la paura per la recessione. Spese fisse e zero guadagni minano la stabilità della piccola e media impresa. "Non sarà facile risalire" spiega Angela di Desigual. E sul decreto da 25 miliardi per le imprese e le famiglie intervengono i consulenti del lavoro: "Sostegno al reddito è l'altra emergenza dopo quella sanitaria". L'imprenditore Di Niro propone aiuti a fondo perduto: "Posticipare solo le scadenze non servirà".

C’è un’altra emergenza oltre a quella sanitaria, più silente ma forse dagli effetti più duraturi: il lavoro.

Con le misure restrittive imposte ormai a livello globale per arrestare, o almeno arginare l’espansione del Covid-19, sembra inevitabile una “recessione globale – annunciata già dagli economisti di Standard & Poor’s – peggiore addirittura di quella del 2001”.

Poiché “restiamo a casa” nessuno spende più, la domanda di beni e servizi è precipitata (ma non per tutti allo stesso modo, il caso de La Molisana che a febbraio ha segnato un +42 percento di richiesta di pasta è emblematico) e gran parte delle attività sono ferme. Un dramma dai contorni ancora tutti da definire, un problema enorme per chi fa impresa. Se da un lato si spera nelle misure di sostegno alle imprese del decreto “Cura Italia”, dall’altro ci sono gli affitti da pagare, gli stipendi, i contributi da versare, le tasse, insomma tutti quegli adempimenti a cui il datore di lavoro deve fare fronte anche se non incassa un solo euro.

A Campobasso, ma potrebbe essere il racconto da una qualunque città italiana, i piccoli commercianti – pensiamo ai negozi di abbigliamento, di scarpe, ai parrucchieri, alle estetiste e a tutta quella miriade di attività che in questi giorni tiene abbassata la saracinesca – se la stanno vedendo molto male.

“Con la concorrenza dei centri commerciali e la desolazione del centro cittadino la situazione era già difficile – spiega Angela Mastrangelo, moglie del titolare di Desigual su Corso Vittorio Emanuele – noi resistevamo con serietà e cortesia del personale, applicando prezzi europei mai maggiorati e sconti reali che ci hanno fatto conquistare la fiducia della clientela che dal dicembre del 2013, quando abbiamo aperto, non ci ha mai abbandonato”.

Il negozio Desigual ha chiuso un paio di giorni prima che il premier Giuseppe Conte rendesse l’Italia tutta una zona rossa con restrizioni più importanti e misure di contrasto al coronavirus più stringenti.

“Le spese fisse però sono rimaste e al momento non è ancora ben chiaro in che modo ‘rientreremo’ tra le agevolazioni previste dal decreto Cura Italia – riferisce Angela a meno di 24 ore dall’annuncio in tv del presidente del Consiglio -. Onestamente sia io che mio marito (titolare anche di O-bag e di Guarino pelletteria sempre sul Corso, ndr) non sappiamo bene cosa potrà accadere per il futuro, ovviamente la buona volontà di andare avanti e risalire dopo questo choc economico c’è, ma non sarà facile”.

A fare i conti con una difficile realtà e le tante, tantissime novità annunciate nel decreto da 25 miliari di euro per imprese e famiglie, ci sono anche i professionisti.

Il presidente dell’Ordine provinciale dei consulenti del lavoro Stefano Pacitti racconta a Primonumero delle numerose telefonate giunte in ufficio in questi giorni “per avere chiarimenti sulla situazione giacché i primi ad essere in ansia, quasi nel panico, sono i lavoratori”.

A centinaia sono rimasti a casa dopo il decreto dell’8 marzo di Giuseppe Conte e l’ordinanza regionale di Donato Toma che hanno imposto i divieti che ormai tutti conoscono a menadito. Tanti altri – quelli assunti nelle attività rimaste aperte (farmacie, parafarmacie, tabacchi, supermercati eccetera) non stanno lavorando o lavorano pochissimo perché in giro non c’è nessuno. E si licenzia.

“E quindi la prima cosa da fare sarà muoversi per il sostegno al reddito. Sono consapevole delle mille difficoltà del governo rispetto all’emergenza sanitaria, è naturale che la salute pubblica abbia un interesse preminente, ma anche le attività vanno supportate e quella del lavoro è l’altra emergenza”.

Il giudizio di Pacitti sulle misure tampone è positivo. Un po’ meno su alcune “inutili complicazioni” come la convocazione dei sindacati per la verifica dello stato di crisi aziendale, passaggio propedeutico alla concessione degli ammortizzatori sociali da parte dell’Inps. “Potevano evitare questo passaggio come avvenuto al nord ed esentare il datore di lavoro dalla convocazione delle rappresentanze sindacali, siamo in una situazione senza precedenti in cui non è nemmeno possibile incontrarsi di persona per l’esame congiunto e stilare un verbale di accordo”.

Inoltre Conte ha annunciato il decreto “Cura italia” il 16 marzo, giornata di scadenze fiscali e contributive. Ora che la proroga è certa (il testo ufficiale con tutte le misure previste è entrato in vigore mercoledì 18 marzo) e c’è un documento ufficiale non più una bozza “anche noi consulenti potremo dare corrette indicazioni ai nostri clienti e colleghi”.

Chiede invece aiuti alle imprese ma a fondo perduto il consigliere dell’Ance-Acem Corrado Di Niro. L’imprenditore campobassano teme che “saranno migliaia le aziende e le imprese che non riapriranno lasciando a casa milioni di lavoratori nella disperazione delle famiglie. Sarà importante, ad esempio, prevedere e lanciare tutti insieme, noi imprenditori, un motto che, partito dal Molise, dovrà riecheggiare nelle stanze romane: aiuti alle imprese a fondo perduto. È indispensabile, perché aiutare vuol dire consentire la ripartenza. Il solo posticipo delle scadenze di tasse e contributi non aiuterà le aziende, che si ritroveranno a dover pagare tutto insieme nella seconda parte del 2020. Ciò significherà il collasso delle imprese”.

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