La riflessione

Non è una guerra, cambiamo metafora per salvare democrazia e libertà

Le parole creano e plasmano la realtà circostante. Chi detiene il potere ne è consapevole. La scelta delle parole non è mai neutra. E se non vi è intenzione, la negligenza e la sciatteria con le quali le si adoperano sono, se possibile, ancora più gravi. La metafora della guerra e le sue declinazioni (eroi, prima linea, bollettino, fronte, armi, alleati) servono per introiettare nella popolazione lo stato di eccezione che essa rappresenta in modo emblematico. La scelta di aderire a regole di sopravvivenza a tutela della salute pubblica non sia scambiata per acquiescenza. Non siamo in guerra, lo stato di diritto non ceda il passo allo stato d’eccezione.

Il sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione”. La famosa formula di Carl Schmitt trova ieri e oggi, nel passaggio parlamentare al quale il governo Conte si è dovuto sottoporre dopo il decreto legge del 29 gennaio e i suoi successivi quattro Dpcm, un doveroso adeguamento alla realtà democratica del nostro Paese. Il parlamento, se pur menomato, è vivo e pretende il rispetto delle sue prerogative. Le scelte compiute non sono semplici. I diritti costituzionali congelati sono molti: la libertà di circolazione, la libertà di manifestazioni pubbliche, la libertà d’impresa. Il diritto alla salute pubblica, giustamente, prevale.

Ma altre libertà potranno a breve essere intaccate per meglio affrontare la sfida che ci vede contrapposti al virus. Quella della privacy. Il governo, sul modello dei paesi asiatici, sta valutando una serie di proposte per attivare una applicazione tecnologica da installare nei nostri cellulari che monitori la nostra geo-localizzazione così da indicarci dove sono i positivi al coronavirus.

Sul punto Filippo Sensi nel suo intervento al Festival del Sarà speciale Covid-19 è stato chiaro: la geo-localizzazione e il tracciamento digitale possono essere strumenti utili e da implementare immediatamente, ma senza mai dover sacrificare i nostri diritti e la nostra libertà.

Di tenore simile sui rischi che corrono i nostri diritti è stato l’intervento di Massimiliano Panarari, politologo ed editorialista de La Stampa, che ha riflettuto sulle conseguenze che questo contesto biopolitico sta producendo sulla nostra società e democrazia. Appena sarà chiusa questa parentesi occorre tornare a difendere i diritti, le libertà, a recuperare i legami comunitari e rifuggire i riflessi securitari.

Da Montecitorio sono arrivati poi gli allarmi di Marco Di Fonzo, giornalista di SkyTg24 e presidente della stampa parlamentare, che ci ha raccontato come il Parlamento sia chiamato a darsi nuove regole di attività per mantenere fede ai valori della Costituzione e di Ettore Maria Colombo,giornalista del Quotidiano Nazionale, che ha sottolineato la ricerca disperata di un modus operandi nuovo e funzionale per non menomare le funzioni costituzionali del Parlamento.

Infine un allarme molto preoccupato è stato quello lanciato da Gianluca Sgueo, Global Professor Media, Activism & Democracy alla New York University, che ha prospettato il grande rischio che democrazie e globalizzazione possano uscire sconfitte da questa pandemia.

Del resto basta analizzare le prime reazioni di alcuni sindaci eccitati e per fortuna subito denunciati dal ministro dell’Interno, dal poter utilizzare i droni per il controllo degli spostamenti dei loro concittadini, per comprendere il rischio che corriamo. Come scrive Giovanni Battista Gallus su ValigiaBlu.com, occorre che queste norme siano sempre corrispondenti a diversi criteri: liceità, trasparenza, limitazioni delle finalità e della conservazione, minimizzazione dell’utilizzo, sicurezza dei dati.

E certo non rassicurano neanche le immagini di convogli militari russi, senza scorta alcuna da parte delle nostre forze armate, che viaggiano lungo le strade italiane. Forze militari di una nazione ancora, di fatto, sotto sanzioni economiche della comunità internazionale e primo sorvegliato della Nato della quale ancora facciamo parte. Tantomeno sono incoraggianti i resoconti dei mezzi di informazione cinesi che hanno manipolato gli applausi dei cittadini italiani sui balconi della scorsa settimana rivolti ai medici e venduti ai propri telespettatori come segno di ringraziamento agli aiuti offerti all’Italia dal governo cinese.

Se dunque c’è una guerra, è in atto una guerra di manipolazione semantica, di controllo psicosociale, di ridefinizione delle alleanze e di costruzione di doveri di riconoscenza nei confronti di Stati stranieri. Come la Storia ci insegna l’eccezionalità delle norme e dei comportamenti sociali che i governi impongono durante le guerre, spesso restano all’interno degli ordinamenti diventando consuetudini alle quali da un lato il potere non vuole più rinunciare e dall’altro le collettività assorbono senza comprendere la lesione che i propri diritti hanno subito.

Primum vivere, certo. Ma dalla capacità di analisi delle opzioni possibili sul tappeto e dalle conseguenze dirette e indirette di queste scelte scaturirà il tipo di società nella quale vivremo in futuro. L’opinione pubblica, se pur dentro le proprie case, senza la possibilità di assembrarsi o manifestare, resti vigile, segnali le incongruenze, i pericoli, costringa il potere a usare parole di verità e a legare, sempre, le proprie iniziative, anche se inevitabilmente urgenti, ai criteri di legalità e al vaglio del Parlamento.

Vanno difese libertà e democrazia che 75 anni fa abbiamo conquistato al termine di una guerra vera.

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