In Box

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La distanza

di Ester Tagliaferro

Penso a quanta distanza c’era, tra quell’uomo che usciva di fretta dal portone per buttar via la spazzatura, e la donna col cappotto che rientrava appena a casa da lavoro.
Nemmeno lo scambio di un saluto: persino le parole si nascondono, dietro le mascherine bianche. E le parole, anch’esse, temono d’andarci troppo vicino, alle persone.

E penso a quel bambino che chiedeva, al padre “possiamo uscire insieme?”. Quanta distanza c’era, tra quel bambino e una risposta che non avrebbe mai compreso?
Penso alla distanza che c’è ora, nella mia cucina, tra la paura di una donna e un uomo che s’impegna a trovar le parole che lei cerca.
Ditemela voi la distanza che c’è tra una madre che si chiede come sia possibile, e un padre distratto, perso in tutte le sue possibili domande.
E io conto le posate sulla tavola, e tocco la mano di chi mi passa il piatto, e tocco il cibo che mangerà qualcun altro. M’accorgo di quanto siamo vicini, troppo vicini.

Pensate a quanta distanza c’è realmente, tra l’individuo qualunque di cui si parla sui giornali, e il vostro vicino di casa. Tra quel ragazzo senza valigia e senza cappotto, sul treno. E vostro fratello che gioca con una locomotiva giocattolo nell’altra stanza.
Se la felicità di quell’individuo qualunque o di quel ragazzo sul treno sono legate a un filo con i sorrisi del mio vicino o di mio fratello.

Se siamo realmente troppo vicini.
Se abbiamo bisogno della legge, per stare più distanti.
Allora promettiamoci di impegnarci.
Per tornare ad avvicinarci.
Più di prima.

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