La testimonianza dalla trincea

“Come astronauti, senza bere nè andare in bagno”. Un infermiere molisano in prima linea

Sebastian Bruscino, 33 anni, è del capoluogo ma lavora a Parma, in prima linea per combattere contro il Coronavirus. Ha voluto esternare quello che si prova a “vedere una morte che non ha dignità di essere celebrata, persone che muoiono nel silenzio, lontano dai loro cari e dai loro affetti”. Dolore fisico e morale: “Le mascherine ti piagano il volto dopo tante ore, in quelle condizioni fatichiamo a riconoscerci e così scriviamo il nostro nome sulle divise. Un appello a tutti: restate a casa e godetevi la vostra famiglia”.

La prima linea, quella più dura, massacrante, sconvolgente. Medici e infermieri sono i nuovi eroi di questa epidemia legata al coronavirus: turni estenuanti, la fatica, il sudore. Al lavoro senza poter bere nè andare in bagno. “I buoni samaritani”, li ha definiti Papa Francesco.

In questi giorni diversi operatori sanitari hanno voluto esternare quello che si prova nelle terapie intensive, nei reparti ‘gonfi’ di malati e spesso di morti che si spengono pian piano e senza poter abbracciare per l’ultima volta i propri cari. Direttamente da Parma, dove i contagi sono intorno ai 700, arriva la toccante testimonianza di un infermiere di Campobasso, Sebastian Bruscino, 33 anni.

Ha voluto scrivere la sua esperienza dopo aver smontato il turno di notte, “ancora con l’adrenalina addosso mi è venuto in mente di rendervi partecipi di ciò che stiamo vivendo in questi giorni noi infermieri, medici, oss, operatori sanitari, professionisti della salute, tutti insieme uniti nella stessa battaglia”.

Fa impressione, per chi non conosce la realtà che racconta Bruscino, venire a sapere da lui stesso che “si fatica a riconoscerci durante il turno, giriamo con i nomi scritti con il pennarello stile giocatori su queste divise che non lasciano scorgere nemmeno il nostro viso, ci riconosciamo l’uno l’altro soltanto dal modo di fare. Siamo tutti gli stessi soldati, tutti con la stessa divisa, con la stessa cuffia e visiera. Su questa divisa non ci sono gradi da mettere in bella mostra, le medaglie più belle non sono quelle che si appendono al collo ma quelle che si portano nel cuore e che ti riempiono di vita”.

Ore e ore di lavoro con guanti, mascherine, tute speciali, ogni tipo di accorgimento per evitare il contagio. Ecco come lo racconta l’operatore sanitario di Campobasso: “Gli elastici delle mascherine, dopo tante ore di lavoro, ti piagano il volto e ti segnano il viso. Siamo vestiti come astronauti che devono andare sulla luna, senza poter bere, senza poter andare in bagno, accaldati e sudati e bagnati da una divisa che non permette di farci respirare. Mani che per tutto il turno sono coperte da guanti che troviamo poi screpolate e doloranti”.

Ma il dolore più grande è quello dell’animo: “Vediamo una morte che non ha dignità di essere celebrata, persone che muoiono nel silenzio, nell’indifferenza, lontano dai loro cari e dai loro affetti. Ci sentiamo provati, ci sentiamo pochi rispetto a quello che vorremmo dare”.

“Soltanto adesso tante persone hanno notato e si sono accorte di noi considerandoci degli eroi, ringraziandoci ed elogiandoci, eppure siamo sempre noi, sempre gli stessi, sempre presenti, da sempre i protagonisti in prima linea della sanità e del Sistema Sanitario Italiano” prosegue Bruscino. Che assieme ai colleghi si ricarica quando vede gli striscioni di ringraziamenti, le pizze e i dolci che gli vengono consegnati, “gesti che ci gratificano e ci tirano su di morale rendendoci orgogliosi per quello che facciamo, facendoci sentire anche meno il peso della fatica. Gesti che ci fanno capire che stiamo combattendo una battaglia non da soli”.

Allo stesso tempo, però, si toglie qualche sassolino dalla scarpa: “Siamo gli stessi che fino qualche giorno fa eravamo aggrediti, vessati e denigrati. Faccio parte di un sistema che operava in maniera silenziosa giorno e notte, di un sistema che non sa cosa vuol dire passare un Natale o una Pasqua con i propri cari, un sistema che pur di lavorare ci porta a salutare i nostri cari e le nostre famiglie. Lavoriamo per una paga misera dove la nostra professionalità viene da sempre svalutata e svenduta. Tanto lavoro, tanta responsabilità, tanti rischi ed uno stipendio che non rispecchia minimamente quello che facciamo. Non considerandoci neanche tra le professioni usuranti”.

Sebastian è di Campobasso e lavora a Parma. Ed è così che la vive: “Ti ritrovi, pur di lavorare, in una città che non è tua ed amici che non sono i tuoi. Ti ritrovi in un sistema che ti porta a muovere non verso una destinazione ma verso un destino”.

Infine l’appello ai cittadini, a chi non si sacrifica e continua ad infrangere regole e divieti andando in giro: “Noi non abbiamo chiesto di aiutarci, abbiamo sempre fatto da soli senza chiedere mai nulla in cambio. Ma adesso abbiamo bisogno del contributo di voi tutti e del vostro rispetto per gli altri, rispetto per i vostri genitori, figli e nonni. Rimanete a casa e godetevi la vostra famiglia. Voi che potete farlo… Noi non siamo eroi oggi e non eravamo fannulloni ieri”.      

FdS

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